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Mononucleosi. Identificato un nuovo bersaglio del virus Epstein-Barr


Uno studio condotto dai ricercatori Iss e finanziato dal Ministero della Salute e dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla con la sua Fondazione, ha identificato nelle cellule dendritiche plasmacitoidi un nuovo bersaglio della strategia di evasione immunitaria operata dal virus.

17 GEN - Individuare un nuovo bersaglio del virus di Epstein-Barr (Ebv), responsabile della mononucleosi infettiva (nota anche come “malattia del bacio”), ma anche di alcuni tumori e malattie autoimmuni, può aprire la strada per la messa a punto di nuove strategie terapeutiche volte a contrastare la latenza del virus. In questa direzione va lo studio, condotto dal gruppo coordinato da Eliana Coccia, del Dipartimento Malattie Infettive, Parassitarie ed Immunomediate dell’Iss e pubblicato su European Journal of Immunology, che ha identificato nelle cellule dendritiche plasmacitoidi (pDC) un nuovo bersaglio della strategia di immunoevasione operata dal virus. La ricerca è stata sostenuta dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla e dal Ministero della Salute nell'ambito del programma strategico “Patogenesi, diagnosi e terapia della sclerosi multipla alla luce di ipotesi emergenti sul ruolo di alterate interazioni tra geni e ambiente nello sviluppo della malattia”.

L’approccio utilizzato dai ricercatori dell’Iss si è sviluppato dall’idea di allargare lo spettro delle cellule suscettibili all’infezione da Ebv. Finora, infatti, gli studi si sono concentrati soprattutto sui linfociti B, principale bersaglio dell’infezione, per identificare come il virus modifica i meccanismi coinvolti nella trasformazione cellulare o nelle alterazioni della risposta immunitaria. Lo studio identifica invece nelle pDC un nuovo possibile target dell’infezione.

“Ci siamo chiesti inizialmente se le pDC, le più importanti produttrici di interferoni, citochine con una potente attività antivirale, fossero suscettibili all’infezione da EBV - ha spiegato Coccia - e come potessero controllare la replicazione virale. Una conclusione a cui è giunta la nostra ricerca consiste nell’aver scoperto un nuovo meccanismo con cui Ebv può raggirare, a proprio vantaggio, le difese immunitarie. Questi risultati - ha puntualizzato - aiuteranno a mettere a punto nuovi approcci terapeutici in grado di intervenire sui meccanismi di immunoevasione adottati dal virus per instaurare la latenza nell’ospite.”

I risultati ottenuti in questo studio hanno dimostrato che Ebv può infettare le pDC . Attraverso la stimolazione di specifici recettori, le pDC rilasciano elevate quantità di interferoni ed in tal modo inibiscono la replicazione del virus favorendone la latenza, fase in cui il virus rimane nascosto dall’attacco del sistema immunitario. Oltre a questo meccanismo, Ebv blocca la capacità delle pDC di espandere ed attivare la risposta specifica da parte dei linfociti T effettori, attraverso l’induzione di molecole inibitorie sulla superficie della cellula infettata in modo latente.
Alterando le proprietà delle pDC, Ebv riesce a regolare il suo potenziale replicativo e, in tal modo, instaura una pacifica coesistenza con l’ospite mentre in alcuni individui può contribuire all'insorgenza di malattie autoimmuni e tumori Ebv-associati.

Questi risultati sono in accordo con recenti evidenze sul forte coinvolgimento di Ebv nell’induzione della sclerosi multipla e dell’artrite reumatoide. In queste due patologie autoimmuni è stata osservata la presenza di pDC a livello cerebrale o nelle articolazioni in stretta vicinanza con le cellule B infettate da EBV. Attraverso questo “ménage à trois” tra virus e le sue cellule bersaglio, quali linfociti B e pDC, Ebv riesce a persistere nell’ospite e ad innescare un lento e progressivo processo infiammatorio.

17 gennaio 2013
© Riproduzione riservata

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