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Il medico, come un Arlecchino servo di tre padroni?

di Antonio Panti

01 SET - Gentile Direttore,
la medicina progredisce con ritmo travolgente sul piano scientifico e tecnologico, mentre la società cambia e perde gli antichi valori di riferimento (tra l'altro il principio di autorità e il valore dell'esperto). Il medico, che si interpone tra medicina e società, cambia anch'esso ed è cambiato molto negli ultimi decenni, da quando la professione si esercita al'interno di enormi e complicate organizzazioni che necessitano di ingentissimi finanziamenti e di una forte amministrazione; il medico non può che adeguarsi alle innovazioni tecniche, alle esigenze sociali e alle necessità organizzative.
 
Il medico ha sempre rivestito un preciso ruolo sociale, colui che conosce il male e lo sa curare o lenire. Un ruolo svolto in un rapporto individuale, tra medico e paziente, per quanto abbia sempre ricoperto anche un ruolo di comunità, stipendiato dallo Stato negli ospedali o nelle condotte. Tuttavia il ruolo prevalente è quello clinico individuale, prima il medico della persona che della comunità.
 
Oggi la professione subisce i grandi cambiamenti tecnologici, scientifici e sociali sui quali non può quasi nulla e che richiedono notevoli capacità e competenze adattative. Incombono dilemmi etici e esigenze collettive e "politiche" - i rischi ambientali e il rispetto delle future generazioni-, mentre imperversa l'amministrazione e la burocrazia, il futuro è incerto ed è tramontata la dominanza sulle altre professioni; il disagio del medico si intreccia con la crisi politica e economica dei grandi servizi sociali.
 
Nel caso italiano i problemi sono sia specifici che globali: il sottofinanziamento del servizio sanitario, il regionalismo che lede l'uguale diritto dei cittadini, la mancata valutazione economica dei LEA, i rapporti tra le professioni sanitarie.
Si può aggiungere la perdita di ruolo per la conflittualità dei pazienti, il consumerismo, la transizione demografica, il proceduralismo legale e l'invasione del diritto (law saturated society), il prevalere dei diritti sui doveri
 
Ma, al di là dell'elencazione dei punti critici, che può essere ampliata, appare chiaro come il disagio dei medici, la cosiddetta questione medica, rappresenti un problema nodale per decidere quale sanità debba essere offerta alla popolazione, nel pieno dispiegamento delle molteplici possibilità della medicina moderna.
 
La soluzione dei problemi della sanità, che è squisitamente politica, si riverbera sull'esercizio della professione medica, ma è da questo condizionata perché la autonomia che i medici rivendicano viene ancora richiesta dal cittadino ed è  presente nel diritto e nelle decisioni delle corti.
 
La questione medica si definisce meglio come percezione negativa dei limiti posti all'autonomia del medico, limiti amministrativi, il budget; giuridici, la colpa professionale; scientifici, le linee guida; etici, il consenso informato.
 
Le aree di conflitto sono molte, la società, la scienza, l'organizzazione, il futuro legato alla tecnica, le procedure legali, le politiche ambientali, come sono molteplici le questioni poste dall'innovazione sul piano etico, epistemologico, delle stesse finalità della medicina, che oggi comprende anche il potenziamento dell'individuo.
 
Occorre trovare un filo logico al fine non solo di argomentare ma di definire una possibile area di confronto con la società, mantenendo i principi della professione e sintonizzandone i valori di autonomia e indipendenza col servizio all'uomo e alla comunità.
 
E' tuttora frequente la confusione tra libera professione e professione libera. Il professionista libero ha un rapporto economico col cliente, chiunque esso sia, nei cui confronti ha doveri di lealtà, correttezza e diligenza.
 
Oggi i medici operano per lo più all'interno di grandi organizzazioni e, pur mantenendo integro il rapporto deontologico col paziente, non possono sottrarsi agli obblighi di lealtà, correttezza e diligenza verso chi ne onora le prestazioni professionali, il terzo pagante.
 
Ma i costi per la collettività sono tali da richiedere un'oculata amministrazione e una competenza organizzativa peculiare e specifica. Vi è una tipicità gestionale dei servizi sanitari dei quali il medico è un consulente alla ricerca di un equilibrio decisionale rispetto alle plurime esigenze sia dei fruitori del servizio che della collettività.
 
La professione però, se è libera (si dice ancora così) allora non è servile, il che significa che l'interesse del cittadino è garantito dall'atteggiamento del professionista nei suoi confronti. Il medico vive  il dilemma tra l'essere il curante della persona che gli si affida e il garante della tutela della salute della collettività. Il disagio nasce dalla difficoltà di questa convivenza in un periodo di scarsa chiarezza politica, di patente deriva economicistica, di conflittualità col pubblico, di perdita di autorità in quanto esperto.
 
Tuttavia, se vogliamo partire dalla deontologia, dovremmo configurare l'agire medico come se ogni suo atto dovesse essere misurato nell'interesse della comunità, nel suo valore sociale, sul piano dell'equità, avendo soddisfatto i piani della scientificità e del rispetto dell'autodeterminazione del cittadino. Arlecchino servo di tre padroni.
 
Il medico dovrebbe sempre chiedersi se generalizzando le sue decisioni la società ne trarrebbe danno o vantaggio. Spesso la scelta è ardua o impossibile ma l'atteggiamento dovrebbe essere questo. In conclusione si propone un'opera di formazione verso un nuovo equilibrio di antichi valori. Ma su questi è possibile un nuovo patto sociale?  
 
Antonio Panti

01 settembre 2018
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