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Alzheimer. In Italia 700 mila malati. Ecco il primo modello italiano integrato di gestione dei pazienti. Ce lo presenta Fabrizio Tavaglini

di Laura Berardi

Intervista al direttore del dipartimento malattie neurodegenerative dell’Istituto Neurologico Carlo Besta e responsabile del progetto Alxheimer sulla diagnosi e la gestione del paziente con Alzheimer. Il progetto è stato finanziato dal Ministero della Salute e svolto nella Regione Lombardia. Ed è il primo passo per lo sviluppo di un Piano nazionale demenze.

22 NOV - Sono stati presentati oggi, all'Istituto Neurologico “Carlo Besta” i risultati di un programma strategico multicentrico per la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer, finanziato dal Ministero della Salute, a cui hanno partecipato 31 gruppi di ricercatori di tutta Italia coordinati dall’Istituto.

Il progetto tenta di mettere in piedi il primo modello italiano di piano integrato per diagnosticare, trattare e gestire i pazienti colpiti da Alzheimer: uno studio importante, che per ora riguarda la Regione Lombardia e le Asl di Milano, ma che potrebbe essere presto esportato in altre regioni, se ci saranno i finanziamenti. Quotidiano Sanità ha chiesto, in anteprima, a Fabrizio Tagliavini, responsabile del progetto e direttore del dipartimento malattie neurodegenerative dell’Istituto Neurologico Carlo Besta, di svelare qualche dettaglio sul percorso che è stato fatto fino ad oggi in Lombardia e quello che verrà fatto in futuro in Italia, grazie all'impegno delle Regioni e del Ministero.

“Si tratta di un progetto che è stato finanziato dal Ministero già a partire da 3 anni fa, ma un braccio di studio sta ancora andando avanti”, ci ha detto. “Quella all'Alzheimer è una lotta molto impegnativa, la malattia ha una prevalenza molto alta e colpisce oltre 700 mila persone in Italia, e in più si tratta di una malattia cronica. Il peso è devastante non solo per i pazienti, che subiscono un forte declino delle funzioni cognitive, ma anche per le famiglie e per la Sanità in generale, poiché la malattia necessita di un impegno organizzativo ed economico non indifferente. Proprio per questo qualche anno fa il Ministero bandì dei progetti strategici, e questo che presentiamo in questi giorni è quello che è stato approvato e finanziato”.

Il progetto, ci spiega Tagliavini, prevedeva una serie di obiettivi, che comprendevano la ricerca clinica in senso stretto, ma anche l'armonizzazione delle cure sul territorio. “C'era e c'è ancora bisogno di stabilire dei protocolli diagnostici efficaci, volti alla diagnosi precoce e al riconoscimento tempestivo dei pazienti con declino cognitivo lieve, che ancora non hanno sviluppato la malattia ma che hanno un rischio alto di averla in futuro. Questa parte dello studio prevedeva diversi sotto-progetti clinici, che andavano da quelli di ricerca di marcatori cognitivi  a marker comportamentali, che potessero avere valore diagnostico e predittivo, passando per aspetti più diagnostici o le nuove tecniche di imaging”, ci ha detto l'esperto. “Il declino cognitivo lieve, che a volte presagisce l'avvento dell'Alzheimer, è in realtà infatti un'area fumosa, nella quale sono inclusi disturbi lievi che non configurano per forza una situazione di presente o futura demenza, e le cui cause possono essere diverse: alcuni possono essere reversibili, altri spie di patologie non cognitive ma ad esempio vascolari, o ancora avvisare del rischio di sviluppare malattie degenerative diverse che non sono l'Alzheimer. E in questo senso anche lo studio di sintomi che riguardano il comportamento è stato ritenuto importante: questi sono infatti forse i più difficili da gestire, ma riscontrabili in fase precoce”. E poi, ancora in ambito clinico, c'era tutta la parte di studio che riguardava i biomarcatori molecolari, dalla ricerca di nuovi marker genetici a marcatori simili a quelli attuali, ma più specifici e precisi.

Ma – come già detto – uno degli obiettivi principali dello studio è anche quello di stabilire delle metodologie standardizzate non solo a livello locale. “Ad oggi – ci ha spiegato il responsabile del progetto – c'è una notevole variabilità geografica non solo su tutto il territorio nazionale, ma anche all'interno della stessa città. Per questo era cruciale armonizzare i centri sparsi nelle varie regioni”. Tutto questo, grazie al progetto, è stato già fatto nei 31 gruppi che in Lombardia hanno partecipato al progetto. “Inoltre – ha aggiunto Tagliavini – c'era bisogno di stabilire e applicare delle procedure standard per l'approccio al paziente. In altre parole: quando e come un medico di medicina generale deve consigliare al suo paziente di rivolgersi a un centro specialistico?”.

Proprio questo riguardava infatti l'ultima linea del progetto, che ancora oggi va avanti. “Abbiamo iniziato prima con uno studio pilota, che tuttavia coinvolgeva un numero abbastanza cospicuo di medici di medicina generale: una cinquantina di dottori che sono stati formati su questo argomento, per rimuovere l'incertezza nel trattamento e dunque ottimizzare il processo”, ci ha detto. “Così abbiamo potuto far sì che almeno a livello locale tutti gli attori che prendevano parte al processo diagnostico e gestionale della malattia potessero concorrere a migliorare l'appropriatezza delle cure, anche tramite l'implementazione di una cartella clinica elettronica a cui avessero accesso sia i medici di medicina generale che gli specialisti. In altre parole, un paziente per il quale si sospetta l'Alzheimer entra in un percorso di cura ottimizzato in modo che tutto sia perfettamente coordinato, a tutti i livelli”. Questo studio pilota è stato ulteriormente finanziato da Ministero e Asl di Milano e oggi sta continuando: i medici di medicina generale coinvolti sono saliti a 500, con 18 ambulatori specialistici e 13 unità ospedaliere, per un totale di circa 2800 pazienti con iniziale decadimento cognitivo e primi sintomi di demenza.

Ora tuttavia, il passo successivo è quello di verificare se e come il modello possa essere applicato ad altre realtà italiane oltre quella lombarda. “Questo si sta già facendo, siamo in attesa di capire se ci potrà essere finanziamento per fare partire il tutto in altre regioni, tra le quali Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Umbria”, ci ha spiegato Tagliavini. “In realtà questo è anche quello che ci chiede l'Europa, con Horizon 2020 e lo sviluppo di studi clinici ben strutturati, con grandi coorti di pazienti. Naturalmente, però, nello specifico l'idea è che tutto ciò possa aiutare il governo a sviluppare un Piano nazionale demenze, che in Italia, a differenza di altre nazioni europee, non esiste”. Ed è proprio per questo, ha concluso il responsabile del progetto, che domani in occasione della presentazione di questo progetto italiano arriveranno da tutta Europa insigni studiosi, che illustreranno tutti i passi fatti nel Regno Unito, in Germania, in Francia e negli Stati Uniti per ottenere il loro Piani nazionali. “E così – conclude Tagliavini – fare un po' il punto sulla situazione e le prospettive italiane”.

Laura Berardi

22 novembre 2013
© Riproduzione riservata

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