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La fuga dei professionisti verso il privato è un codice rosso

di Claudio Maria Maffei

03 MAR - Gentile Direttore,
personalmene ritengo  debole persino in modo sorprendente il documento sul personale delle Regioni inviato al Governo nella parte che riguarda la fuga dei professionisti verso il privato. Che vuol dire anche fuga dei cittadini verso il privato accreditato e sempre più spesso ricorso al privato “di tasca propria”.
 
Ritengo questo fenomeno di assoluta gravità e frutto di una serie di fattori che il documento delle Regioni sembra non prendere proprio in considerazione. I rimedi immaginati al riguardo si limitano per lo più alla parte del reclutamento in cui in sostanza si chiede di avere maggiore flessibilità (incarichi specializzandi, incarichi a personale in quiescenza, incarichi a tempo determinato con procedure semplificate, deroghe ai criteri di equipollenza e di affinità delle discipline) così come si chiede maggiore flessibilità nel trattamento accessorio.
 
La tendenza dei professionisti,  in particolare dei medici, a voler lavorare nel privato viene sempre più spesso segnalata qui su QS e l’ultimo grido di dolore è stato quello della CIMOuna cui indagine ha evidenziato come il 72% dei medici partecipanti, potendo tornare ai tempi della fine del liceo, risceglierebbe la stessa professione, solo il 28% continuerebbe a lavorare in una struttura pubblica. Gli altri preferirebbero trasferirsi all’estero (26%), anticipare il pensionamento (19%), lavorare in una struttura privata (14%) o dedicarsi alla libera professione (13%).
 
Colpisce come a fronte di questi dati non ci sia una riflessione profonda e soprattutto una iniziativa energica per farsi carico del problema. L’impressione ancora una volta è che nel sistema pubblico tra la diagnosi (tardiva) e la terapia passi un tempo così lungo da farti pensare che quello che ci si aspetta è che “il disturbo” si risolva da solo.
 
Non ci provo nemmeno a formulare “su due piedi” una proposta di approccio al problema, ma alcune cose  mi sento di raccomandarle o sottolinearle  convinto come sono che quello della preferenza dei professionisti verso il lavoro “privato o “altrove” sia uno dei fattori più importanti di crisi del nostro Servizio Sanitario Nazionale che in crisi è davvero. Sorvolo su temi che altri conoscono molto meglio di me come il trattamento economico e gli altri aspetti di natura contrattuale e la migliore programmazione della formazione del personale.
 
Ricordo invece questi che mi sembrano meno esplorati:
•il problema merita una sorta di unità di crisi a livello nazionale che se ne occupi alla svelta;
 
• il problema va studiato: la fuga riguarda in modo particolare alcune discipline di area chirurgica e “diagnostica” che non trovano spazi di operatività adeguata nelle strutture pubbliche;
 
• le reti ospedaliere pubbliche sono irrazionali distribuendo troppo le strutture caricandole tutte del peso delle urgenze e impedendo in molte di esse quella “massa critica” di operatori e di casi che fa crescere e differenziare le competenze;
 
• in molte Aziende la politica del personale è solo un cambio di etichetta e nessuno si occupa di politica dei rimpiazzi e dei percorsi di crescita professionale;
 
• in molte strutture pubbliche la efficienza è carente e non confrontabile con quella di molte strutture private;
 
•alle strutture private è concesso dalle normative nazionali (DM 70 vecchio), regionali (accordi) e aziendali (contratti) troppa libertà in termini di reclutamento del personale e di selezione della casistica e quindi, ad esempio,  che l’ortopedia sia ormai quasi solo privata e la traumatologia non sia quasi solo pubblica non può quindi stupire;
 
• il clima in molte Aziende pubbliche risente della eccessiva distanza tra professionisti e Direzione e della distanza troppo ravvicinata tra politica e Direzione.
 
Mi rendo conto che questo assomiglia a quei ragli d’asino che non raggiungono il cielo, ma mi è uscito proprio dalla tastiera.
 
Claudio Maria Maffei

03 marzo 2022
© Riproduzione riservata

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