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Tariffe specialistica, dubbi sul parere della Ragioneria dello Stato

di Alberto Breschi

05 APR - Gentile Direttore,
la Ragioneria Generale dello Stato ha rilasciato un parere in merito alla vicenda del rinvio dell’entrata in vigore del tariffario nazionale ambulatoriale al 1/1/2025. Le affermazioni che si desumono dal parere sono molto controverse ed esprimono una posizione rispetto al livello tariffario che si vuole immettere nel sistema tutto sommato sommarie e ingiuste.

Due sono i passaggi a mio avviso ambigui :
il primo, a pag. 4 : “In disparte da quanto sopra rappresentato, qualora le problematiche alla base della richiesta di differimento fossero determinate da richieste pervenute da associazioni di categoria che lamenterebbero valutazioni difformi su talune tariffe in relazione, in particolare, ai laboratori analisi che non si sono efficientati negli anni, si rappresenta che, si potrebbe valutare insieme al Ministero della salute di costituire una task force all’uopo destinata. Si ricorda che eventuali ulteriori oneri per ulteriori aggiornamenti tariffari sono già disponibili a legislazione vigente, per cui si potrebbe lavorare su un provvedimento di eventuale aggiornamento tariffario, dove ritenuto necessario.”

La Ragioneria sembra ignorare che il nuovo tariffario nazionale è nato analizzando la spesa regionale sulle singole branche specialistiche che a tutti è noto essere rendicontata non sulla base di un’analisi industriale, ma sulla base dell’ipotetico costo del settore pubblico per queste prestazioni che in bilancio nelle Regioni e nelle aziende pubbliche è rendicontato a tariffa regionale1, che a sua volta è declinata salvo rare eccezioni sulla base della tariffa nazionale ferma, se va bene al 2012, ma per la verità risalente al DM del 1996.

Ora dire che la tariffa attuale equa è quella che figura nei bilanci pubblici (si vedano le premesse metodologiche al lavoro sulle tariffe massime nazionali del 2023) non solo è una tautologia, ma è anche un modo di superare “gagliardamente” l’obbligo2 (di legge) di parametrare le tariffe ad una seria analisi dei costi reali.
In Emilia-Romagna è stata commissionata una analisi dettagliata e approfondita ad un istituto di indagini econometriche di primaria importanza, che ha radiografato i bilanci e le evidenze di contabilità industriale di alcune strutture private accreditate che, come è ovvio, in bilancio mettono i costi reali, comprensivi di ammortamenti e di quota delle spese generali, e i ricavi reali determinati dalle tariffe in vigore. Le risultanze sono una perdita secca per il settore delle visite, come di fatto la Ragioneria può rendersi conto in un amen pensando che la tariffa proposta è 23 euro per una visita che deve durare dai 20 ai 30 minuti, per quello della diagnostica per immagini (non solo TAC e RM, ma anche ecografie e doppler), della terapia fisica, dell’oculistica, endoscopie ecc.

Solo sulle RM la riduzione proposta dal tariffario nazionale è del 28%, come media, rispetto a quelle del 1996, con punte del 34%. Anche qui si può non credere alle conclusioni di un centro studi, ma la domanda è : è credibile che in quasi trent’anni di inflazione, nonostante il progresso tecnologico, i costi di una prestazione possano calare del 30%?

Passiamo al secondo dei passaggi di cui si diceva:
sempre a pag. 4: “Si ricorda ad ogni buon fine che le tariffe oggi in vigore sono state adottate con DM 18/10/2012, basate quindi su valutazioni ormai datate. Non si comprendono, pertanto, le problematiche legate ad un aggiornamento tariffario basato su dati molto recenti, con aggiornamenti apportati dal Ministero della salute fino a tutto l’anno 2022, dopo un ampio confronto sia con le regioni, che hanno peraltro espresso intesa sul provvedimento, sia con le associazioni di categoria interessate (sia mediche che degli erogatori di prestazioni). In merito ai necessari processi di efficientamento dei laboratori analisi, ancora da attuare, al fine di salvaguardare la corretta gestione delle risorse nell’erogazione efficiente delle prestazioni assistenziali, si rammentano le conseguenze previste dalla normativa vigente nell’ambito del sistema premiale sul settore sanitario nelle regioni in ritardo su tale processo.”

Anche qui il confronto con le Regioni di cui si parla è stato fondato su analisi che riportano il valore in bilancio pubblico di quelle prestazioni, non il costo reale, come si diceva, ed è basato su una formula circolare: costa così perché in bilancio ho valutato sulla base delle tariffe in vigore il loro costo. Per quanto risulta dalla relazione tecnica e da quella metodologica adottate in premessa al DM sulle tariffe massime, solo per le prestazioni di laboratorio è stata adottata un’analisi dei costi reali, basati però su strutture la cui scala industriale, per le loro dimensioni, è lontana dal campione medio nazionale. Per tutte le restanti prestazioni, quando il fine di una analisi è quello di trovare delle componenti reali di un costo economico, scegliere come riferimento le valutazioni di ricavo ipotetico che un ente pubblico ne ha fatto nel suo bilancio adottando proprio le tariffe in vigore che si vogliono cambiare, non sembra la strategia migliore, né quella più giusta!

Ma non è tutto: perché il ricavo è ipotetico? Perché come è a tutti noto le tariffe si applicano solo nelle aziende private accreditate, mentre quelle pubbliche hanno un riconoscimento cosiddetto a piè di lista. Salvo che nelle aziende ospedaliere pubbliche dove regna una parvenza di autonomia dal finanziamento, poi offuscata dal riconoscimento del deficit con finanziamenti a parte, deficit determinato in gran parte dalla sottostima delle tariffe ospedaliere e ambulatoriali, in quelle in capo alla Aziende USL il costo determinato dalla sommatoria delle tariffe non copre nemmeno il 60% del costo di produzione delle prestazioni.

Almeno sotto questi due profili il testo della relazione della R.G.S. appare impreciso e non del tutto conforme alla realtà dei fatti.

Apprezzabile invece l’invito a non procrastinare l’entrata in vigore dei nomenclatori, se la raccomandazione riguarda le voci dei nomenclatori regionali mancanti rispetto a quelli nazionali, così da determinare l’allargamento complessivo ai LEA del 2017 e salvaguardare gli aggiustamenti informatici già posti in essere, a patto che sulle tariffe si proceda alla riconduzione dei nomenclatori alle tariffe attuali e vigenti in ogni regione e, per i motivi esposti, ad una loro revisione frutto in tutti i settori di una corretta analisi dei costi reali, generali e specifici.

Avv. Alberto Breschi
Esperto di diritto sanitario


NOTE

1. Ministero della Salute – Relazione Metodologica al tariffario 2023 delle tariffe massime Nazionali – pag 18 : Per le prestazioni del nuovo nomenclatore per cui manca una rilevazione dei costi è stato necessario partire dal calcolo di un valore di riferimento basato sulle tariffe delle regioni ritenute più rappresentative dal punto di vista dei volumi erogati e dell’erogazione delle prestazioni ricomprese nel SNN.

2. Ministero della Salute – Relazione tecnica al tariffario 2023 delle tariffe massime Nazionali : Quadro Normativo , pag 1: Le tariffe massime nazionali in tal modo determinate devono basarsi sui costi standard di produzione e su quote di costi generali calcolati sui dati relativi ad un campione di strutture accreditate pubbliche e private.



05 aprile 2024
© Riproduzione riservata

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