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Le mancate risposte del Piano Polverini secondo l'Anaao Lazio


14 OTT - A.    Il Piano di riordino della rete ospedaliera ha una carenza fondamentale: non si è fatto precedere da una valutazione che concerne il sovradimensionamento strutturale del Lazio rispetto alle altre regioni per effetto della presenza di 5 Policlinici universitari pubblici e privati a Roma, e di un numero esuberante di strutture classificate.

B.    Il Piano non ha tenuto conto adeguatamente del sottodimensionamento della rete degli Ospedali pubblici, che sopportano la maggior parte della domanda in emergenza urgenza, rispetto alla rete universitaria e a quella privata.

C.    Il Lazio è un caso unico al mondo per avere un rapporto uno a due tra posti letto universitari e posti letto pubblici, cioè nel Lazio un letto su due serve a formare medici in un numero tale che certo non serve al Lazio.

D.    Il Piano ha aumentato il divario di letti tra pubblico e privato (circa metà e metà) diminuendo ancora il pubblico a favore del privato del 2%.

E.    I Policlinici, che hanno alti indici d’inappropriatezza per i compiti didattici e formativi, hanno avuto sostanzialmente garantiti e per assurdo, a regime, incrementati i posti letto attraverso la quota di riserva.

F.    Il sistema dell’emergenza, che è quello a maggiore impatto sui cittadini e sulla tutela della salute è in perenne sofferenza nei DEA di I e II livello in cui la disponibilità di risorse di ricovero è quasi sempre inversamente proporzionale alla dimensione dei presidi ospedalieri. A questo problema il Piano da risposte contraddittorie.

G.    Le strutture ospedaliere virtuose che hanno introdotto la nuova organizzazione per intensità di cure, le aree di degenza unificate, l’applicazione di criteri di appropriatezza clinica e organizzativa, sono risultate penalizzate dai tagli dei posti per specialità.

H.    La disattivazione delle strutture ospedaliere di ridotta dimensione ha penalizzato aree di particolare criticità, dove il modello ibrido dell’ospedale distrettuale può risultare, in assenza delle realizzazioni previste (es. eliporti) decisamente lesivo delle necessità delle popolazioni locali (Amatrice, Subiaco, etc.).

I.    L’ipotesi dell’“Ospedale distrettuale”, articolato in diverse tipologie di complessità, di fatto un ibrido tra la parte residua di un ospedale per acuti e un presidio territoriale di prossimità (modello in parte sperimentato dalla vecchia giunta e fallito), non è un modello condivisibile, proprio per la sua natura che non differenzia nettamente tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale, anche se se ne comprende la genesi per dare una risposta parziale alle giuste proteste delle autonomie locali, rispetto alle disattivazioni/riconversioni che era possibile attendersi.

J.    Sotto questo profilo, considerato che le riconversioni come proposte lasciano livelli di notevole scopertura dei bisogni assistenziali soprattutto in alcune aree territoriali disagiate e che il modello proposto richiede peraltro investimenti congrui e tempi di attuazione, è necessario procedere con urgenza a modifiche fondate su una più netta distinzione di tipologie ospedaliere da tipologie realmente efficaci di assistenza territoriale.

K.    Andava fissato, e non è stato neanche accennato, un modello operativo per cui le strutture private mettano a disposizione risorse di ricovero finalizzate a rafforzare la rete ospedaliera, e a consentire la disponibilità di maggiori risorse per la rete dell’emergenza perennemente sotto pressione e carente per posti letto utili a rispondere all’urgenza.

L.    Il taglio dei letti è stato operato con modalità ingiustificatamente diverse: sui presidi pubblici a diretta gestione sulla base degli indici di spedalità che misurano il corretto ed appropriato utilizzo dei letti, sui presidi privati accreditati sulla base dei posti letto preesistenti prescindendo dai criteri di utilizzo, ma ricercando la limitazione dei contenziosi, sui presidi universitari sulla base dei criteri usati per i presidi pubblici azzerati dalla affermazione della necessità aggiuntiva connessa alle necessità legate alla didattica e alla ricerca. Sono stati perciò usati criteri disomogenei, non condivisibili, che hanno tra l’altro prodotto la sostanziale disattivazione nella maggior parte delle strutture pubbliche dei posti letto di specialità quali: oculistica, otorino, oncologia, chirurgia plastica, etc., collocandoli quasi esclusivamente in ambito privato accreditato, e ciò è del tutto inaccettabile.

M.    L’intervento è stato predisposto e condotto senza alcuna doverosa attività di confronto con le parti sociali, in condizioni che possono produrre licenziamenti, mobilità coatte e interruzione dei percorsi di carriera.

N.    Il decreto, che pure sta generando comprensibili proteste delle autonomie locali e delle organizzazioni sindacali, potrà generare risparmi, al netto dei connessi reinvestimenti di risorse, nell’ordine di alcune “decine” di milioni di euro, in luogo dei risultati attesi dal Piano di Rientro che sono dell’ordine di numerose “centinaia” di milioni di euro.

O.    Il Ministero e il Governo si attendono dalla manovra ben altri risultati economici rispetto a quelli che il decreto può conseguire nell’attuale formulazione. Si tratta allora di ragionare sulla peculiarità della rete ospedaliera del Lazio che si caratterizza con cinque Policlinici universitari pubblici e privati a Roma, e per il più alto numero di Ospedali classificati a livello nazionale. L’attività di didattica propria dei Policlinici universitari, ad esempio, soprattutto nelle casistiche più semplici che nei Policlinici va eseguita per garantire la formazione dei medici, condiziona il normale svolgimento dell’attività assistenziale, dilatandone tempi e costi di esecuzione (degenza media). Questi fattori determinano maggiori oneri nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, non compatibili con i costi standard in via di emanazione.

P.    Tali oneri dovrebbero perciò essere sostenuti dal livello nazionale e dai soggetti istituzionali preposti alla didattica e alla ricerca (MIUR).

Q.    In ogni caso le strutture universitarie e classificate sono certamente stabilimenti di cura di alto livello qualitativo, ma certamente caratterizzate dalla valenza sovraregionale o nazionale, cioè strutture che, in una parte che va correttamente misurata, ma almeno pari al 35% della spesa prodotta a bilancio, non rispondono ai bisogni sanitari del Lazio ma caso mai dell’intero paese, sia sotto il profilo della destinazione alla formazione dei medici che dell’alta specialità di alcune di esse.

R.    Queste strutture pesano sul bilancio della sanità regionale per un valore economico ingente, probabilmente pari o superiore al differenziale di costo rispetto alle altre regioni cosiddette virtuose.

S.    La chiave di volta per risolvere la questione Piano di rientro non è quella di un decreto impostato su un riordino della rete ospedaliera, quale quello fatto e da correggere, ma la proposizione al Governo di una richiesta di ricarico sul livello nazionale del finanziamento di una quota percentuale dei costi dei Policlinici universitari pubblici e privati e degli Ospedali classificati, non ritenuta necessaria per la soddisfazione dei livelli di assistenza della regione, sia nella capitale che nelle province, le più penalizzate dalle previsioni del piano nonostante la già cronica carenza di strutture per acuti.

T.    Nel quadro di generale criticità del sistema va quanto meno posposta l’opzione di riazzonamento delle ASL che rischia di rinviare di dodici-diciotto mesi il conseguimento dei risultati economici per la complessità connessa al ridisegno gestionale amministrativo delle aziende stesse.
 

14 ottobre 2010
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