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Infermieri. Una proposta che mira a cambiare le cose perché nulla cambi

di Paola Arcadi e Paolo C.Motta

23 APR - Gentile direttore,
sarebbe relativamente semplice discutere nel merito della bozza di proposta Governo-Regioni sulla “ridefinizione, implementazione e approfondimento delle competenze e responsabilità professionali dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico”, che si prefigge di contribuire allo sviluppo della nostra professione infermieristica attraverso l’attribuzione di “ulteriori funzioni avanzate”.

Discutere nel merito significherebbe dunque analizzare la natura e i caratteri di tali “ulteriori funzioni avanzate” proposte e, soprattutto, valutare quanto esse, singolarmente e nel loro insieme, rappresentino un passo in avanti nella direzione attesa: quella attesa dagli stessi infermieri, ma anche da tanti altri operatori del sistema sanitario, da coloro che, a vario livello, hanno responsabilità di governo sanitario e, non ultimi, da coloro che, per bisogno, si rivolgono agli infermieri e al mondo sanitario per ricevere prestazioni e servizi alla salute.

Sarebbe relativamente semplice discutere nel merito e immediatamente far emergere che:
1.    un consistente numero di funzioni contenute nei diversi allegati non hanno, a nostro avviso, alcun carattere di innovazione e avanzamento, ma descrivono ciò che l’infermiere già sa, già sa fare e già fa nella propria attività clinica (a mero titolo di esempio: nelle cure primarie, “1.1.1.4 monitorare le condizioni di stabilità delle persona assistita cronica in funzione della patologia” o, ancora, “1.1.1.9 garantire supporto-educazione terapeutica alla persona assistita e al familiare”; nell’area critica, emergenza e urgenza, “1.1.1.2 gestire la documentazione del processo di assistenza” o, ancora, “1.1.1.6 riconoscere le principali alterazioni metaboliche, respiratorie e cardiache nel paziente acuto”; nell’area chirurgica, “1.1.2.5 pianificare gli interventi per la riduzione delle complicanze della fase post-operatoria” o, ancora, “1.1.3.7. individuare precocemente l’insorgenza di complicanze”);

2.    un altrettanto consistente numero di funzioni appaiono fortemente ambigue, poiché nella medesima affermazione contengono il suo contrario: esse da un lato enfatizzano autonomia e responsabilità, ma dall’altro si affrettano a precisare che l’agire deve essere subordinato alle decisioni di altri, secondo la classica, vecchia (sì, vecchia: qui ci vuole proprio questo aggettivo!) ed evidentemente insuperabile concezione gerarchica delle relazioni tra infermiere e medico, quasi a voler concedere con una mano, per togliere immediatamente con l’altra;


3.    ma soprattutto: la dimensione prevalente, o piuttosto quasi esclusiva, che viene espressa dalle funzioni ‘avanzate’ elencate è quella tecnica. Più che riferirsi allo sviluppo di competenze complesse, si riduce la proposta a un nuovo mansionario assoggettato ai principi della razionalità classica tecnico-scientifica, con il risultato che le funzioni stesse appaiono frammentate, impoverite di contenuto e non rispondenti alle esigenze espresse dalle persone a cui sarebbero rivolte;

4.    altre funzioni appaiono mal formulate e imprecise – o addirittura scorrette  – e inducono a pensare a un certo livello di superficialità nella stesura del testo (nell’area critica, emergenza e urgenza, “1.1.6.6 descrivere (ma come può mai trovar spazio un verbo del genere in un elenco di competenze?) le misure da adottare per la decontaminazione, la derattizzazione e la disinfestazione”).

Per onestà, discutere nel merito significa anche riconoscere che questa proposta contiene alcune idee che, pur centellinate e disperse nell’insieme del testo, meritano di essere positivamente considerate, come ad esempio la possibilità di utilizzare alcuni mezzi diagnostici e di prescrivere presidi e ausili e di aprire spazi alla continuità assistenziale: aspetti positivi, naturalmente, se si intendono applicati alla valutazione e trattamento di problemi di assistenza infermieristica.

Tuttavia, a nostro parere, discutere nel merito non rappresenta l’approccio più corretto all’insieme delle questioni poste dalla proposta. Anzi, non vogliamo proprio farlo. Perché non vogliamo che la storia si ripeta. Quella storia, cioè, che ha sempre messo al centro della riflessione sullo sviluppo professionale il ‘cosa’ e non il ‘perché’, il ‘per chi’ e,soprattutto, il ‘con chi’. Qui ci sembra che il rischio di un ‘mansionario di ritorno’ si faccia vivo; che, al posto di un professionista autonomo e responsabile, si mantenga o addirittura si torni a quella figura di operatore che Ivan Cavicchi efficacemente chiama il ‘compitiere’.

Quando pensiamo a ‘competenze assistenziali avanzate’:
•    pensiamo alla soggettività della persona che si rivolge alle strutture sanitarie e dunque a un’assistenza che deve essere relazione, più che atto tecnico;
•    pensiamo alla complessità dei bisogni di salute e dunque a un’organizzazione sanitaria diversa, in grado di valorizzare l’autonomia e la responsabilità dei suoi professionisti, più che spartire le loro funzioni e assoggettarli all’imperativo efficientista;
•    pensiamo alla continuità dell’assistenza e dunque all’integrazione dei professionisti e dei percorsi assistenziali, piuttosto che alla divisione dei compiti.

Questa proposta sottrae alcuni ambiti di attività medica per consegnarli all’infermiere. Ci chiediamo quanto essa derivi da un dialogo approfondito e sia condivisa da tutti i soggetti interessati. Al di là di questo non trascurabile aspetto, riteniamo che questa operazione possa legittimamente suscitare critiche e perplessità tra i medici e le altre professioni sanitarie e, soprattutto, siamo convinti che non interessi agli infermieri, che non hanno mai concepito, né mai concepiranno il proprio sviluppo come un’estensione di attività nella sfera della medicina, ma come una valorizzazione intensiva di competenze assistenziali: questo ci sembra giusto e questo ci sembra sia oggi sempre più richiesto delle persone assistite, dai familiari e dalla comunità nel suo insieme.

Per l’assistenza infermieristica non invochiamo la crescita, cioè ‘fare più cose’, ma lo sviluppo, cioè ‘fare cose diverse, fare meglio’.

Questa proposta – e concordiamo ancora totalmente con Ivan Cavicchi – mira a cambiare le cose perché nulla cambi: un po’ di risparmio (forse), un po’ di concessioni a qualcuno, il rassicurante convincimento di ‘aver fatto qualcosa’, ma tutto questo ‘in costanza’ degli attuali pensieri sull’assistenza sanitaria e sui modelli organizzativi che dovrebbero assicurarla. Cioè in costanza dei problemi che assillano l’attuale organizzazione sanitaria.

Paola Arcadi
Infermiera, tutor e docente Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Milano, Azienda Ospedaliera 'Ospedale Civile di Legnano'

Paolo C. Motta
Infermiere, Professore Aggregato, cattedra di Scienze Infermieristiche, Coordinatore del Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Brescia
 


23 aprile 2012
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