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I sessant’anni dell’Aris e la scelta di farsi non profit

di Virginio Bebber

03 AGO -

Gentile Direttore,
l’Aris compie sessanta anni. Era esattamente il 5 agosto del 1963 quando, a Milano in un antico stabile al numero 2 di Via Larga, il notaio Giuseppe Cazzaniga notificava la nascita dell’Associazione Religiosa Istituti Spedalieri (dal 1977 Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari).

In realtà l’idea di riunire in un’associazione le istituzioni sanitarie cattoliche covava da anni nell’anima di alcuni esponenti di Ordini e Congregazioni religiose dedite al servizio ai malati. In effetti agli inizi degli anni sessanta si cominciarono ad avvertire i primi sintomi di importanti mutamenti nel contesto socio politico del Paese. Mutamenti che portarono ben presto a quel diffuso desiderio di riforme che non mancò di interessare da vicino proprio il sistema sanitario ospedaliero, riconosciuto del tutto inadeguato a rispondere alle necessità crescenti della popolazione.

E dato che, così come l’innegabile riconoscimento della storia certifica, proprio alle opere della Chiesa, almeno nell’Occidente, si devono le prime forme organizzate di assistenza ai malati, così come ai poveri ed ai bisognosi, si cominciava in quegli anni a ragionare proprio su quale ruolo avrebbero dovuto avere le istituzioni sanitarie cattoliche in rapporto alle altre istituzioni sanitarie private e alle stesse istituzioni sanitarie pubbliche.

Era dunque necessario che le istituzioni sanitarie cattoliche si preparassero ad affrontare insieme il sicuro processo riformatorio. L’idea di dare vita ad una Associazione rappresentativa fu concepita da Padre Luigi Marchesi, allora Segretario della Provincia Lombardo-Veneta dei Fatebenefratelli, e da Padre Mosè Bonardi, Superiore della stessa Provincia FBF. Naturalmente furono in tanti a condividere l’idea e a portarla avanti.

Ho avuto l’onore e l’onere di raccogliere la loro grande eredità nel 2017 ed ancora oggi ne porto il peso e la gioia della responsabilità.

Panta rei, i paradigmi cambiano. Si adeguano ai mutamenti culturali e normativi. Ma anche alle dinamiche economiche e sociali. Le questioni importanti, invece, quelle che meglio di altre rivelano identità e valori, per fortuna, restano.

Da sessant’anni le nostre strutture socio-sanitarie sono parte istituzionale del sistema sanitario nazionale. In prima linea. E ben prima che le riforme, quelle che si sono succedute e quelle in itinere, recepissero, a beneficio dell’universalismo e della libertà di scelta, come costitutiva ed essenziale per la tenuta del sistema questa nostra presenza.

Oggi sono oltre 260 le strutture associate. Tra queste ce ne sono alcune che, pur non essendo gestite da ordini o congregazioni religiose, condividono profondamente i valori religiosi, etici, e morali che costituiscono la nostra identità cristiana e hanno voluto unirsi, in convenzione, al nostro cammino. Ultima in ordine di tempo l’importante struttura romana del Campus Biomedico. Ma la cosa che più ci inorgoglisce, è la caratteristica ecumenica della nostra associazione testimoniata dalla presenza storica tra di noi di strutture ebraiche e della Chiesa Valdese.

Presenza impegnata e testimoniante, della capacità di conciliare carità e managerialità, sostenibilità e solidarietà, responsabilità e autonomia impreziosita dalla scelta di operare come strutture no profit. Questa scelta fondamentale, fortemente voluta dall’Associazione, è una caratteristica strategica costante di ARIS. Mai messa in discussione. Anzi, sempre difesa e rafforzata in tutte le successive riforme del servizio sanitario del Paese.

Ciò che più ha impreziosito la presenza delle nostre strutture nel sistema Paese è stata la scelta di farsi non profit sulla scia del loro caratteristico spirito di servizio ai sofferenti che si ispira al Vangelo. Si tratta, in sostanza, di far convivere, nella concretezza dell’organizzazione sanitaria e della sua gestione, efficienza, sostenibilità e valori di solidarietà. Paradigmi che funzionano se sono intrecciati saldamente. Senza sfilacciature. Senza falsi miti.

Essere non profit, le riforme in itinere di impresa sociale e terzo settore lo riaffermano con energia, non vuol dire legittimare perdite, alibi talvolta per sprecare, e neppure giustificare gestioni inefficienti. Essere non profit vuol dire reinvestire all’interno dell’istituzione gli avanzi conseguiti come fattore essenziale di investimento, sviluppo e di aggiornamento. Investimenti in tecnologie ed infrastrutture, ma anche nella qualità e nella responsabilizzazione (anche carismatica e valoriale) del personale.

Perché solo la posposizione dell’interesse individuale e privato a quello collettivo postula autenticamente responsabilità e sostenibilità. Diversamente questo binomio, anche in contesti di accreditamento, è a rischio, perché responsabilità e sostenibilità lì diventano solo compatibili, a rischio di abuso.

L’ARIS continua dunque ad impegnarsi per sostenere e far crescere la consapevolezza del non profit sanitario, cioè la coscienza di rappresentare una ricchezza di disponibilità, di risorse materiali e spirituali insostituibile. E non si tratta semplicemente di una affermazione di principio, quanto piuttosto della volontà concreta di fornire ai propri associati occasioni di aggiornamento e di comune elaborazione di indirizzi organizzativi e di strumenti gestionali in grado di rispettare e riflettere queste peculiarità.

In questa logica l’ARIS continuerà dunque a schierare a difesa di un sistema a copertura universalistica del diritto alla salute, oggi messo in discussione, sia dal perdurare della crisi economico-finanziaria che dagli interessi di fortissimi gruppi economici che sostengono l’esigenza ineludibile del ricorso alla previdenza integrativa e sostitutiva, con il superamento dell’attuale sistema sanitario.

Una presenza, la nostra, dimostratasi irrinunciabile per il sistema sanitario del Paese, proprio nel momento dell’emergenza causato dalla pandemia che ha colpito il mondo intero. Difficilmente il Paese avrebbe potuto far fronte all’emergenza sanitaria che ne ha sconvolto la vita, senza l’apporto delle nostre opere. E hanno dovuto prenderne atto anche le autorità istituzionali, quelle stesse che hanno mostrato tanta difficoltà nel riconoscere il nostro ruolo. Tant’è che nel momento in cui si è deciso finalmente di metter mano ad una profonda revisione dell’assetto assistenziale del nostro Paese, si è capito che non esiste sanità pubblica senza la sanità privata, così come non esiste sanità privata senza la sanità pubblica.

Noi ci battiamo perché tutto ciò resti una convincente e riconosciuta realtà.

Padre Virginio Bebber



03 agosto 2023
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