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Medicine complementari. Non facciamo gli schizzinosi per favore

di Pietro Cavalli

06 SET - Gentile direttore,
la Medicina non è mai stata troppo schizzinosa (“choosey” direbbe la Fornero). E neppure dovrebbe esserlo. La sua storia ed il suo successo sono proprio basati sul fatto che in Medicina si fa (o si dovrebbe fare) quello che serve al paziente, e di conseguenza, ma solo in secondo ordine, al medico. Giusto quindi fermarsi a riflettere se sia giustificato pensare alla Medicina come ad una scienza e quindi se sia corretto definire la medicina ufficiale come “medicina scientifica” in antitesi alle medicine “non convenzionali”.

Per i distratti vale la pena di ricordare che molti rimedi utilizzati dalla medicina scientifica non sono stati scoperti da alcun scienziato. E l'elenco è lungo, dal chinino alla corteccia di salice, alla digitale, all'artemisina.

Nel 1775 William Withening, celebre medico di Birmingham, in un'epoca in cui il termine “celebre” aveva un significato davvero importante, fu informato che un'anziana contadina possedeva il segreto per curare con pazienti affetti da idropisia dopo che tutti gli interventi della medicina ufficiale avevano fallito.
 
Non pensò minimamente a sottovalutare l'informazione, anzi, studiando gli ingredienti del decotto utilizzato dalla praticona scoprì che l'effetto terapeutico era dovuto alla digitalis purpura, un'erba comunissima nelle campagne. L'impiego della digitale su 158 pazienti affetti da scompenso cardiaco congestizio si tradusse in un completo successo su 101 casi.
 
Secondo Autori successivi probabilmente gli altri soffrivano di patologia tubercolare e per questo motivo non trassero giovamento dalla terapia. Umiltà ed osservazione: queste le doti principali di Withening, che impiegò la digitale senza avere la benchè minima informazione sul suo meccanismo d'azione. Però, con le dovute cautele relative alla sua tossicità, la terapia funzionava e quindi si poteva e doveva usare sui pazienti.

Certo, oggi l'approccio è totalmente differente e le terapie a bersaglio molecolare richiedono non solo osservazione e serendipity, ma un rigoroso approccio biologico e conoscenze certamente di elevato livello scientifico. Tuttavia i medici non possono dimenticare quello che sono stati durante tutta la loro storia e soprattutto, nel perseguire l'obiettività, non debbono scordare l'importanza di una 'osservazione attenta della realtà.

Oggi invece si vive tutti in un altro paradigma, laddove quello che serve al paziente non deriva tanto dall'osservazione, quanto dalle Linee Guida e dalla EBM (evidence based medicine).

Nel 1996 Sackett, a fronte di un'interpretazione che stabilisce che ogni percorso clinico diagnostico e terapeutico debba essere basato sulla ricerca dell'obiettività della conoscenza medica, chiarisce sul BMJ come debba essere intesa la EBM: “integrare l'esperienza clinica individuale con le migliori conoscenze derivate dalle revisioni sistematiche delle ricerche cliniche.
 
Senza l'esperienza clinica, la pratica rischia di subire la tirannia delle prove scientifiche, perchè anche le migliori evidenze possono essere inapplicabili o inappropriate per il paziente..”. E' esperienza comune che, nonostante queste affermazioni, la EBM abbia costituito l'ultima grande rivoluzione della Medicina e come tale sia considerata una sorta di Tavola della Legge, del tutto indenne da critiche e revisioni. Con il risultato che la nuova Medicina ha perso di vista il malato reale per rincorrere il malato ideale, rappresentato dalle Linee Guida.

I medici formati negli ultimi 20 anni sono cresciuti con il principio che le Linee Guida rappresentino la soluzione per tutti i problemi della Medicina, ignorando che la nostra Storia inizia almeno da Ippocrate ed è proseguita, con un certo successo ed a dispetto della ignoranza di tutte le generazioni di medici che ci hanno preceduto, basandosi sull'osservazione, sull'esperienza, sul ragionamento clinico (ah, il metodo!), sull'intuito e soprattutto sul rapporto con il paziente. Probabilmente nessuno di loro ha mai sentito citare la frase di William Osler: “Se non ci fosse alcuna variabilità tra gli individui, la Medicina potrebbe essere una scienza, non un'arte” .

E invece oggi la medicina viene considerata una scienza vera e propria, basta su raffinate conoscenza scientifiche necessarie (anche sufficienti?), con pretesa di riferimenti oggettivi (“a priori” kantiano?) e grande disinvoltura nel passaggio da una statistica sempre meno comprensibile a sperimentazioni con end-points esoterici, perdendosi tra alluvioni di Linee Guida e trionfi di NNTs (numbers needed to treat).

Eppure Altman nel 1995, sempre sul BMJ, in una relazione dal titolo “Absence of evidence is not evidence of absence. Statistic notes” sottolineava in termini rigorosi la non equivalenza tra significatività statistica e rilevanza clinica. Invece oggi tale riflessione, che i medici della mia generazione avevano molto chiara, sembra essersi via via perduta per strada.

Tuttavia il paradosso odierno è che non esiste alcuna evidenza che le Linee Guida, costruite appunto sull'evidenza e per migliorare gli effetti della pratica clinica, siano riuscite nel loro scopo. Anzi, a guardare la crisi attuale della Medicina, sembrerebbe il contrario. Nessuno vuol mettere in discussione la loro importanza nella trasparenza con i pazienti, nel miglioramento dell'appropriatezza, nelle garanzie medico-legali.
 
Tuttavia, senza ritornare sul discorso che in Medicina è difficile, talvolta pericoloso, utilizzare la medesima procedura per tutti i pazienti e che qualche dubbio è legittimo sul concetto “one size fits all”, non si può neppure nasconder il rischio di un confine assai labile con la burocrazia e quello di un'applicazione acritica e formale di una procedura.
 
E poi, siamo proprio sicuri che Fleming avrebbe scoperto la penicillina se avesse seguito le Linee guida sullo smaltimento dei rifiuti di laboratorio? Magari Christiaan Barnard avrebbe subito un duro provvedimento disciplinare/medico-legale per avere effettuato un trapianto di cuore senza che questo fosse contemplato dalle Linee Guida. Neppure dal Comitato Etico del Groote Schuur Hospital, peraltro.

Per tutti questi motivi potrebbe essere arrivato il momento di chiedersi se davvero questa sia una la medicina che vogliamo, quella che, nell'aiutare i pazienti è in grado di aiutare anche i medici.

L'attuale esplosione dei contenziosi rispecchia la perdita del rapporto/relazione medico-paziente: una crepa nella quale si stanno infilando tutti, politici, legulei, bioeticisti, amministratori, assicuratori, terapisti del corpo e della mente ed altro ancora. Tutto questo sembra andare di pari passo con il successo delle Medicine complementari, alle quali troppo spesso la Medicina ufficiale, che ha ormai dichiarato di definirsi “scienza”, rifiuta il confronto.
 
Personalmente penso che non valga neppure la pena di perdere troppo tempo nel confrontarsi con questo nulla che avanza e che potrebbe essere sufficiente mettere a carico dello Stato solo i farmaci con dimostrata efficacia per patologie rilevanti. Da individuo che ha superato la maturità anagrafica, non vorrei invece dovermi pagare il vaccino per l'herpes zooster per avere gratis delle gocce fatte di niente.
 
Purtroppo però oggi l'informazione, anche quella medica, sembra aver preso una direzione diversa rispetto alla competenza ed alla professionalità e quindi il confronto diventa inevitabile. Confronto, non contrapposizione.

Dopo di che mi piacerebbe che queste mie semplici osservazioni potessero integrare il discorso di Ivan Cavicchi a proposito delle Medicine complementari, che condivido totalmente (il discorso, non le terapie farlocche).
 
Aggiungerei solo la necessità, da parte di noi medici, di recuperare quelle antiche abitudini che hanno consentito la sopravvivenza del medico e della Medicina anche quando il bagaglio terapeutico più avanzato era la sanguisuga. Sto parlando dell'osservazione, della relazione, della compassione, dell'umiltà.

Magari anche un briciolo di intelligenza e di cultura potrebbero contribuire a ripensare una Medicina che ci sta proponendo un nuovo cambiamento di paradigma. Dall'evidenza alla contrapposizione.
 
Pietro Cavalli
Medico ASST Cremona

06 settembre 2018
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