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Cancro al seno. Da uno studio su PNAS la sequenza proteica utile per le diagnosi


Grazie a un particolare modello 3D, sviluppato insieme da ricercatori italiani e statunitensi, è possibile riconoscere le fasi iniziali della patologia e comprenderne l’aggressività. In particolare, la tecnica permette di scovare marker per le cellule invasive nel tumore, tramite l’analisi del gene hMENA.

10 NOV - Una sequenza di una forma proteica finora mai descritta, che il gene di hMENA produce soltanto quando le cellule di carcinoma della mammella diventano invasive, è stata individuata da un team di ricerca italo-statunitense.Lo studio che ne parla, pubblicato su PNAS da scienziati dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, in collaborazione con l’Università di Roma ‘Sapienza’ e col Lawrence Berkeley National Lab, potrebbe aiutare dal punto di vista diagnostico, per il riconoscimento di patologie benigne o maligne, a rischio di diventare metastatiche.
 
I ricercatori hannoinfattievidenziato come cellule di carcinomadella mammella che esprimono questa forma hanno la capacità di staccarsi dalla massa del tumore primitivo ed invadere modificando il citoscheletro della cellula, quel complesso dei filamenti proteici che costituiscono l’impalcatura della cellula e che ne controlla forma e funzione. Queste cellule, dalla forma allungata, sono quelle più aggressive e più capaci  di invadere l’ambiente circostante, potranno staccarsi dal tumore primitivo per formare metastasi,  le cellule più difficili da aggredire da un punto di vista terapeutico. “Riuscire ad identificare in fasi iniziali della malattia o in lesioni benigne ad alto rischio di trasformazione, la presenza di cellule invasive può essere determinante nella scelta terapeutica giusta e può portare a terapie più mirate in grado di evitare lo sviluppo della malattia metastatica”, ha spiegato Paola Nisticò, del Laboratorio di ImmunologiadelRegina Elena.
 
Nel Laboratorio a Berkeley è stato messo a punto un modello unicodi cellule mammarie umane che ricapitola le varie fasi della trasformazione da cellula normale a cellula tumorale invasiva, cresciute in tre dimensioni (3D), in una matrice extracellulare che mima il microambiente in cui il tumore si sviluppa. “Mina Bissell, coordinatrice del team statunitense,ciha insegnato a pensare in 3Da creare modelli in cui le cellule continuino a comunicare non solo tra di loro, ma anche con la matrice che di solito le circonda nel tessuto in cui il tumore prende origine”, ha spiegato Nisticò.Grazie anche agli esperimenti condotti in questo modello, i ricercatori, sono riusciti a dimostrare che il gene hMENA, che non è espresso nelle cellule normali, è presente nel corso della trasformazione da cellula normale a cellula tumorale e produce diverse forme proteiche durante la progressione del carcinoma della mammella, utilizzando un meccanismo biologico chiamato  splicing alternativo. Lo splicing alternativo è un meccanismo altamente complesso che consente di produrre molteplici varianti di una stessa proteina, con funzioni anche opposte, a partire dallo stesso gene. “Il ruolo di questo processo nella formazione e progressione dei tumori -  ha spiegato Francesca Di Modugno, prima autricedel lavoro di PNAS - è stato sottovalutato negli ultimi anni perché le tecnologie utilizzate per studiare le alterazioni di espressione genica dei tumori non consideravano questo ulteriore livello di complessità.”  Nisticò ha poi aggiunto:“Stiamo ora cercando di comprendere i diversi segnali che partono dal microambiente tumorale e influenzano il programma di splicing del gene hMENA per poter avere nuovi target terapeutici che inibiscano le capacità invasive di cellule tumorali.”
 
Nel lavoro pubblicato su PNAS,i ricercatori hanno anche dimostrato come, intervenendo su un’altra proteina che regola il processo di splicing, sia possibile riprogrammare il gene di hMENA a produrre un forma proteica che ha un ruolo anti invasivo e che gli stessi ricercatori avevano descritto precedentemente. 
Lo studio, supportato da AIRC,potrà avere importanti implicazioni in clinica, infatti grazie alla stretta sinergia con l’Anatomia Patologica dell’IRE, i risultati sperimentali ottenuti dal gruppo sono stati confermati su tessuti di pazienti con carcinoma della mammella.

10 novembre 2012
© Riproduzione riservata

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