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Coronavirus. Come è cambiato il lavoro nei Pronto soccorso

di Salvatore Manca

31 MAR - Gentile Direttore,
quotidianamente, 4 diagnosi di COVID19 su 10 si concentrano in pronto soccorso, pari quindi al 40%. È quanto risulta da un’indagine condotta dalla Simeu, (Società italiana di Medicina di emergenza-urgenza), in un arco di tempo di 24 ore, su un campione di 100 pronto soccorso sui 650 presenti in Italia, con una predominanza di Pronto Soccorso ubicati nelle province del nord del Paese più colpite dalla diffusione del contagio.
 
Si tratta dei pronto soccorso che hanno accolto l’80% dei pazienti risultati positivi nelle 24 ore analizzate. Questi dati dimostrano quanto sia importante l’impatto del virus sui nostri pronto soccorso, quindi i casi che risultano positivi costituiscono circa il 50% dei percorsi di diagnosi avviati in ps, l’altro 50% dei pazienti risulta negativo ma solo al termine di un iter di valutazione e presa in carico da parte del personale di pronto soccorso.
 
Si tratta di un impegno enorme per le nostre strutture che in questi giorni, devono necessariamente, e il più rapidamente possibile, cambiare percorsi, protocolli e approccio organizzativo per far fronte alla straordinaria situazione di emergenza, determinata dalla rapida diffusione del contagio. Il personale tutto che opera nei PS e la società scientifica sono impegnati quotidianamente nella cura dei pazienti e nell’elaborazione di nuovi percorsi organizzativi e clinici.
 
Questo fa capire quanto gli operatori di PS siano esposti al potenziale rischio di contagio dovendo gestire in prima persona, assieme ai colleghi del 118, il percorso dei pazienti sospetto Covid in tutto l’iter diagnostico, necessitando quindi di poter disporre degli adeguati DPI (dispositivi di protezione individuale), che offrano il massimo grado di protezione. Sorprende quindi l’ordinanza del 25 marzo emanata dalla regione Toscana che dispone la destinazione delle mascherine a più alta protezione esclusivamente ai reparti di terapia intensiva, visto anche come rimarcato dall’indagine, l’elevato rischio di contagio cui sono sottoposti gli operatori del 118 e dei Pronto Soccorso.
 
Un’altra problematica che viene segnalata dagli operatori dei Pronto Soccorso in questa emergenza, è legata alla difficoltà creata dai reparti di degenza nell’accettare i ricoveri dei pazienti per tutte le altre patologie necessitanti di ricovero, traumi, patologie cardiovascolari ecc. se non dopo l’espletamento del tampone e il relativo risultato. Questo approccio sta creando notevoli difficoltà operative ai pronto soccorso, già gravati da problematiche organizzative e di organico dovute allo sdoppiamento dei percorsi “covid” e “no covid”, anche perché il PS non è strutturato per poter seguire per 24-48 ore i pazienti da ricoverare in attesa del risultato dei tamponi.
 
Per cui si richiede che i reparti di degenza mettano in atto dei percorsi interni per i pazienti ricoverati affetti da patologie no-covid, al fine di non ostacolare la regolare attività e il flusso dei pazienti che afferiscono ai Pronto Soccorso.
 
Salvatore Manca
Presidente nazionale Simeu, Società italiana della medicina di emergenza-urgenza

31 marzo 2020
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