Gentile Direttore
la lettura dell’articolo di Anaao Giovani che celebra le migliorate condizioni di lavoro, previste dalle recenti modifiche alla normativa di settore, ha suscitato in me alcune inevitabili riflessioni.
Se infatti è innegabile che i giovani specializzandi debbano essere adeguatamente retribuiti per il lavoro e l’impegno per cui vengono assunti dalle Aziende Sanitarie e debbano dunque godere di tutte le tutele previste per il personale dipendente di ruolo, è altrettanto vero che non possono passare inosservate le disparità di trattamento nei confronti dei colleghi Medici di Medicina Generale operanti sul territorio, nella fattispecie dei Medici di Medicina dei Servizi, impiegati con rapporto convenzionale regolato da un Accordo Collettivo ormai obsoleto (che nessuno ha interesse ad adeguare alle mutate esigenze territoriali), presso le stesse strutture sanitarie pubbliche con impegno orario di 164 ore mensili (cioè 38 ore settimanali) ed una retribuzione netta pari a circa 2.000 euro, in mancanza di molte delle tutele che sono state invece recentemente introdotte per migliorare le condizioni di lavoro degli specializzandi (legge 104, permessi per concorsi, corsi di aggiornamento, ecc.).
Non credo sia necessario aggiungere altro... Grazie all’Anaao, il sindacato più rappresentativo della Dirigenza medica italiana, per aver contribuito in maniera decisiva ad acutizzare il gap generazionale e, soprattutto, ad esacerbare le disparità tra Professionisti della Sanità Ospedaliera e Professionisti della Sanità Territoriale del medesimo ed unico Sistema Sanitario Nazionale, penalizzando indirettamente i Medici “non più giovani” che, nonostante le esperienze ultradecennali in “ Medicina di strada”, sembrano ormai definitivamente condannati a quello che di fatto è uno “sfruttamento legalizzato”.
Se tutto ciò viene percepito dalle rappresentanze sindacali di categoria come “normale” è inutile interrogarsi sul perché nessuno voglia più fare il Medico di Medicina generale ed è inutile soprattutto prospettare soluzioni “miracolose” per invertire la deriva nichilista in quanto, in un contesto così radicato, ogni eventuale tentativo di cambiamento risulterebbe “culturalmente” inaccettabile e, di fatto, inattuabile.
Bisogna prendere atto dell’ineluttabilità della sorte a cui è stata, da sempre, pre-destinata la buona parte dei professionisti medici a rapporto convenzionale operanti nella Sanità Territoriale. Con buona pace del grande malato, il Sistema Sanitario Nazionale.
Nadia Peparini