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Omceo Bari: “Problemi derivano dall’assenza di un sistema di gestione delle emergenze specialistiche per i malati di SLA”


29 APR - Di fronte al caso di mancata assistenza alla paziente affetta da SLA denunciato dalla stampa e oggetto di un’indagine, l’Ordine dei Medici di Bari intende fare chiarezza.
 
“L’Unità operativa “Assistenza pazienti fragili” attivata dalla Regione – si legge in una note dell’Ordine dei medici di Bari - prevede che il paziente affetto da SLA può richiedere attraverso il medico di famiglia, per manovre invasive come la sostituzione di una cannula, l’intervento dell’anestesista di riferimento, previa autorizzazione del Distretto. Non è previsto, come erroneamente riportato dalla stampa, un sistema di gestione dell’urgenza di competenza specialistica, né è prevista la reperibilità degli anestesisti”.
 
“Sono solo due però – prosegue - gli anestesisti rianimatori dedicati all’assistenza domiciliare di pazienti complessi, con gravi patologie degenerative fortemente invalidanti, costretti a letto e assistiti a domicilio. Gli specialisti intervengono esclusivamente su richiesta del Medico di famiglia che tramite il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata dei vari Distretti Socio Sanitari avanzano le richieste, secondo il modello degli interventi programmati, di elezione. Per le emergenze interviene invece il 118, come su tutto il territorio nazionale”.
 
“Non esiste quindi – ribadiscono dall’Ordine - un sistema di reperibilità, né una rete organizzata per gestire le urgenze di competenza specialistica. Il fatto che ci sia un cellulare accesso e raggiungibile 24 ore su 24 è frutto della grande disponibilità dei medici anestesisti di riferimento, che di fronte a situazioni complesse e critiche come quelle dei pazienti di SLA, fanno in modo che ci sia sempre uno specialista pronto a rispondere. Non c’è un protocollo, non c’è un sistema organizzato di gestione dell’emergenza, ma solo la buona volontà e il senso del dovere di professionisti che si mettono a disposizione dei pazienti, ma anche al medico di famiglia, all’infermiere, al 118 stesso, volontariamente, per consulenze telefoniche “24 ore su 24”. Come ha fatto venerdì scorso la collega Caterina Pesce, che non era di turno, né reperibile”.
 
 
“È chiaro che – precisa la nota - una gestione “informale” così organizzata non può far fronte sempre ad ogni tipo di richiesta. Servirebbe invece una rete organizzata di gestione dell’urgenza di carattere specialistico per tutti i pazienti “fragili” che richiedono assistenza domiciliare, con professionisti in turno di guardia o in reperibilità”.
 
“Alle carenze di sistema finora – spiega l’Ordine -  si è supplito con la buona volontà e la disponibilità dei medici, che fanno costantemente appello ai principi etici della professione per garantire i diritti dei pazienti. In questa storia c’è un medico che ha preso due giorni di ferie e si è preoccupato di lasciare il proprio cellulare ad una collega in modo che i propri pazienti non fossero lasciati soli e avessero uno specialista in ascolto, c’è un altro medico che pur non essendo reperibile ha risposto ad una chiamata e c’è un terzo medico che è intervenuto su base volontaria per risolvere il problema. In questa vicenda dolorosa c’è sicuramente un equivoco che riguarda i meccanismi di funzionamento del sistema, per cui la famiglia si aspettava giustamente un intervento operativo, ma interloquiva con un medico che in quel momento non poteva garantire altro che un supporto telefonico. Ma l’aspetto paradossale è che ancora una volta vengano scaricati sui medici i malfunzionamenti e le lacune del sistema, che finora ha retto proprio grazie alla loro capacità di andare oltre le regole scritte e di guardare invece ai bisogni delle persone che si trovano di fronte”.
 
 
 
“È una vicenda delicata che coinvolge un “paziente fragile”, attorno al quale si è sollevato un polverone mediatico che finisce con il mettere all’indice una collega e non individua invece le cause all’origine del corto circuito che è avvenuto lo scorso venerdì – ribadisce Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine – Le cause sono di sistema. Ma ancora una volta chi ne fa le spese sono quegli stessi medici che tentano di rispondere ai bisogni dei pazienti e di garantire il diritto alla salute, nonostante le carenze e le mille difficoltà del sistema sanitario. In questa situazione capovolta, ancora una volta un medico viene additato come colui che rifiuta una prestazione, come il colpevole del malfunzionamento. Mentre è grazie all’impegno quotidiano di medici come la collega che il sistema regge ancora. In questa storia ci sono due vittime: da un lato la paziente affetta da SLA e la sua famiglia, dall’altro i medici. Si cerca un capro espiatorio su cui scaricare colpe inesistenti, demolendo ulteriormente il rapporto medico-paziente, che è l’unico vero baluardo per il diritto alla salute e per risolvere i problemi di sicurezza che originano sempre dal presunto rifiuto di una prestazione, come dimostra il dramma di Paola Labriola. La domanda che dobbiamo porci per tutelare realmente i diritti dei pazienti è: perché la rete SLA venerdì scorso non ha funzionato?”

29 aprile 2014
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