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Se i nostri ospedali diventano “lazzaretti”

di Cesare Fassari

13 GEN - Lazzaretti. Un termine così forte per definire l’ennesima emergenza nei Pronto soccorso italiani, deve farci riflettere. Soprattutto se a usarlo non sono pazienti, giustamente incazzati, ma la più grande organizzazione sindacale dei medici del Ssn, l’Anaao Assomed che oggi ha lanciato un allarme molto serio per una situazione prevedibile e che poteva/doveva essere affrontata per tempo.
 
I segnali come al solito erano già davanti agli occhi di tutti. Le prime avvisaglie in denunce locali di file e intasamenti e poi l’emergenza influenza che, complice anche il “pasticciaccio” sul caso Fluad, con il calo vertiginoso delle vaccinazioni non poteva non far scattare il campanello d’allarme nelle direzioni sanitarie e ai vertici degli Assessorati alla sanità regionali.
 
Ma nulla è stato fatto se non, immaginiamo, incrociare le dita sperando che magari, stavolta, il caos non sarebbe esploso. Ma virus, malattie e infortuni non scendono a patti con la fortuna e così i nostri ospedali stanno offrendo ancora una volta uno spettacolo indecente che dovrebbe assorbire da subito la massima attenzione delle autorità sanitarie regionali.
 
Ma non basta. Pensiamo che anche al ministero della Salute si debba riflettere. Non tanto sul da fare nelle singole realtà ospedaliere, perché, come sappiamo bene, la sanità non è più da tempo “affare” nazionale” in termini di gestione e organizzazione dei servizi. Quanto sulle politiche portate avanti da troppi anni di ridimensionamento forzato dell’offerta ospedaliera in contemporanea con una stretta senza precedenti, per portata e durata, del blocco del turn over e del parallelo affidamento “esterno” di molti servizi mainstream degli ospedali, come quello dell’assistenza infermieristica, per citarne uno.
 
Ma oggi quello che balza subito agli occhi, anche dei non addetti, è che mancano i posti letto. Non nei pronto soccorso ma nelle corsie. E’ lì, accanto alla sofferenza di personale insufficiente e costretto a turni inumani, il problema principale della permanenza in barella o, leggiamo nella nota dell’Anaao, addirittura sulle scrivanie o su materassi a terra come in un ospedale di guerra.
 
Dal 2000 a oggi di posti letto ne sono stati tagliati poco meno di 70mila e non è ancora finita visto l’ulteriore abbassamento dell’indice per abitante previsto dal regolamento sugli standard ospedalieri.
 
Un dato è certo. Nel 2000 l’Italia era certamente “sovra dotata” di letti ospedalieri e soprattutto era urgente avviare quel processo di riforma delle cure primarie per dotarle di un assetto stabile e strutturato in grado di offrire anche una reale alternativa complementare all’offerta ospedaliera. Compresa la capacità di assorbire le urgenze non gravi nei servizi di emergenza territoriale senza ricorsi inutili o impropri ai pronto soccorso ospedalieri.
 
Come sappiamo, però, il taglio dei letti è stato fatto mentre la riforma delle cure primarie ancora no. E questo ha certamente provocato uno scompenso nell’offerta assistenziale. Ma il caos che stiamo vivendo negli ospedali oggi, come l’anno scorso e quello prima ancora, non è tanto per l’accesso improprio ai PS è, come dicevamo per la mancanza di letti in corsia in grado di ospitare i pazienti provenienti dalle urgenze. Questo è il problema. Non ci sono letti dove metterli. Ne sono stati tagliati troppi e male.
 
Evidentemente non sarà così in ogni ospedale del Paese, ma è certo che nelle grandi città è così e che quindi qualcosa di errato nella programmazione delle dotazioni di letti, attuata in modo sostanzialmente “lineare” (cioè uguali per tutti), c’è e va corretto. Una buona programmazione non si fa con la calcolatrice ma con la conoscenza delle singole realtà. E qui quel necessario ruolo di “cabina di regia” del ministero della Salute è mancato, limitandosi a dare uno standard nazionale senza prevedere con la dovuta attenzione diverse sue articolazioni in base alla mappa dei bisogni ormai stranota grazie a Drg e flussi informativi di ogni tipo.
 
Quindi oggi, dando per scontato che ormai ancora una volta la frittata è fatta, non resta che sperare e sollecitare il Governo a rivedere quella programmazione, riconsiderando con più attenzione la domanda di assistenza ospedaliera nelle singole realtà della penisola, e ricordandosi che domanda e offerta non si possono modellare solo con un colpo di penna e con una calcolatrice.
 
Cesare Fassari

13 gennaio 2015
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