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Se la “piramide dei ricercatori” finisce per umiliare chi fa ricerca

di Associazione dei Ricercatori in Sanità

18 APR - Gentile Direttore,
siamo agli sgoccioli di una battaglia di diritto: quella dei lavoratori precari della ricerca degli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e degli IZS (Istituti Zooprofilattici Sperimentali) pubblici, i motori della ricerca sanitaria pubblica italiana afferenti al Ministero della Salute. Oltre 2.000 ricercatori, con molti anni di precariato alle spalle, aspettano con ansia di poter essere riconosciuti all’interno di una figura lavorativa reale nel Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) della Sanità, come previsto dalla riforma 205/2017 (Legge di Bilancio 2018, Art 1 commi 422-434).
 
La nuova riforma degli IRCCS/IZS (denominata “Piramide del Ricercatore”) è stata pensata per risolvere l’annosa condizione di precarietà dei ricercatori di questi istituti e, a tale scopo, sono state definite due macro-categorie: il Ricercatore in Sanità ed il Personale di Supporto alla Ricerca, da inserire nel CCNL Sanità. Trattasi non di stabilizzazione, né di sanatoria, bensì di un percorso a tempo determinato di 5 anni, rinnovabile di altri 5 per i più meritevoli, e che dovrebbe infine portare il ricercatore verso un ruolo nel sistema sanitario nazionale. Ruolo che però, ad oggi, è solo sulla carta e per nulla definito.
 
L’unico riconoscimento concesso da questa riforma ai precari storici, ovvero a coloro con almeno 3 anni di anzianità negli ultimi 5 al 31/12/2017, è la possibilità di accedere direttamente ai nuovi contratti senza passare da un concorso.
 
Secondo quanto indicato nel CCNL Sanità, le due nuove figure saranno inquadrate unicamente nella sezione del “Comparto” Sanità a cui afferiscono tecnici di laboratorio e personale infermieristico ma non la dirigenza, che risulta essere invece la collocazione ordinaria dei pari-titolati impiegati nell’assistenza (medici e biologi, prevalentemente).
 
Alla nuova sezione del contratto manca ancora il Decreto del Ministero della Salute. Questo definirà i criteri di valutazione dei Ricercatori e del Supporto alla ricerca - comprendente i criteri di valutazione annuale e quelli per accedere ai successivi 5 anni di contratto - criteri che governeranno la permanenza del lavoratore nel percorso, ovvero il mantenimento del posto di lavoro e l’eventuale passaggio alla fascia retributiva più alta.
 
Occorre ricordare che la nuova sezione Ricerca del CCNL Sanità, oltre a dover rispondere ad una pletora di ricercatori storicamente precarizzati (mantenendoli di fatto precari per altri 10 anni), si presenta come nuova figura lavorativa per i futuri giovani ricercatori.
 
Purtroppo, i criteri di valutazione ipotizzati dal Ministero e il modello lavorativo a piramide, riportano alla mente schemi selettivi drastici e difficilmente condivisibili piuttosto che un percorso lavorativo interessato alla valorizzazione del capitale umano.
 
Si parte in tanti per arrivare in cima in pochi, selezionando i ricercatori attraverso inediti e contorti schemi di valutazione bibliometrica, affidati ad aziende e piattaforme editoriali, le quali - in quanto private - possono arbitrariamente modificare la lista delle riviste “impattanti” (Journal Citation Reports), modificare gli stessi indici bibliometrici, oppure chiudere.
 
Inoltre, l’accesso a tali piattaforme è garantito solo agli Istituti e non al singolo ricercatore, che non sarà in grado di autovalutarsi in modo trasparente secondo i parametri richiesti. La pubblicazione scientifica non come mezzo per disseminare i propri risultati, quindi, ma solo come strumento per aumentare il proprio “score”. Inoltre, in una realtà come quella Europea ed internazionale che sta volgendo a grandi passi verso la scienza aperta e la disseminazione libera e gratuita dei risultati della ricerca, la riforma del Ministero che si appoggia a valutazioni bibliometriche di grandi case editrici private appare alquanto anacronistica e poco coerente con la natura pubblica dei contributi che sostengono la ricerca condotta negli IRCCS in questione.
 
E’ giusto ricordare che una valutazione così stringente non viene richiesta ai pochi Dirigentistrutturati con funzione di ricerca, i cui obiettivi lavorativi non sono definiti dal CCNL ma demandati ai singoli Istituti. In caso di non-raggiungimento degli stessi, i dirigenti non rischiano la perdita del posto di lavoro ma solo il non-raggiungimento dei bonus salariali sulla performance.
 
Sorprende, nella lettura delle bozze dei criteri, che il Ministero della Salute prefiguri, secondo una cinica logica darwiniana, un percorso disegnato solo per poche eccellenze (in gergo tecnico PI, Principal Investigator). Così facendo, sembra ignorare che la ricerca sia basata sul lavoro di squadra, un’impresa collettiva comprendente diverse figure professionali che lavorano in modo coordinato e collaborativo, con l’obiettivo di trovare nuove cure per malattie rare e complesse. Il tutto viene sacrificato sull’altare degli indicibibliometrici, indice ultimo della performance del ricercatore ed obiettivo principale permantenere il posto di lavoro (publish or perish).
 
Nell’inseguire la chimera dell’eccellenza bibliometrica, il Ministero pare ignorare i preziosi e numerosi appelli che invitano le Istituzioni a giudicare i ricercatori sulla base della qualità, solidità e replicabilità della ricerca e non in base a sterili indici bibliometrici (a titolo esemplificativo riportiamo “The research counts, not the Journal” by Nobel Prize Inspiration Initiative https://www.youtube.com/watch?v=6MQ8R0OyvyQ).
 
La valutazione proposta dal DM risulta, inoltre, del tutto miope nei confronti dei numerosi appelli pubblicati sulle più prestigiose riviste internazionali, quali Science e Nature, che da anni sottolineano l’insostenibilità delle condizioni lavorative della ricerca accademica, basata sullo sfruttamento del lavoro di personale altamente qualificato (“The Postdoc: A Special Kind of Hell”, Science 2013; “Postdoc mysteries”, Science 2016; “Why a postdoc might not advance your career”, Nature 2018). Se a tutto questo si unisce anche l’incapacità di tale riforma di valorizzare da un punto di vista economico le competenze professionali dei ricercatori, il quadro diventa palesemente sconfortante e carente di motivazioni.
 
Viene spontaneo domandarsi quale appetibilità possa avere una carriera così disegnata per le future generazioni. Perché mai un giovane entusiasta ricercatore (biologo, psicologo, medico, chimico, ingegnere, etc.) con poca esperienza, dovrebbe imbarcarsi in un’impresa così difficile, dovendo soddisfare già all’inizio del suo percorso criteri che non vengono richiesti nemmeno ai dirigenti?
 
Il rischio più che concreto di tale impianto è che, a fronte di pochi che supereranno le valutazioni, ce ne saranno molti che continueranno a sostenere il sistema (a cicli di 5 anni in 5 anni) ma che del sistema non faranno mai parte, perché non avranno avuto tempo di maturare i tanto agognati indici bibliometrici.
 
L’applicazione dei criteri attualmente proposti dal Ministero per selezionare i ricercatori rischia realmente di formare personale la cui competenza professionale, maturata nel pubblico, servirà da volano per essere integrata nella ricerca privata che, a costo zero, troverà sul mercato ricercatori giovani e formati.
 
La seconda riflessione riguarda invece i ricercatori senior che hanno finora retto il sistema ricerca negli IRCCS/IZS a discapito di qualsiasi forma di tutela lavorativa. Come può il Ministero della Salute azzerare con un semplice colpo di spugna la loro attività di ricerca pregressa (know-how, competenze e titoli)? I criteri di valutazione del nuovo sistema piramide, infatti, saranno limitati solo ai più recenti anni di attività (3 nelle ultime bozze del DM) e non garantiranno loro in nessun modo uno sbocco stabile alla fine del percorso. La piramide, così come è concepita, produrrà, alla fine del prossimo decennio, una schiera di 45-55enni che graveranno sul paese perché senza una collocazione definitiva e stabile. Per loro il mercato del lavoro sarà, a quel punto, off-limits.
 
Con questa riforma il Ministero della Salute sembra considerare la produttività scientifica alla stregua di una catena di montaggio in grado di produrre un certo numero di pubblicazioni per anno. Sembrerebbe dunque sottovalutare il complesso meccanismo della ricerca che talvolta impiega anni, ed impara dai propri errori, prima di consegnare un prodotto scientifico finito e di qualità. Oltretutto, come si pone questo sistema di fronte al ricercatore/trice che si trovasse di fronte ad un calo di produttività scientifica, nell’arco di 3 anni, a causa di una maternità o malattia ? Dovrebbe ripartire dalla base della piramide nonostante il suo contributo complessivo pregresso alla comunità scientifica ?
 
Pare opportuno richiamare all’attenzione del Legislatore la Carta Europea del Ricercatore (Sezione 2. Codice di Condotta per l’Assunzione dei Ricercatori) che invita gli Stati membri a valutare i livelli di qualifica dei ricercatori sulla base delle competenze acquisite “lungo l’intero arco della vita”, e non rispetto ad un’arbitraria manciata d’anni.
 
Vogliamo chiedere al nuovo Ministro della Salute On. Giulia Grillo (che ha ereditato questo impianto dal precedente Ministro) se sia totalmente consapevole di ciò che è chiamata ad avvalorare e rendere effettivo con la sua firma; se abbia coscienza del fatto che la mancanza di prospettive di stabilizzazione e di riconoscimento professionale dei Ricercatori non potrà che determinare il declino del ruolo trainante degli IRCCS/IZS nella ricerca pubblica sanitaria, oltre che generare numerosi ricorsi.
 
Ma non era nata, questa riforma, per dare dignità e stabilità alla figura del Ricercatore in sanità? Cosa ci sarebbe di dignitoso nell’essere precari ad oltranza?
 
Alla luce di quanto enunciato risulta quantomeno auspicabile una revisione dei criteri contenuti nel DM, i quali dovrebbero
 
1. valorizzare i titoli post-laurea, la globale attività lavorativa pregressa e offrire delle concrete prospettive di carriera per i giovani;
 
2. essere proporzionali al ruolo nel comparto e al salario corrispondente.
 
Inoltre, si propone che la valutazione della produttività scientifica (indici bibliometrici):
3. venga utilizzata solo per l’erogazione di salario accessorio o di risultato e non per il mantenimento del posto di lavoro;
 
4. non venga affidata a piattaforme non Istituzionali la cui esistenza non è garantita nel tempo;
 
5. avvenga attraverso indici trasparenti, comprensibili e misurabili direttamentedal lavoratore.
 
ARSI - Associazione dei Ricercatori in Sanità, Italia

18 aprile 2019
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