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Ipertensione. Una proteina normalmente presente nell'urina aumenta il rischio


A dirlo è uno studio italiano pubblicato su Nature Medicine. L’uromodulina, proteina presente nelle urine, è stata legata a un rischio maggiore di sviluppare l’ipertensione arteriosa, oltre che danno renale. Per evitare il problema basta ridurre il consumo di sale. La ricerca finanziata da Telethon.

04 NOV - È stato finanziato da Telethon e pubblicato su Nature Medicine lo studio che potrebbe aiutare ad affrontare l’ipertensione arteriosa, fattore di rischio per il sistema circolatorio che solo in Italia riguarda un terzo della popolazione adulta: più precisamente è frutto del lavoro del team di Luca Rampoldi dell’Istituto Telethon Dulbecco presso l’Istituto San Raffaele di Milano, e ha messo in luce un meccanismo che collega l’uromodulina, proteina presente nelle urine, a un rischio maggiore di sviluppare l’ipertensione arteriosa e il danno renale.

Da anni questo gruppo di ricerca studia una rara malattia renale dovuta a difetti nel gene che contiene le informazioni per questa molecola, la proteina più abbondante normalmente presente nelle urine. Sebbene sia stata scoperta più di 50 anni fa, la sua funzione biologica continua ad essere un mistero. Dal lavoro sui modelli murini è emerso che un aumento della produzione di uromodulina determina la comparsa di ipertensione già in giovane età, ma anche che una riduzione dell’apporto di sale nella dieta è sufficiente per ripristinare valori normali di pressione sanguigna.
 
Il punto di partenza di questo lavoro è stata la scoperta che alcune varianti comuni del gene dell’uromodulina, in particolare della regione che ne regola l’espressione e quindi la produzione, sono associate ad un rischio maggiore di sviluppare ipertensione e danno renale nel corso della vita. In questo studio, i ricercatori Telethon hanno scoperto le basi biologiche di tale associazione, attraverso un complesso lavoro condotto dal team italiano insieme a quello di Olivier Devuyst dell’Università di Zurigo. Tale lavoro ha combinato studi di ricerca di base su modelli cellulari ed animali e di ricerca clinica su coorti di pazienti. Il lavoro si e’ avvalso di diverse collaborazioni, tra cui quella in ambito clinico con il team del prof. Paolo Manunta dell’Università San Raffaele, per studi di patologia renale con la dott.ssa Maria Pia Rastaldi dell’Ospedale Policlinico di Milano, e per studi epidemiologici con un consorzio di università svizzere (Berna, Ginevra, Losanna, Zurigo).
 
Il dottor Rampoldi, responsabile dell’Unità di Genetica molecolare delle malattie renali dell’Istituto San Raffaele, spiega: “Analizzando decine di biopsie renali e centinaia di campioni di urine di persone con pressione arteriosa e funzionalità renale normali, abbiamo osservato che i livelli di uromodulina variavano in base a precise sequenze nel DNA. In particolare, le persone che avevano delle varianti in grado di metterle “a rischio” di pressione alta o danno renale producevano molta uromodulina, viceversa i portatori delle varianti protettive. Ci siamo quindi chiesti in che modo un alto livello di espressione del gene dell’uromodulina potesse portare a un aumento del rischio di sviluppare ipertensione o danno renale nel corso della vita”, ha detto. “La nostra ipotesi è che questa proteina favorisca il riassorbimento di sale e acqua a livello renale, con un meccanismo che abbiamo parzialmente identificato. Alti livelli di espressione provocano un maggiore riassorbimento di sodio, potenziando l’azione di una specifica proteina di trasporto localizzata nel rene: questo si traduce in un aumento della pressione sanguigna. La prova del nove? Somministrando un potente diuretico che ha come bersaglio proprio questo sistema di riassorbimento, abbiamo riscontrato un maggiore effetto del farmaco sulla pressione negli animali “superproduttori” di uromodulina”.
 
“Lo stesso meccanismo sembra essere conservato anche nell’uomo”, ha poi aggiunto Paolo Manunta, nefrologo e direttore della Scuola di specializzazione in Nefrologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. “Pazienti ipertesi trattati con lo stesso diuretico hanno infatti mostrato una riduzione significativa della pressione solo se portatori delle varianti genetiche associate a maggiore espressione di uromodulina”.
Altro aspetto importante emerso da questo studio è che alti livelli di espressione di uromodulina causano la comparsa di lesioni renali in età avanzata. “Questo studio è un chiaro esempio di ricerca traslazionale – ha commentato Manunta – perché sono stati trasferiti i risultati ottenuti nei modelli sperimentali alla pratica clinica sul paziente con ipertensione arteriosa, grazie all’interazione tra ricercatori e medici, caratteristica del San Raffaele. In accordo con una versione sempre più personalizzata della medicina, questo lavoro mostra come la genetica possa aiutare nella scelta di terapie mirate per l’ipertensione arteriosa, più efficaci e con meno effetti collaterali”.
«Il nostro studio rappresenta non solo un contributo significativo alla comprensione del funzionamento dei nostri reni, ma contribuisce a chiarire quali siano i complessi meccanismi alla base di malattie comuni quali ipertensione e malattia renale cronica, suggerendo interessanti applicazioni su ampia scala: apre infatti la strada allo sviluppo di farmaci per l’ipertensione che abbiano come bersaglio l’uromodulina o altre molecole coinvolte nel meccanismo regolato da questa proteina, su cui c’è ancora molto da scoprire”, ha poi concluso Rampoldi.  

04 novembre 2013
© Riproduzione riservata

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