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L'Asl del futuro? Più grande e più “liquida” e sempre più eterodiretta dalla Regione. Ma il rischio è la perdita di contatto con i territori

di Lorenzo Terranova

Le riforme in atto in molte Regioni italiane hanno come linea comune il passaggio da un modello di Azienda inquadrata in un sistema di holding e aziende consociate a un modello di un’unica grande Azienda articolata in propri dipartimenti. Per questo è giusto immaginare un nuovo ruolo del distretto, quale luogo di eccellenza per rispondere a bisogni di salute sempre più particolari

27 GEN - Per diversi motivi, negli ultimi anni è andata cambiando la natura dell’Azienda sanitaria. Da un’Azienda al cui interno risiedevano tutte le funzioni essenziali (per esempio: la funzione degli acquisti; o quella della gestione del personale, …) si è passati (o si sta passando) ad un’Azienda sanitaria concentrata sulla produzione ed erogazione di servizi sanitari, che trasferisce ad altri soggetti una serie di funzioni esterne al proprio core business (per esempio: alle centrali d’acquisto).

Al contempo, in diverse realtà si è andata anche espandendo la dimensione territoriale (e quindi la popolazione servita) dell’Azienda sanitaria. Solo a citare alcune modifiche: nella Regione Emilia Romagna è stata costituita l’Azienda USL della Romagna, risultante dalla fusione di 4 precedenti Aziende. Analogamente, nella Regione Friuli Venezia Giulia la riforma ha ridotto il numero delle ASL e ha integrato le Aziende ospedaliere con le Aziende territoriali (in sintesi si passerà da 11 Aziende a 5). La riforma sanitaria in discussione in Lombardia prevede anch’essa la drastica riduzione del numero delle Aziende ospedaliere (e in quella realtà va cambiando anche il modello proprio di caratterizzazione dell'offerta). È in essere una proposta di riduzione considerevole del numero di ASL in Toscana.

Verso un modello di nuova azienda sanitaria
In un approccio “tradizionale”, il territorio coperto da una ASL definisce l’offerta; in caso di situazioni particolari (complessità nel trattamento, malattia rara, ecc.) si ricorre a servizi più “centralizzati”. In pratica, si replica un modello a piramide. Ma i bisogni sempre più articolati e complessi, richiedono modelli diversificati di offerta: hub & spoke, reti per patologia interaziendali o regionali o interregionali (rete del diabete, rete del sangue, rete tumori, …); supply chain; figure nuove appartenenti al settore formale e informale (bioetici, assistenti volontari, …); ecc.

Su questo piano, l’Azienda sanitaria si sta evolvendo: si trasformano i ruoli e le funzioni degli attori interni ed esterni alle Aziende (personale medico, tecnico, associazionismo, volontariato, ecc.); viene richiesto lo sviluppo di una serie di relazioni orizzontali data la crescente complessità dei bisogni da soddisfare e dell’articolazione dell’offerta; vengono ridefinite le relazioni verticali con l’Assessorato regionale, con le agenzie regionali, con i distretti. Fattori, questi, che travalicano la dimensione della singola azienda sanitaria. La risposta dei sistemi sanitari è andata verso lo sviluppo delle reti cliniche e non (che possono essere formali e informali; strutturate e non; distrettuali, aziendali, sovraziendali, …); verso una concentrazione di funzioni fra ASL contigue; verso nuove (e maggiori) dimensioni territoriali che rendono più efficiente il sistema.
 
Il territorio come ambito privilegiato
Se è questo lo scenario verso il quale si tende (nuovo modello di azienda, sviluppo delle reti, dimensionamento aziendale per una maggiore efficienza gestionale), allora il territorio “piccolo” (ri)torna ad essere l’ambito privilegiato del governo dei processi sanitari e sociali. Infatti, diverse attività (cliniche, di prevenzione, di assistenza, …), inserite all’interno di reti, assumono una dimensione sovraziendale, altre invece hanno una dimensione di parte aziendale, altre ancora a livello regionale o sovra regionale. In concreto, è il territorio, considerato come punto di snodo delle reti, a costituirsi come ambito privilegiato di governo sanitario, sociosanitario e sociale; ed è il territorio a determinare le caratteristiche delle reti e mediare i fabbisogni dei cittadini con i modelli dell’offerta esistente.

A fronte di questa complessità, anche il riferimento per il cittadino diventa sempre di più il territorio “piccolo”; ma questo è anche il terminale di diverse attività di carattere sanitario e sociale fornite da diversi soggetti (servizi sanitari gestiti dalla ASL, altri servizi sanitari direttamente governati da entità più ampie come le Aree vaste, servizi sociali offerti dal Comune, altri servizi sociali offerti da soggetti del volontariato, e via scrivendo). Queste dinamiche comportano sistematizzare puntualmente quale sia la dimensione territoriale più capace di rispondere a tali modificazioni del sistema dell’offerta nonché delle caratteristiche sostanziali delle reti di assistenza. In questo quadro, assume rilievo crescente e in prospettiva strategico per i servizi sanitari regionali il distretto (come già statuito dalla L. 833).

Il processo di aziendalizzazione con i D. Lgs. 502 e 517, però, aveva intrinsecamente reso debole il distretto. Erano articolazioni fragili, con caratteristiche di semplici trasferimenti a livello territoriale di funzioni aziendali e una scarsa attitudine di raccogliere risorse nonché capacità organizzative ridotte rispetto all’ospedale. Vengono introdotti così cambiamenti nel significato di Azienda sanitaria; l’evoluzione delle terapie verso una cronicizzazione della malattia e una trasformazione delle tecnologie disponibili hanno reso necessario rispostare sul livello più vicino al territorio (e agli utenti) l’insieme delle attività sanitarie non ospedaliere, sociosanitarie e sociali.
Pertanto, oggi il distretto assume un peso e una strategicità centrale nel complesso dell’organizzazione dell’offerta. Vengono nel distretto contestualizzate scelte, decisioni prese ad altri livelli (Regioni, direzioni delle ASL), ma diventa anche il luogo che consente meglio di comprendere l’evoluzione della domanda di assistenza.

In quale direzione si sta andando?
Se si accetta l’idea che: 1. l’Azienda sanitaria, per usare un linguaggio alla Bauman, stia diventando sempre più liquida, ossia la gestione di talune reti dell’offerta vede la ASL come “soggetto passivo”; 2. è sempre più penetrante il ruolo di direzione gestionale degli Assessorati regionali; 3. la dimensione ridotta (il distretto) consente una maggiore capacità effettiva di governo...allora quella relazione che consente di governare l’evoluzione della domanda e adeguare l’offerta può avvenire solo a livello distrettuale.
 
Probabilmente, si modifica l’attuale relazione fra l’Azienda sanitaria e il distretto basata su rapporto “diretto e subordinato”. Una conseguenza di questa evoluzione è la dimensione (territoriale) più ampia della ASL; evoluzione che risponde a una trasformazione della mission stessa dell’Azienda; ossia diventa sempre più soggetto di coordinamento fra l’indirizzo di programmazione della Regione, le funzioni svolte da altri soggetti (come le Aree Vaste) e le attività di erogazione delle prestazioni nei distretti.

Si sta passando da un modello di Azienda in sanità inquadrata in un sistema di holding e aziende consociate a un modello di un’unica grande Azienda articolata in propri dipartimenti. Modificare alcuni connotati del distretto (ad esempio, ruolo sempre più di coordinamento a livello territoriale delle diverse reti, funzioni di governo dell’offerta, ecc.) implica anche riconsiderare, valorizzandolo, il ruolo dei Comuni, laddove è in forte crescita tutta l’area dell’assistenza sociale integrata a quella sanitaria. Oggi abbiamo nella maggioranza dei distretti una governance dicotomica dei servizi offerti (servizi sanitari, sociosanitari, e sociali). Questi vengono definiti nei loro contorni, costruite le risposte e gestiti da due soggetti diversi (ASL e Comune/i in diverse forme).

In realtà, i punti di intersezione fra le diverse attività del distretto assumono un peso crescente e diventa sempre più complicato e complesso considerarle separatamente. Ciò implica una continua e costante manodopera nel definire l’”area” di competenza” nonché l’area di integrazione. Diverse realtà regionali hanno ben presente il problema e hanno tentato di regolarlo secondo le dimensioni risultanti dalle proprie storie e dalle proprie evoluzioni. Purtroppo, ancora oggi, occorre tener conto che alcune Regioni non hanno legiferato relativamente alle indicazioni della L. 328/2000. Anche se effettivamente – sebbene per altri motivi – le norme dal 2010 al 2012 consentono un percorso di razionalizzazione nell’erogazione dei servizi sociali.

Crediamo necessario, pertanto, sviluppare una riflessione all’interno del sistema sanitario su come preparare le attuali ASL a questo contesto che vede un nuovo ruolo del distretto, su come partecipare alla crescente integrazione sociosanitaria che richiede nuove politiche di governance (e probabilmente anche interventi istituzionali), su come svolgere le funzioni di coordinamento intermedio fra livello regionale (nelle sue diverse articolazioni) e livello distrettuale, nonché su come governare le reti che continuamente si formano o si modificano.

Sicuramente questa nuova dimensione dell’Azienda non va a modificare solo la natura dell’Azienda sanitaria (e forse si dovrebbe cominciare a parlare di un soggetto che svolge un’attività di governance, più che di Azienda), ma il ruolo e le funzioni di tutto il personale, e in primis del direttore generale.
 
Lorenzo Terranova
Direttore del Centro Studi Federsanità Anci 

27 gennaio 2015
© Riproduzione riservata

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