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Veneto. Delibera su standard assistenza infermieri ha effetti negativi su sicurezza pazienti

di Saverio Andreula

La definizione al "ribasso" degli standard degli infermieri e degli Oss non può pesare la complessità assistenziale di ogni paziente e non recepisce tutte le funzioni infermieristiche. Meglio confrontarsi con modelli che hanno come obiettivo la garanzia di assistenza adeguata/consigliata e non minima

09 GEN - La  delibera di Giunta della Regione Veneto con la quale identifica  i valori minimi di riferimento per la misurazione dell’assistenza ai degenti nelle strutture sanitarie pubbliche attraverso la determinazione dei minuti al giorno (TEMA-Tempo di Erogazione Minuti di Assistenza) rileva due situazioni: una manovra di modifica apparente  ma che di fatto ricolloca le stesse risorse umane con la frase “..si dà atto che la presente deliberazione non comporta spesa a carico del bilancio regionale” e il titolo dell’allegato A “Metodologia di rilevazione ed analisi dei dati della ricognizione effettuata” e una stima del tempo di assistenza vicina o addirittura al ribasso se confrontata con l’unico decreto più attento ai bisogni di cura ed assistenza il D.M 10/9/1988 (il cosiddetto Decreto Donat Cattin).
 
Due esempi:

Disciplina
Standard Regione Veneto

Standard DM 10/9/1988

Rapporto tra i due Standard

Medicina Interna

185’

130’-190’

< 5’ (dal valore massimo)

Area Critica

700’

720’

< 20’




La medicina interna di oggi si caratterizza per la presenza di pazienti con un livello di dipendenza assoluta (90 - 95%). Generalmente le aree critiche prevedono un rapporto infermiere/paziente di 2:1  ed invece ritroviamo dal TEMA il seguente rapporto 1:2 comprensivo di personale di supporto e nel rapporto non compare la semintensiva con una differenza significativa di complessità assistenziale. Il semplice fatto che lo standard della Regione Veneto sia inferiore allo standard definito dal DM Cattin (25 anni fa) consente di formulare qualsiasi tipo di commento.
 
La quantità di infermieri da assegnare alle strutture ospedaliere dipende dal ruolo che occupano e dal processo di cure infermieristiche che gestiscono; dipende anche dall’efficienza e dall’efficacia delle cure erogate da altri professionisti, nonché dai contesti organizzativi (Royal College of Nursing Employment Research,2009) e che tale quantità deve necessariamente confrontarsi con la QUALITA’ delle cure da erogare,sulla base della quantità e della qualità di cure che devono essere dedicate ai Pazienti, poiché al centro dell'organizzazione sanitaria deve esserci il Paziente. 
 
Di fatto il criterio ricorrente nei metodi di definizione delle risorse umane è la rilevazione/determinazione del tempo. Necessario alla messa in atto delle diverse attività assistenziali, questo criterio, se da un lato è un parametro di utilizzo trasversale, dall’altro è un parametro critico perché non può pesare la complessità assistenziale di ogni persona presa in carico e non recepisce tutte le funzioni infermieristiche, quali:
· interventi autonomi e collaborativi;
· interventi educativi, formativi ed informativi;
· interventi tecnici e/o di supervisione e verifica del proprio agire e di quello del personale di supporto.
 
A mio avviso dobbiamo confrontarci con modelli che hanno come obiettivo la garanzia di assistenza adeguata/consigliata e non minima al fine di salvaguardare la sicurezza del paziente e la salute degli infermieri.
Gli organici sono definiti in modo tale da permettere solo le cure minime focalizzando l'attività alla mera esecuzione delle prescrizioni mediche e non considerano anche altri fattori quali: l’indice di turn over per posto letto, la degenza media, il tasso di occupazione e il tasso di assenteismo fisiologico.
Il progetto di ricerca A.M.B.R.A. Analisi, Metodi, Bisogni delle Risorse Assistenziali, proposto dal Collegio IPASVI di Bari nel 2008 “ Quantità v/s Qualità dell’Assistenza infermieristica”  aveva già considerato queste variabili adottando il rapporto "nurse-to-patient" che comprende: t = numero di turni nelle 24 ore; to = tasso medio di occupazione della degenza; pl = numero di posti letto di degenza; A = percentuale media di assenza dal servizio con la finalità, di definire  un modello possibile per determinare il fabbisogno di risorse infermieristiche per Unità Operativa in una Azienda complessa e specialistica, coniugando le variabili organizzative e strutturali che caratterizzano ciascuna Unità Operativa e l’infermieristica espressione di autonomia decisionale e responsabilità in tutti gli aspetti dell’attività assistenziale. Per la strutturazione del progetto A.M.B.R.A sono stati considerati le indicazioni derivanti da due fonti:
- linee di indirizzo sulla definizione del fabbisogno della risorsa infermieristica definite dalla Regione Umbria con delibera n.1972 del 15/12/2004
- indicazioni derivate da uno studio californiano pubblicate sul Sole 24 Ore Sanità del 26/2/2008
I criteri presi in considerazione dal gruppo di lavoro umbro sono stati costruiti sulla definizione e verifica della complessità assistenziale di ogni persona  (espressione reale della domanda d’assistenza) e sulla pianificazione delle tipologie d’intervento necessarie (espressione efficace ed efficiente della risposta assistenziale).
Rileggendo la tabella precedente ritroviamo i seguenti rapporti

Disciplina

Standard Regione Veneto

Standard DM 10/9/1988

Rapporto tra i due Standard

Standard Progetto A.M.B.R.A (infermiere/paziente rapporto consigliato)

Medicina Interna

185’ (1:7)

130’-190’

< 5’ (dal valore massimo)

1:3

Area Critica

700’ (1:2)

720’

< 20’

2:1




Dobbiamo ricordare ai pazienti che un rapporto infermiere-paziente (nurse to patient ratio) non ottimale ha effetti negativi sulla sicurezza (Royal College of Nursing Institute, 2003): i pazienti hanno un rischio più elevato di lesioni da decubito, cadute, infezioni correlate alle pratiche assistenziali, peggioramento dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana o di non riconoscimento del deterioramento clinico. Gli esiti negativi aumentano la durata della degenza, peggiorano la qualità della vita fino ad aumentare il rischio di mortalità (Aiken et al., 2002; Cho 2001; Needleman et al., 2011).
 
Saverio Andreula
Presidente Collegio IPASVI di Bari

09 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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