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Il Pnrr rappresenta l’occasione, forse ultima, per costruire un sistema sanitario moderno. Ma la “Missione 6” va reimpostata

di Costantino Troise

17 FEB - Gentile Direttore,
il dibattito sulla sanità post Covid sembra inchiodato sui miliardi del Pnrr da spendere e sul passaggio alla dipendenza dei Medici di medicina generale.
Salta agli occhi l’assenza di un elemento centrale in sanità, cioè un progetto di sistema che tenga insieme territorio e ospedale, non come due silos appaiati, ma come due facce della stessa medaglia. E la presenza di un convitato di pietra, quel capitale umano che delle organizzazioni complesse rappresenta la maggiore risorsa.
 
Paradossalmente, aver retto la pressione della pandemia ha nascosto la gravità della crisi che investe, non da ora, il sistema ospedaliero e il medico pubblico, in preda, dopo due anni vissuti pericolosamente, a un burnout che lascia spazio solo alla fuga, come dimostrano tutte le indagini in merito. Senza personale, però, le strutture sanitarie, territoriali ed ospedaliere, sia pure antisismiche, diventano quinte teatrali, le nuove tecnologie elementi di arredo, lo stesso territorio puro riferimento geografico, nel quale poco conterà lo stato giuridico degli assenti.
 
Parlare di sistema ospedaliero significa ridiscutere ruolo, stato giuridico, modalità di reclutamento e di retribuzione, modelli organizzativi dei suoi professionisti. E ripensare il suo governo, affidato ai soli strumenti della cultura aziendalista, ormai usati anche con non celate forme di autoritarismo, con esclusione dei professionisti dai processi decisionali, nella velleità di costruire maxi aziende con mini medici.
 
Se la criticità principale del SSN, oggi, è la destrutturazione del lavoro medico e il peggioramento delle condizioni in cui viene svolto, occorre partire dal riconoscimento di un suo diverso valore, anche salariale, di diverse collocazioni giuridiche e di diversi modelli organizzativi che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. “L’autorità del lavoro è di chi il lavoro lo fa, non di chi campa sul lavoro altrui” (Annarosa Buttarelli).
 
Il grande tema della sanità post Covid non è, pertanto, riducibile a solo cemento nè, tantomeno, a un cambio di stato giuridico, del quale si continuano a nascondere accuratamente i costi, fingendo anche di non vedere che gli stessi medici dipendenti ormai mal sopportano catene di comando spesso inadeguate e vincoli organizzativi non privi di forme impositive. Mal comune non fa mezzo gaudio.
 
Finora, l’unico approccio al sistema ospedale è consistito nel restringere la rete concentrando le competenze e le tecnologie e tagliando posti letto e personale, scaricando i relativi costi su medici e cittadini.
 
Ma, anche per rispondere alla transizione demografica, epidemiologica e di genere in atto ed alla grave carenza di medici, sia specialisti che di medicina generale, occorre ripensare ruolo e organizzazione del lavoro delle strutture per acuti in una ottica di sistema, insieme, non prima né dopo, con lo sviluppo di modelli consolidati di cure primarie, in una logica di rete clinica che offra diversi livelli di risposta a differenti setting di domande.
 
E, superando lo stesso concetto di integrazione che, per il solo esistere, stabilisce la presenza di entita distinte, se non contrapposte, costruire una prassi capace di fare lavorare insieme professionisti diversi, con regole e strumenti diversi, in una ottica di continuità assistenziale bidirezionale che faciliti la presa in carico del paziente. Riempendo il tempo medico previsto per gli ospedali di comunita con personale ospedaliero, per garantire la continuità delle cure in un percorso condiviso tra tempi e luoghi differenti di erogazione della prestazione sanitaria.
 
Il filo che unisce contratti e convenzioni deve essere nel ruolo dei professionisti in rapporto alle organizzazioni, che non puo essere quello di operaio salariato del terzo millennio, negando valori professionali o sottomettendoli alle logiche gestionali. Ma di professionisti che lavorano nel e per il SSN, con profili giuridici diversi, diverse condizioni di lavoro e diversi ambiti di autonomia. Evitando giochi di prestigio, come fare credere di potere finanziare la riforma delle cure primarie con i risparmi derivanti dal taglio dei posti letto e dalla riduzione delle strutture gestionali ospedaliere, o di coprire la spesa corrente delle strutture di comunità con i “risparmi” derivanti dalla diminuzione dei codici bianchi al Ps.
 
Il Pnrr rappresenta l’occasione, forse ultima, per costruire un sistema sanitario moderno. A condizione di reimpostare la Missione 6 dal punto di vista finanziario, visto che la dote assegnata alla salute è la metà di quella concessa a villette, condomini, seconde e terze case, e strategico, perchè l’ospedale del futuro non è solo tecnologia, senza riguardo a chi la fa funzionare o adeguamento a norme, senza attenzione alla necessaria flessibilità di spazi, modelli organizzativi, dotazioni organiche.
 
Finita la retorica degli angeli e degli eroi, i medici tutti sono tornati nell’invisibilità politica, al punto da vedersi negati da un voto parlamentare trasversale i ristori economici per i morti durante la pandemia, con i problemi di sempre, accentuati. Ma lavorare in ospedale non deve essere una sofferenza ed il lavoro fuori dell’ospedale non può ridursi alla “medicina di carta”.
 
Sia perchè sarà il lavoro a portare la sanità fuori dalla crisi, sia perchè il disagio crescente dei professionisti e la crisi di fiducia dei cittadini nell’affidabilità del sistema sanitario rappresentano un combinato disposto in grado di eroderne la sostenibilità, quali che siano le risorse investite. Come si sta puntualmente verificando.
 
Costantino Troise
Presidente Nazionale Anaao Assomed

17 febbraio 2022
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