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Quali politiche tutelano i pazienti non-autosufficienti?


21 GIU - Non si può negare che l’organizzazione dei servizi sanitari sia un argomento complesso e che proprio per questo quello delle politiche che cercano di farlo possano essere difficili da produrre. In questo quadro, proprio per la sua natura, l’assistenza agli anziani, ai disabili e ai malati cronici è un ambito ancor più difficile da gestire a livello politico. Un capitolo dell’ultima pubblicazione dell’Ocse è per questo dedicato proprio alle leggi e alle regolamentazioni usate in Europa e dai paesi che fanno parte dell’organismo internazionale per promuovere la salute dei pazienti non autosufficienti.
 
Sono tre gli approcci identificati dall’Ocse a questo scopo nelle diverse nazioni: imporre controlli regolatori esterni, che salvaguardino la qualità; sviluppare standard di pratica medica e cura e monitorare gli indicatori che dimostrino se i risultati corrispondano ai livelli stabiliti; stimolare il miglioramento dell’assistenza tramite incentivi simili a incentivi di mercato, rivolti alle strutture sanitarie e agli utenti.
Lo sviluppo di standard minimi, l’abilitazione professionale, la certificazione delle strutture e la richiesta di precisi prerequisiti di formazione per i professionisti sono in qualche modo il punto di partenza e le fondamenta di qualsiasi servizio di assistenza.
Tra le regolamentazioni più diffuse nei paesi Ocse – comprese Australia, Stati Uniti ed Europa – ci sono quelle che riguardano i requisiti strutturali e di assistenza. Alcune nazioni, in particolare il Giappone, ad esempio, hanno invece preferito dare maggiore attenzione all’educazione e alla preparazione della forza lavoro, come meccanismo che assicura la qualità. Altre – come l’Austria, la Germania, il Lussemburgo, la Slovenia, ma anche la stessa Italia – hanno invece sviluppato altri sistemi di amministrazione che si occupano della qualità, come ad esempio strutture esterne a quelle sanitarie vere e proprie che supervisionano la qualità dell’assistenza.
 
Ecco quali sono le esperienze più interessanti e le particolarità degne di nota nei paesi Ocse:
- le strutture sanitarie di molti paesi europei, del Canada e degli Stati Uniti, hanno stabilito degli obiettivi di qualità minimi da mantenere e metodi per occuparsi di chi ha performance troppo basse;
- tutti i Paesi Ocse analizzati hanno leggi che stabiliscono quale sia l’adeguato livello di cura. Tuttavia, sebbene gli standard siano normalmente stabiliti a livello nazionale, molte nazioni assegnano il monitoraggio e la supervisione a istituzioni locali;
- il principale strumento con il quale i paesi dell’Ocse regolano l’assistenza dei pazienti non autosufficienti è l’abilitazione e la certificazione di strutture e professionisti. Nella maggior parte dei paesi (come Australia, Belgio, Canada, Francia, Irlanda, Portogallo, Olanda e Stati Uniti) la registrazione è obbligatoria, o condizione per accedere a rimborsi, o comunque pratica comune. Meno nazioni (Australia, Giappone, Germania, Portogallo, Stati Uniti, Inghilterra, Francia), hanno anche certificazione per le strutture che operano assistenza a casa;
- le grandezze su cui si stabilisce il valore dell’assistenza e su cui si basa la certificazione delle strutture sanitarie è cambiato nel tempo da caratteristiche come la percentuale di professionisti con competenze specifiche ai processi assistenziali (come viene amministrato il processo di cura, come vengono registrati i dati, come vengono tenute a bada le infezioni). Solo più recentemente questi hanno cominciato a basarsi sui risultati, sulla qualità della vita dei pazienti, sulla loro dignità;
- i requisiti di qualifica dei lavoratori nell’ambito della long-term care si applicano prevalentemente al loro lavoro all’interno delle istituzioni sanitarie. Rimane grande variabilità però sui tempi di formazione e tirocinio. Sono poche le nazioni che prevedono che i professionisti continuino la loro formazione durante il lavoro, molti altri si concentrano sulla verifica delle capacità acquisite prima di entrare sul posto di lavoro;
- nonostante la regolamentazione e l’esistenza di standard di cura, la compliance e i protocolli di esecuzione delle prestazioni sanitarie potrebbero non essere abbastanza forti. L’Ocse sottolinea che non c’è alcuna sicurezza che le strategie messe in atto per migliorare la qualità dell’assistenza funzionino, e in particolare non si sa se l’utilizzo di multe o minaccia di chiusura per chi è inadempiente siano effettivamente efficaci, né si sa come minimizzare il peso amministrativo sulle strutture sanitarie;
- meccanismi di protezione specifica per prevenire gli abusi sui pazienti anziani sono spesso inseriti in legislazione e nelle carte dei diritti dei pazienti.
 
Ovviamente c’è però una domanda che rimane sul tavolo: quanto la regolamentazione aiuta veramente a migliorare la qualità della cura? “La regolamentazione è necessaria”, spiegano nel documento Ocse. “Tuttavia, l’eccesso di regolamentazione può soffocare l’innovazione e scoraggiare le strutture sanitarie a superare i requisiti minimi, a fare uno sforzo in più. La risposta alla domanda sopra posta, dunque, dipende almeno in parte da altro. Si devono stabilire e rendere efficienti meccanismi di miglioramento più ampi di quelli della semplice regolamentazione; meccanismi che vanno dalla standardizzazione delle cure all’applicazione di incentivi per la qualità, e infine all’ottimizzazione dell’organizzazione interna delle strutture, e che possano affiancare la semplice legislazione”.

21 giugno 2013
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