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Per “fare” formazione in ospedale non serve andare all’estero

di Marco Montorsi

10 APR - Gentile direttore,
volentieri partecipo alla discussione sollevata e sollecitata dai colleghi Piazza e Marini nel loro recente intervento “Se una società scientifica vuole ‘fare’ formazione in ospedale deve andare all’estero”, pubblicato su Quotidiano Sanità.

Premesso che il tema della formazione professionale è al centro di ogni programma delle maggiori società scientifiche sia del nostro Paese che all’estero, si tratta ora di intendersi su quale sia il metodo migliore per raggiungere tale obiettivo e se qualcosa impedisca che ciò avvenga all’interno delle nostre strutture ospedaliere.

Sia l’ACOI che la Società Italiana di Chirurgia hanno da tempo istituito Scuole Speciali di Formazione su diversi aspetti della chirurgia generale all’interno degli ospedali Italiani (in strutture a direzione ospedaliera o universitaria) proprio con l’obiettivo di fornire ai discenti livelli di competenze più avanzate per il miglioramento della propria attività professionale.

Tali iniziative, dopo anni di entusiasmo e successo, stanno vivendo oggi un momento di crisi vocazionale e hanno motivato all’interno delle nostre società scientifiche una profonda riflessione (condotta anche in comune) con l’obiettivo di renderle più moderne, attuali e rispondenti ai rinnovati bisogni dei nostri soci.

Se ora l’ACOI sente la necessità di allargare tale modello formativo (sotto forma questa volta di master universitario) a collaborazioni con università estere (Malta nella fattispecie) è naturalmente libera di farlo, ma mi sento di poter dire che tale master potrebbe essere organizzato in collaborazione con una qualsiasi università italiana ai sensi dell’art. 3 del D.M. 270/2004.

Ricordo, infatti, che l’utilizzo del termine “master” è regolato solo in ambito accademico dove indica un corso di studio post-laurea a cui corrisponde un impegno formativo pari ad almeno 1.500 ore (l’equivalente di almeno 60 CFU), al completamento del quale viene rilasciato un titolo di studio avente valore legale. Il riconoscimento reciproco di questo titolo sull’intero territorio europeo non è poi mai automatico ma risente della legislazione vigente in ogni singola nazione o istituzione accademica.

All’infuori di questa tipologia, sono inoltre attivi sul territorio nazionale numerosi master promossi da soggetti o enti pubblici e privati, il cui successo viene dettato dal “mercato” ed è legato alla qualificazione e autorevolezza del soggetto erogatore.

Non mi risulta che nulla osti a che master di livello universitario vengano organizzati in collaborazione o convenzione con strutture ospedaliere, oppure con la collaborazione di società scientifiche di settore, fatta salva una attenta valutazione sulle implicazioni e le ripercussioni che tali attività hanno su organizzazione e orari di lavoro ospedalieri oggi già molto compressi.

Per concludere, credo che un onesto e costruttivo dialogo tra tutte le componenti delle società scientifiche e i rappresentanti delle istituzioni rappresenti il metodo migliore per proporre e attuare iniziative formative valide senz’altro alla portata del nostro Paese.
 
Marco Montorsi
Presidente Società Italiana di Chirurgia


10 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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