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Ddl Lorenzin. Lobby scatenate

di Luciano Doniaquio

17 OTT - Gentile Direttore,
tra gli atti parlamentari pubblicati sul DDL Lorenzin ho constatato recenti emendamenti di minoranza, presentati per modificare l'art. 7 che disciplina le modalità istitutive della professione di osteopata. Questi emendamenti tenderebbero ad introdurre un "parere vincolante" per l'istituzione della professione di osteopata da parte del Consiglio Superiore di Sanità, anziché un parere istruttorio come ribadito dal DDL.
 
Un emendamento, in particolare, richiede anche di ridimensionare "a priori" l'attività sanitaria dell'osteopata ad attività "tecnico sanitaria" con tutte le conseguenze del caso. Non discuto certo la legittimità dell'iniziativa, ma pare utile riferirsi alle premesse della lunga querelle da cui questi emendamenti traggono riferimento.
 
E' innanzitutto significativo il riscontro della contemporaneità tra la presentazione dell'emendamento e l'appello di alcuni fisioterapisti, notificato nei giorni scorsi ai parlamentari esattamente negli stessi termini.
 
Analizzando il metodo di questo pressing, o ingerenza dell'ultima ora che dir si voglia, riaffiorano alla memoria le pesanti critiche che i probabili ispiratori di questo emendamento rivolsero nel 2016 ai senatori della Repubblica, giungendo ai limiti della calunnia. In quella circostanza, alcuni di loro giunsero a definire conniventi quei rappresentanti che emendarono a larga maggioranza il testo del DDL allo scopo di introdurre le nuove professioni sanitarie di osteopata e chiropratico. Verrebbe da dire genericamente: "chi è senza peccato scagli la prima pietra". Ma non è questo il caso. 
 
Allora, infatti, i senatori realizzarono un preciso indirizzo del Ministero della Salute a favore della legalità e della salvaguardia sanitaria, non certo un favore personale agli osteopati. Il testo forse era generico, forse avrebbe dato adito a un'improbabile sanatoria o a probabili ricorsi. Poco male, al termine di un lungo lavoro di alto profilo culturale e politico, quel testo è stato ridefinito e migliorato dalla Commissioni Affari Sociali della Camera anche grazie agli apporti delle categorie santiarie.
 
Oggi, invece, l'assalto alla formulazione attuale non ha alcuna giustificazione logica se non quella di riaffermare la trita matrice ingiustificata e pregiudizialmente anti-osteopatia di alcune lobby contrarie. Quindi, fermo restando il criticabile tentativo di stravolgimento dell'accordo unanime raggiunto in Commissione parlamentare, il contesto conflittuale e irragionevole che ha prodotto gli stessi emendamenti dovrebbe indurre qualsiasi parlamentare a ritirare proposte così tendenziosamente di parte, per quanto consapevole delle loro scarse prospettive.
 
Inoltre, la richiesta di "parere vincolante" del Consiglio Superiore di Sanità renderebbe marginale il ruolo della Conferenza Stato-Regioni. Ovvero, la stessa assise si troverebbe a ratificare una scelta realizzata in altra sede anziché deliberare l'istituzione della professione alla luce dei bisogni sociali e sanitari della collettività. Viceversa, il ruolo "tecnico-sanitario" degli osteopati, imposto contestualmente all'individuazione della professione, condizionerebbe lo stesso parere dell'autority sanitaria nel merito dell'istituzione della nuova professione. Un mostro giuridico, insomma, che presupporrebbe una limitazione del giudizio del CSS che a sua volta, però, dovrebbe vincolare la decisione della Conferenza Stato/Regioni. Non resterebbe che aspettarci la richiesta delle categorie contrarie all'osteopatia di una loro consultazione preventiva da parte del CSS.
 
Per concludere, ci si potrebbe chiedere perché gli ispiratori di questi emendamenti si battano per inficiare il riconoscimento dell'osteopatia anziché pretendere la più alta qualità della stessa a beneficio sanitario collettivo. Ad esempio, essi potrebbero pretendere una moratoria immediata dei corsi di osteopatia non autorizzati né controllati, oppure criteri di tracciabilità assai rigorosi per la futura abilitazione sanitaria di osteopati e chiropratici. Ogni risposta a questa domanda riguarderebbe probabilmente la necessità illiberale e corporativa di lasciare queste attività nel vuoto normativo, ovvero alla mercé di professione diverse che intendano farle malamente proprie. Tentativi, questi ultimi, senza alcuna legittimità né dignità culturale.
 
Considerati questi antefatti, gli osteopati potrebbero portarsi al basso livello dei loro detrattori sostenendo un altro emendamento, volto a introdurre un altro "parere vincolante" del CSS nel merito delle competenze deontologiche e scientifiche dei loro detrattori, in previsione del riconoscimento del loro ordine professionale, come previsto anch'esso dal DDL 3868. Differente, tuttavia, è il rispetto degli osteopati per le istituzioni democratiche e per la Sanità italiana. Essi non hanno perso il senso del ridicolo, non avendo condiviso il campo di questa squallida tenzone.
 
Luciano Doniaquio
Osteopata D.O. - I.E.M.O. Genova. Socio fondatore dell'Associazione Professionale degli Osteopati

17 ottobre 2017
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