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La sicurezza sul lavoro è (ancora) un obiettivo di sanità pubblica?

di Alfredo Gabriele Di Placido e Maurizio Martinelli

17 OTT - Gentile Direttore,
è necessario tornare sul tema della salute e sicurezza sul lavoro e sui cambiamenti importanti intervenuti negli ultimi mesi. L'ex procuratore Beniamo Deidda è intervenuto sul manifesto dello scorso 12 ottobre scrivendo: “Si rimette di nuovo in discussione l'assetto unitario della legge 833/78 di riforma sanitaria che aveva eliminato la frammentazione delle varie competenze istituzionali, la deleteria separazione tra le funzioni di vigilanza e quelle di prevenzione (…). Si ritorna al passato di oltre 40 anni fa: qualcuno vagheggia perfino l'istituzione di un corpo unico di vigilanza che eserciti l'attività di controllo, ma non si occupi più di prevenzione, come se le aziende avessero bisogno solo di controlli e di contravvenzioni, e non anche di formazione e di cultura adeguata alla complessità degli interventi di sicurezza”.

Le attività di prevenzione, previste dalla Legge 833/78 nonché dai Livelli Essenziali di Assistenza, continuano ad essere l'ultimo capitolo di ogni Azienda sanitaria. Gli elementi che inducono ad affermare questo sono molti.

Un esempio: la Riforma sanitaria bis (D.Lgs 502/92) ha previsto l'individuazione di figure professionali sanitarie ben precise e con compiti ben delineati per svolgere attività sanitarie preventive: Tecnici della Prevenzione ed Assistenti Sanitari. C'è però da sottolineare come strategie aziendali alquanto dubbie dirottino le assunzioni da figure sanitarie a figure prettamente tecniche, disattendendo così il monito della stessa Legge 833/78 e delle sue successive integrazioni. Se il legislatore ha previsto figure specifiche in materia di prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro c'è una ratio. C'era e c'è ancora oggi una esigenza precipua nel destinare alle funzioni di prevenzione, ispezione e vigilanza negli ambienti di vita e di lavoro una figura dotata di specifica professionalità. Figura formata a livello universitario, dotata di una apposita abilitazione ed iscrizione obbligatoria al relativo Albo professionale istituito con la Legge 3/2018. Un quarto elemento sarebbe il rispetto del relativo Codice deontologico che in altri Paesi rappresenterebbe il primo punto, ma, in fondo, siamo in Italia…

Svolgere le funzioni del Tecnico della Prevenzione, pur non essendolo, non solo rappresenta un abuso di professione ai sensi dell'art.348 del codice penale, ma è anche una mancata tutela degli utenti-cittadini-datori di lavoro-lavoratori (cfr. Sentenza della Corte di Cassazione, VI sezione penale, n.34649/2020; Sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n.11545/2011).

Altro esempio: dopo la iniqua riforma dell'articolo 13 del D.Lgs 81/08, lo scorso 27 luglio la Conferenza Stato-Regioni ha licenziato le “Indicazioni operative per le attività di controllo e vigilanza”. Uno dei principi seguiti nel documento è il seguente: “Prevedere linee d'indirizzo relative a percorsi 'professionalizzanti' in congiunta per il personale ispettivo”. Percorsi professionalizzanti? Sarebbe il caso di informare i membri della Conferenza Stato-Regioni del fatto che esista già un professionista con apposita formazione tecnico-specialistica che si occupa di infortuni sul lavoro e malattie professionali: il Tecnico della Prevenzione (TdP).

Terzo ed ultimo esempio. Si dirà: almeno le Università conoscono la figura professionale del Tecnico della Prevenzione e la tutelano. Sbagliato! Negli ultimi anni stanno proliferando corsi di laurea tesi a creare figure “ibride” su specifici campi che invece nel percorso universitario dei TdP  vengono affrontati in maniera completa (parte tecnica, parte sanitaria, parte giuridica). Citiamo tra questi: “Sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti” dell'Università di Padova; “Scienze giuridiche della prevenzione e della sicurezza” dell'Università di Pavia e dell'Università di Ferrara; oltre a vari master che ricadono nelle competenze dei TdP, ma paradossalmente questi ultimi non possono accedervi, come il master “One Health in Sanità Pubblica” dell'Università di Pisa.

Dovrebbe essere ormai chiaro come le Tecniche della prevenzione non possano essere improvvisate da chiunque, ma che sia assolutamente necessaria una formazione universitaria apposita, come avviene per tutte le altre professioni sanitarie. L'improvvisazione non paga e i numeri oggettivi e freddi dovrebbero farlo capire: i caduti sul lavoro sono 677 fino a settembre (una media di tre vittime al giorno).

Siccome non si può fare politica sulla pelle delle persone (come fanno molti con comunicati e rapporti che assomigliano ai Cinegiornali Luce degli anni Trenta), auspichiamo che la FNO TSRM PSTRP e la Commissione d’Albo Nazionale dei Tecnici della Prevenzione tuteli loro, le famiglie e noi cittadini-lavoratori attraverso la difesa dei compiti dei TdP e la richiesta di competenze esclusive, per far sì che solo persone appositamente formate, abilitate ed iscritte al relativo Albo possano intervenire, indagare e prevenire gli infortuni negli ambienti di vita e di lavoro.  

Alfredo Gabriele Di Placido
Tecnico della Prevenzione, Unpisi Associazione Tecnico Scientifica

Maurizio Martinelli
Tecnico della Prevenzione, Unpisi Associazione Tecnico Scientifica

17 ottobre 2022
© Riproduzione riservata

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