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I Piani di efficientamento degli ospedali. Cosa accadrà? Il forum di Quotidiano Sanità


Giovanni Monchiero (Ci), Angelo Lino Del Favero (Federsanità), Francesco Ripa di Meana (Fiaso), Vincenzo Panella (Lazio); Luciano Flor (Ao Padova) e Fulvio Moirano (Asl Unica Sardegna), sono stati i protagonisti del confronto promosso dal nostro giornale su un tema importante e delicato, soprattutto se inquadrato alla luce degli ultimi risultati del Piano nazionale esiti e della tendenza, sempre più marcata di molte regioni, di accorpare aziende sanitarie e ospedaliere.

21 DIC - Per qualcuno è un’opportunità, per qualcun altro un’ingerenza dello Stato. E nonostante sia norma di legge, sembrerebbe scivolare sulle buone intenzioni di manager e istituzioni come olio in una padella antiaderente. Eppure, prima o poi, si dovrà rendere di conto di quanto già previsto nella Legge di stabilità dello scorso anno e novellato dalla legge di Bilancio approvata nelle settimane scorse, ultima fiducia chiesta e ottenuta dal Governo Renzi, dove viene fissato al 7 per cento dei ricavi o a 7 milioni di euro – invece che al 5 per cento e a 5 milioni di euro - il valore del disavanzo tra i costi e i ricavi quale presupposto per l’adozione e l’attuazione di un piano di rientro per le aziende ospedaliere o ospedaliero-universitarie, gli IRCSS pubblici e gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura. È questa, in sintesi, la cornice entro cui dovranno muoversi le molte regioni e strutture sanitarie che si troveranno, volenti o nolenti, alle prese con i cosiddetti “Piani di efficientamento (o rientro) per gli ospedali”.
 
Un tema importante e delicato, soprattutto se inquadrato alla luce degli ultimi risultati del Piano nazionale esiti e della tendenza, sempre più marcata di molte regioni, di accorpare aziende sanitarie e ospedaliere. La norma è stata al centro dell’incontro promosso da Quotidiano Sanità, realizzato con il supporto non condizionante di Roche e Daiichi Sankyo e ospitato nei giorni scorsi presso la Redazione del giornale.

Al tavolo di confronto hanno partecipato Giovanni Monchiero, componente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati; Angelo Lino Del Favero, Presidente di Federsanità ANCI e DG Istituto Superiore di Sanità; Francesco Ripa di Meana, Presidente FIASO e DG IFO; Vincenzo Panella, Direttore Regionale Salute e Politiche Sociali della Regione Lazio; Luciano Flor, DG Azienda Ospedaliera di Padova e Fulvio Moirano, DG della ASL Unica della Sardegna.
 
E proprio da Giovanni Monchiero, che prima dell’esperienza parlamentare vantava una lunghissima militanza nel top management aziendale è arrivata la prima asserzione a favore di una norma che, a prescindere dai valori numerici di disavanzo previsti, giunge però, a suo giudizio, “con vent’anni di ritardo”.
 
“Questa norma” ha sottolineato “doveva essere fatta quando è stata istituita l’aziendalizzazione mentre è stata introdotta solo l’anno scorso (con una misura di disavanzo del 10%), e poi corretta quest’anno arrivando al 7%. "Ma” ha osservato “il vero problema è che questa norma l’hanno applicata praticamente solo Piemonte e Lazio, le altre regioni no, l’hanno proprio dimenticata!”. Addirittura, ha raccontato il parlamentare “qualche assessore ha candidamente chiarito che i disavanzi li gestiva lui… E allora va bene l’autonomia regionale, ma non senza alcuna regola e criterio comune”. In Commissione Affari Sociali era stato proposto di cambiare la norma, proprio perché non era stata applicata, inserendo un vincolo alle regioni di monitorarne l’applicazione ma l’emendamento fu poi bocciato dal governo.

L’avventura dell’aziendalizzazione della sanità, ha quindi ricordato Angelo Lino Del Favero, Presidente di Federsanità Anci “è iniziata nel 1991 con circa 650 Aziende tra ospedaliere e territoriali… Oggi abbiamo circa 100 Aziende ospedaliere e sono pressoché convinto che fissando al 7% la differenza tra costi e ricavi, almeno la metà di queste, tra cui quasi tutte le più grandi, andranno in piano di rientro. Unitamente alla prospettiva di adottare analogo modello per le ASL, abbiamo la sostanziale certezza che questo genere di provvedimenti rappresenti un vero e proprio piano di riorganizzazione nazionale dell’intero sistema. Anche perché” ha aggiunto il DG dell’Istituto superiore di sanità “abbiamo un sistema di vasi comunicanti tra ospedale e ospedale, tra ospedalità privata e pubblica, tra ospedale e territorio e così via. Ma per poter metter mano ad una situazione del genere” ha avvertito “bisogna immaginare una correlazione tra piani di rientro aziendali e piani di reingegnerizzazione regionali, un vero ripensamento del sistema".
 
"Si pone quindi il problema di un approccio globale che coinvolga la pianificazione regionale e aziendale. Con che mezzi possiamo fare tutto questo? Con la rigidità che c’è sulle politiche del personale riusciamo a farlo? Non è il caso di pensare a strumenti nuovi anche su questo piano, in direzione di una maggiore flessibilità? Per esempio nel middle management servono figure più giovani e specializzate ma con l’impianto burocratico attuale è molto difficile ottenere risultati”.

“Ricordo che lo scorso anno ebbi qualche vivace discussione in seno alla Fiaso” ha quindi ricordato il Presidente Francesco Ripa Di Meana “perché definii la proposta come un’opportunità. Questo intervento legislativo inaugura una serie di azioni dirette del governo sulle aziende, dopo molti anni di federalismi spinti. E io continuo a sostenere che non si tratta di un’invasione di campo nelle decisioni manageriali, ma di un modo per rinforzare la leadership del manager perché mette molto in tensione la macchina organizzativa. In realtà il sistema dei costi era immobile da anni e veniva tenuto sostanzialmente in piedi con accomodamenti estemporanei tra management e politica. Noi come manager abbiamo visto questa idea come un’opportunità.

A giudizio di Fulvio Moirano, da poche settimane chiamato in Sardegna dal Piemonte per gestire l’unificazione delle otto Aziende sanitarie in un’unica Asl regionale questa materia “soffre di due problemi di fondo: la distribuzione dei 113 miliardi di Fondo sanitario dallo Stato alle Regioni è trasparente ma segue criteri sbagliati e inoltre non è quasi mai trasparente il criterio con cui le regioni, a loro volta, li distribuiscono al loro interno”.
 
L’dea di andare a misurare le aziende ospedaliere nasce da una precisa volontà del Ministero e del Commissario per la Spending Review, “è stato deciso quindi di fissare il tetto del disavanzo al 7%” ha sottolineato Moirano “ma non sono stati definiti né i criteri di allocazione delle risorse sulle ASL né le quote capitarie. Alla prova dei fatti sembra quasi che questo provvedimento rappresenti più che altro un modo per dimostrare all’Europa che si potevano introdurre delle leve gestionali ma poi, nella realtà, a fine dell’anno l’unica regione che ha messo mano ai Piani di rientro è stata il Piemonte. Adesso, a dicembre 2016, vige ancora la quota del 10% ma Piani di rientro non ce ne sono, E nessuna sa come faranno quelli che, magari, hanno tarato il lavoro per rientrare sul 10% ed ora dovranno considerare l’abbassamento al 7%. Quindi” ha concluso “se la forza di questo provvedimento è che comunque prevedeva l’erogazione del finanziamento massimo (43%) alle strutture, la maggior criticità la vedo nella definizione del piano stesso, nella programmazione del rientro previsto in 3 anni, obiettivo irrealistico, e nelle professionalità di supporto per la sua piena realizzazione”.

“Sulla scia dell’avvio, dal 2012, dell’armonizzazione dei bilanci in Italia e del Piano nazionale esiti” ha quindi ricordato Luciano Flor, manager dell’Azienda ospedaliera di Padova “in Veneto è partita una fase di monitoraggio regionale in cui le aziende vengono convocate trimestralmente, un po’ come accade al MEF, per un confronto sull’andamento del bilancio, con immediate correzioni, se necessarie. Quando ho preso in carico l’Azienda era tra quelle in piano di rientro, ora non lo è più, ma ho monitorato la situazione proprio così come previsto dal decreto sui piani di rientro. Uno strumento di questo tipo” ha sottolineato “potrebbe dare grandi risultati se fossimo vere aziende ma purtroppo siamo sempre più spesso costretti a lavorare sulla compressione della spesa. E se continui a comprimere la spesa finisci per comprimi anche i servizi. Intendiamoci, ci sono ancora spazi per la razionalizzazione e sul piano degli esiti ma sarebbe necessario introdurre sistemi presi dal privato come per esempio un vero sistema premiante”.

Alcuni paradossi sono stati infine evidenziati da Vincenzo Panella, Direttore della sanità regionale del Lazio. La regione Lazio entra in piano di rientro circa dieci anni fa con un miliardo e 200 milioni di disavanzo e si appresta a chiudere il 2016 con un “buco” di soli 160 milioni di Euro. “Eppure” ha osservato Panella “tutte e sei le Aziende ospedaliere regionali sono in piano di rientro. Le sei aziende cumulerebbero complessivamente un disavanzo di 600 milioni di euro... ma come si coniuga questo con il dato regionale? In realtà ci poniamo problemi che sono più storture dei sistemi di misurazione che risultati economici”. Ma allora qual è il numero vero…? Il San Camillo ha 200 ml di produzione e 410 ml di costi. Ha un perdita di 160 ml, che però se calcolati in base al DM 70 diventano 48.
 
“Utilizziamo” ha sottolineato Panella “criteri di finanziamento modificabili, tariffe vecchie o non aggiornate, troppe funzioni. Tutto questo porta ai piani di rientro, che non sono una vera operazione economica per mettere i conti in ordine, ma semplicemente un’occasione per riposizionare queste grandi Aziende ospedaliere. Ecco perché Regione cerchiamo, inserendoci nell’operazione che stanno portando avanti le sei AO, di prenderci uno spazio che la normativa nazionale ci ha tolto. Questo perché non si può pensare di risolvere con provvedimenti diretti sulle aziende, problemi di sistema che sono di livello nazionale. Abbiamo quindi fatto una prima analisi delle sei aziende ed abbiamo la netta impressione che da sole non riuscirebbero a sistemare la situazione, se non sul piano dei conti. Siamo convinti che il piano di rientro debba essere anche un momento di riqualificazione dell’AO ed è per questo c’è bisogno dell’intervento regionale”.
 
La regione Lazio ha quindi messo in atto un affiancamento metodologico per assicurare unitarietà di approccio da parte delle medesime aziende perché inizialmente a 6 aziende corrispondevano 6 approcci diversi e, come confermato da Panella “diventa difficile intravedere qualche possibilità di successo di questa operazione, che comunque ritengo utile, se il discorso rimane circoscritto al singolo sistema aziendale. La seconda questione che deve essere aperta” ha aggiunto “è la portata degli esiti. Avere cominciato a ragionare sugli esiti, averli posti come riferimento normativo nel DM 70, averli inserti negli obiettivi dei DG è un grosso passo in avanti che ha rotto un’atavica resistenza, sia nelle direzioni strategiche sia nei clinici, perché rinforza le direzioni generali che vogliono operare una riorganizzazione per la salute delle persone. Ma dobbiamo arricchirla: esiti non solo per l’ospedale e non solo per 15 tipologie di ricovero su 500. Ci sono intere sezioni che sfuggono alla valutazione degli esiti. Io non mi aspetto granché dal punto di vista del “rimettere a posto i conti”, perché i disavanzi derivano da criteri di calcolo variabili. Non c’è contabilità analitica, non c’è certificazione di bilancio, ma la norma è comunque importante perché ha messo in movimento un ragionamento che vede le AO impegnate non solo sul fronte dei conti ma anche su quello del riposizionamento dell’ospedale e dell’organizzazione complessiva dell’ospedale all’interno di una rete. Nel Lazio il 48% delle attività sono acquistate da privati, ma quasi tutte sono di bassa specializzazione. C’è quindi una rete pubblica che fa alta specializzazione. Questo richiede che le regioni non possano avere un ruolo marginale rispetto ai Direttori generali degli ospedali, perché ci sono meccanismi generali di sistema che richiedono un intervento più alto”.
 
Quotidiano Sanità ha quindi chiesto ai partecipanti di elaborare un titolo, un sottotitolo o un sommario a commento della fattibilità reale di quanto prevede la norma che, calata nelle singole realtà regionali e aziendali, appare straordinariamente complessa:
Del Favero: “Piuttosto che avere una situazione confusa a macchia di leopardo, meglio un grande piano di efficientamento nazionale. In ogni caso, cerchiamo di vedere la norma come un’occasione di potenziamento del governo clinico e dei rapporti tra il mondo amministrativo e il mondo medico-sanitario”.

Monchiero: “Se il Governo credesse veramente a questa norma dovrebbe diffidare le regioni che non la applicano e poi commissariarle se proseguono nella loro “insubordinazione”. Perché non è possibile che una norma approvata dal Parlamento venga platealmente non attuata. Ma so che mai nessuno lo farà...”

Panella: “È l’occasione per mettere insieme programmazione sanitaria e programmazione finanziaria ma anche per fare un “tagliando” all’aziendalizzazione, dopo tanto tempo”.

Flor: “Potrebbe essere una buona occasione per omogeneizzare il livello nazionale e per rivedere il ruolo dei grandi e dei piccoli ospedali”.
 
Ripa Di Meana: “Il management deve accogliere questa norma perché in linea con le sue competenze. Credo, peraltro, che i mega accorpamenti siano contrari alla trasparenza di bilancio e bisogna porsi il problema della nascita, in alcune regioni, di queste mega holding”.
 
Moirano: “Non credo che il problema siano i 21 sistemi regionali in se per se, ma i motivi per cui alcuni funzionano e altri no. Credo che questa norma possa darci un minimo di criterio per mettere ordine ma il paradosso è che “resistono” anche regioni che non dovrebbero sentirsi “assediate”...” 

21 dicembre 2016
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