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Oggi più che mai serve un’analisi sociologica della sanità

di Nunzia Boccafono

15 FEB -

Gentile Direttore,
l’afflato nell’esporre valutazioni, accuse e anche proposte di rinnovamento del nostro sistema sanitario su questo giornale è indice di quanto la sanità pubblica sia a rischio di debacle e, ancor di più, quanto il sistema sia oggi fondamentalmente, se non esclusivamente, retto dai soli professionisti. Eppure sono proprio questi i meno determinanti nelle opere di ingegnerizzazione dei modelli o delle nuove proposte di riforma. Si adesso è la fase degli ingegneri gestionali. Dopo la fase degli aziendalisti degli anni ’90 (DL 502e 229) che ha determinato il prestazionismo nel rapporto medico/paziente, quella dei giuristi (anni 2000) che ha incrementato il prestazionismo della mera medicina difensiva, ora è il momento degli ingegneri gestionali.

Chiedo allora al prof. Cavicchi che con tanta lucidità e acutezza sta promuovendo il dibattito sulla sanità con coraggio intellettuale e visione laica, un suo parere.

Quale sarà l’influenza dell’ingegneria gestionale e soprattutto quando arriverà il momento dell’influenza della cultura sanitaria sull’organizzazione del sistema?

Lei professore che ha chiaramente identificato negli anni ’90 il vulnus della decadenza del sistema con cui concordo anche se non sono completamente d’accordo sull’attribuire tutta la responsabilità ad un ministro o ad un solo partito.

Ho vissuto da operatore “specializzato” la tempesta perfetta degli anni ’90 in cui la congiuntura è stata favorevole e ne sono corresponsabile. “il cittadino a caccia di prestazioni per compensare il naturale bisogno di salute, i sanitari incentivati anche economicamente a produrle, il sistema privato a “straprodurre”, il politico a valutare con un solo click la reattività e la performance del suo sistema e i manager a rendicontare positivamente gli obiettivi di mandato.”

Negli anni ’90, ancor prima della riforma Bindi la cultura sanitaria era pervasa dai concetti della misurabilità e programmazione delle scuole di economia aziendale. I costi e la misurazione delle prestazioni avrebbero risolto tutti i problemi. Lei sicuramente ha una visione più complessiva ma a me pare che la Bindi e l’allora governo abbiano seguito solo la solita strategia adottata spesso da alcune regioni ovvero, di essere i primi della classe e legiferare prima degli altri. A mio parere “la marchetta” era già insita nel sistema con l’assenso di tutti gli stakeholder come suddetto; popolazione in primis che aveva intravisto la possibilità di autogestione della cura con il consumo di prestazioni acquistabili gratuitamente o comunque a prezzo “politico” al CUP.

Pertanto se il politico sia stato a suo tempo incapace di prevedere le conseguenze negative dei propri atti (come propendo) o se li abbia volontariamente determinati ha lo stesso valore di malgoverno. È importante però capire quali siano state le vere cause profonde che hanno determinato la congiuntura e quali le posizioni dei vari attori. Ciò perché è necessario all’identificazione dell’attuale congiuntura; come si posizionano le persone, quali desiderata. In altre parole oggi più che mai serve un’analisi sociologica della sanità, ma laica. Ieri due delle regioni più importanti e popolate d’Italia hanno eletto coalizioni di centrodestra che hanno portato avanti campagne elettorali specifiche sulla sanità. Regioni in cui la sanità privata è molto radicata. Vero che ha votato solo il 40% degli aventi diritto ma che ci piaccia o no la gente ha scelto di essere governata dal centrodestra e quindi?

Lei Professore lo ha già scritto e io l’ho apprezzato nei suoi articoli. Anche il dr. Panti con il suo appello “Solo i cittadini possono salvare il Ssn” sempre su questo giornale. Diciamo che anche i professionisti possono contribuire con i fatti a salvare il sistema se li lasciamo lavorare e creiamo sinergie facilitanti l’attività sanitaria e la sburocratizzazione del loro lavoro. Se ne può parlare.

Oggi sembra che il problema principale della sanità siano le liste d’attesa delle prestazioni ambulatoriali su cui si negoziano risorse fra governo e regioni e fra sistema pubblico e privato. Ho già avuto modo di esprimere quanto a mio parere questo sia un falso problema, funzionale solo alla bagarre politica e diseducante per i pazienti.

Anche il Ministro Schillaci ha aperto una riflessione: «Sulle liste d'attesa bisogna fare un'operazione che non è soltanto economica, non basta mettere soldi per fare sì che vengano abbattute: bisogna razionalizzare e cercare l'appropriatezza, siamo nel terzo Millennio e ci vuole una visione diversa della sanità pubblica, nell'interesse dei malati».

Condivido Ministro, la riflessione è necessaria. Le liste d’attesa non sono indicatore di esito, non evidenziano lo stato di buona o cattiva salute del cittadino e neanche del sistema. Sono indicatori di processo, ovvero DEVONO essere funzionali al management per la migliore e reattiva allocazione delle risorse professionali e tecnologiche.

Dunque rendiamo virtuali i CUP e mettiamo a disposizione dei prescrittori la prenotazione con l’ausilio di amministrativi in equipe che possano cogestire le attese e far decidere ai sanitari a seconda del caso la prestazione e i tempi più idonei. Si possono creare modelli a diversa intensità a seconda dell’ambiente.

Le prestazioni già in lista possono essere scrinate dai professionisti sulla base delle cartelle informatizzate, ove presenti, o attraverso chiamate dirette attive. Molte prestazioni sono state evase durante la pandemia con grande soddisfazione dei pazienti (analisi di qualità percepita disponibili).

Si può fare.

Nunzia Boccaforno

Medico di Sanità Pubblica



15 febbraio 2023
© Riproduzione riservata

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