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Nessuna speranza senza tracing

di Maurizio Andreoli

03 MAR - Gentile direttore,
errare è umano, perseverare non lo è. Due domande per inquadrare bene il grave problema sanitario che attraversa il nostro Paese: è migliorata la gestione della pandemia nella seconda ondata? Le criticità emerse nella prima hanno insegnato qualcosa? La risposta, amara è già nella premessa: poco o niente purtroppo!
 
E lo si deduce sopratutto scorrendo l’illuminante revisione dei dati relativi ai due periodi elaborata da Salvatore Pisani del Centro Studi FISMU e pubblicata da Qs (lunedì 8 febbraio) sulla scorta dei report ISS. Anzi, per certi versi, la gestione è peggiorata: se da un lato si è spinto sull’acceleratore della diagnosi, si è andati decisamente fuori strada su tanti altri fattori, primo fra tutti il “tracing”. E i risultati sono ora sotto gli occhi di tutti: una seconda ondata che non accenna a esaurirsi, forse siamo già entrati nella terza, anche sulla spinta delle cosiddette varianti.
 
Andiamo con ordine. Uno dei punti deboli della risposta alla prima ondata è stata la scarsità dei tamponi diagnostici; su questo tema anche la politica si è spesa tantissimo, fino al punto che alcune amministrazioni regionali (una in particolare) apparentemente più virtuose, si sono fatte vanto di aver contenuto la diffusione virale grazie alla maggiore capacità di diagnosi. Si è visto poi come è andata a finire in Veneto con la seconda ondata. Ma intanto tutti a chiedere più tamponi, e in effetti la capacità di “testing” attraverso il tampone molecolare è aumentata di ben dieci volte nelle giornate di picco epidemico prese in esame: 26.636 tamponi il 21 marzo contro 254.908 il 13 novembre. Ma l’aumento del numero dei tamponi non ha ridotto il picco dei casi (sintomatici e non), non ha influito sul numero dei ricoveri, né su quello dei decessi.
 
Lo “studio” del Centro studi Fismu, appunto, lo evidenzia ed ecco i numeri di questa débacle, nei giorni di picco presi in esame: si contano 6.500 nuovi positivi in primavera (incidenza) contro 39.000 in autunno; di questi, in primavera, 5.000 erano sintomatici (cioè malati), mentre in autunno la cifra ascende a 17.500. Cioè 3 volte e mezzo in più!
 
E se guardiamo il conto degli asintomatici la asimmetria è ancora più marcata: 1.500 asintomatici in marzo contro 21.500 in novembre. In estrema sostanza la platea degli asintomatici è stata amplificata a dismisura dalla maggiore capacità di testing, senza minimamente incidere sulla platea dei malati, che è aumentata.
 
E allora cosa non ha funzionato, quali le cause vere della débacle? È mancata una azione di contrasto corale della sanità territoriale. Praticamente ai soli medici di medicina generale è toccato il compito di cercare di evitare, di arginare, l’assalto all’ospedale dei malati, specie nella seconda ondata: gli isolati al domicilio in autunno sono stati sette volte più numerosi che in primavera, con una prevalenza giornaliera nei picchi di 760.000 soggetti in autunno contro 100.000 in primavera. Non poco e non male per una medicina generale oggettivamente precaria per i continui disinvestimenti degli ultimi anni e per una organizzazione strutturalmente debole e superata.
 
Ma ben altro occorreva dispiegare nel territorio e non si è fatto, nonostante da più parti si richiedessero misure adeguate dopo la prima ondata e durante la seconda. Ricostruire la filiera della medicina territoriale da tempo spezzata: a partir dalla medicina dei servizi con finalità preventive, quindi i distretti, rinforzare l’epidemiologia (scienza negletta e sconosciuta ai politici), il tutto assumendo medici (i precari e i cosiddetti camici grigi), ma anche assumendo infermieri, fornendo personale di studio ai medici di famiglia per il contact tracing. Quindi potenziare e rendere efficienti e sinergiche le USCA, evitando che si trasformino in “tamponifici”. Si potevano, e dovevano, porre le basi per una futura riorganizzazione e modernizzazione dell’assistenza primaria e dell’emergenza e urgenza.
 
Il primo banco di prova, oggi, è la campagna di vaccinazione, troppo a lungo in balia delle regioni, e con la marginalizzazione dei medici di medicina generale (medici di famiglia, continuità assistenziale, dei servizi e del 118).
Vedremo, intanto se il nuovo Commissario, generale Figliuolo, andrà verso questa, auspicata, regia nazionale e avvierà questo urgente cambio di passo.
 
C’era tutto il tempo, c’erano le possibilità contrattuali (convenzione della medicina dei servizi), c’erano le risorse (Recovery Fund o quant’altro). FISMU lo ha chiesto all’Esecutivo Conte e alle regioni, fin da subito. Inascoltata. Al nuovo Governo Draghi e al ministro Speranza, confermato in questa nuova compagine governativa, chiediamo che si cambi davvero rotta, le idee e le proposte ci sono, le professionalità pure. Se non ora, quando!
 
Maurizio Andreoli
Presidente nazionale FISMU

03 marzo 2021
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