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Tumore ovarico. Ecco come funziona il gene "salvavita"


Si chiama RNASET2 e la sua presenza inibisce la crescita del tumore. Ma se viene eliminato la cellula sana si trasforma in tumorale. Inoltre la molecola funziona da “campanello d’allarme” e da “hub” per le altre molecole. Una scoperta italiana apre frontiere inesplorate per la sperimentazione di nuove terapie.

09 MAG - Avevano già pubblicato uno studio due anni fa, su questo stesso gene, RNASET2, cruciale nell’ambito del controllo della crescita tumorale. Ma oggi gli scienziati del Gruppo di Genetica Umana dell’Università dell’Insubria hanno fatto ulteriori passi in avanti, che potrebbero aiutare nella lotta al più letale cancro ginecologico, il tumore ovarico, “killer silente” (per via dell’assenza di sintomi specifici) che porta alla morte della metà delle pazienti e fa registrare 200.000 nuovi casi ogni anno, dei quali circa 4000 solo in Italia. Gli scienziati hanno infatti pubblicato su Pnas una ricerca che dimostra come una cellula ovarica non affetta da patologia si trasforma in una cellula tumorale se la si priva di questo particolare gene. I nuovi risultati approfondiscono e delineano maggiormente il comportamento dello stesso gene nella dinamica del tumore ovarico.
 
Nel primo studio pubblicato su PNAS i ricercatori varesini avevano trasferito il gene RNASET2 in cellule tumorali ovariche e avevano constatato che la sua azione era di inibire la crescita del tumore. In questo secondo lavoro gli studiosi hanno risposto alla seguente, e opposta, domanda: “ Che risultato si otterrebbe se si togliesse il gene RNASET2 ad una cellula ovarica sana?” L’ipotesi di Roberto Taramelli, alla guida del team che ha fatto la scoperta, era quella che l’assenza di quel gene avrebbe portato all’insorgenza di un tumore, ipotesi che è stata confermata dallo studio. “Questa è la dimostrazione formale del ruolo cruciale di questo gene nella genesi tumorale, soprattutto dei tumori ovarici, le cui basi biologiche sono a tutt’oggi estremamente oscure e lacunose”, ha affermato il professore.
I ricercatori hanno, inoltre, scoperto che RNASET2 avrebbe un ruolo fondamentale durante le prime fasi della formazione tumorale, ruolo che si evidenzierebbe “nell’avvertire” (o allarmare) le cellule che qualcosa non sta funzionando in modo corretto. “Una sorta di campanello d’allarme”, ha spiegato Taramelli. “Ma questo gene fa qualcosa in più poiché“richiama”, negli spazi dove le cellule stanno iniziando la loro corsa verso la malignità, cellule immunologiche chiamate “macrofagi” che "attuano una sorta di inibizione della crescita delle cellule tumorali”.
 
I risultati globali farebbero presumere che RNASET2 si configuri come un “hub”, ossia come un importante nodo della rete di molecole che presiede ai processi cellulari e che intrattiene un numero elevato di contatti con altre molecole. “È chiaro, come ben sanno gli hacker, che se si vuole far collassare una rete occorre colpire, appunto,  gli hub e non i nodi periferici, la cui inattivazione sarebbe irrilevante” ha detto Taramelli.
Inoltre RNASET2 sembra esercitare un ruolo attivo nel promuovere un dialogo tra i diversi tipi cellulari presenti nel microambiente in cui avviene la crescita tumorale. Questo ruolo è importante nella cosiddetta “resistenza al tumore”, ossia nella naturale capacità del nostro organismo di controllare la crescita tumorale. “Non dobbiamo dimenticare che se è ormai  assodato che una persona  su tre (di sesso maschile) e una su quattro (di sesso femminile) va incontro all’insorgenza di una neoplasia nell’arco dei settant’anni di vita è pur vero che due uomini su tre e tre donne su quattro sono resistenti. Come mai? Io e il mio gruppo siamo convinti del fatto che il“microambiente” interno, ossia la particolare architettura strutturale e funzionale dei tessuti dei nostri organi, giochi un ruolo cruciale e RNASET2 agisca proprio in questo ambito”, ha spiegato.
 
Purtroppo lo studio focalizzato sul “microambiente”, e quindi sulla resistenza al tumore, è ancora ad uno stadio arretrato rispetto allo studio sulla suscettibilità ad ammalare di tumore (esatto contrario della resistenza), ma presenta delle prospettive molto più interessanti e di largo respiro che potrebbero concretizzarsi con interventi terapeutici molto più “naturali” poiché implicano l’attivazione di difese interne che operano già in modo abbastanza efficace.
“RNASET2 potrebbe quindi rappresentare una delle molecole da testare  in ambito terapeutico, considerando che molecole simili a RNASET2 ma provenienti da specie diverse quali, tra le altre, la rana sono attualmente in fase molto avanzata di sperimentazione terapeutica, con risultati abbastanza promettenti”, ha concluso Taramelli. “RNASET2, inoltre, avrebbe il vantaggio di essere una molecola proveniente dalla nostra specie e quindi non andrebbe incontro alle abnormi reazioni immunologiche della molecola ospite, che spesso limitano notevolmente l’efficacia clinica”.

09 maggio 2013
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