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Andexanet: l’antidoto per i nuovi anticoagulanti orali

di Maria Rita Montebelli

Sarà utilizzato in situazioni di emergenza, per bloccare emorragie o in caso di interventi chirurgici non rimandabili. Il nuovo farmaco blocca sia apixaban, che rivaroxaban impedendo loro di legarsi al ‘vero’ fattore Xa, che può riprendere così a svolgere la sua azione di fattore della coagulazione

13 NOV - Era il 2010 quando dabigatran, inibitore diretto della trombina, veniva approvato negli USA per la prevenzione dell’ictus in corso di fibrillazione atriale. Nell’arco dei successivi 5 anni sono arrivati a fargli compagnia tre inibitori del fattore Xa (apixaban, rivaroxaban, edoxaban).
 
Farmaci nuovi, in grado di superare molti dei problemi inerenti alla terapia con in vecchi anticoagulanti orali (gli inibitori della vitamina K, come il warfarin). Ma con un problema su tutti: la mancanza di un antidoto, di una strategia da ‘indietro tutta’ in caso di emergenza. Ma anche questo è un problema che verrà presto superato. Lo scorso ottobre, idarucizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato ‘anti-dabigatran’ è stato approvato dall’FDA per l’impiego negli USA; sul fronte degli inibitori del fattore Xa, sono invece al vaglio due candidati antidoti: andexanet alfa e ciraparantag.
 
L’andexanet è figlio dell’ingegneria genetica. In pratica è una sorta di fattore Xa ricreato in laboratorio, ‘modificato’ attraverso l’inserimento di una mutazione nel suo sito catalitico che di fatto ne abolisce l’attività anticoagulante. Questo fa sì che gli inibitori del fattore Xa leghino con forte affinità queste molecole ‘specchietto per le allodole’ e questo neutralizza la loro attività anticoagulante. Andexanet ha la capacità di legare sia gli inibitori del fattore Xa diretti (rivaroxaban, apixaban, edoxaban) che gli inibitori del fattore Xa che agiscono attraverso l’antitrombina (eparine a basso peso molecolare e fondaparinux).
 
Sul numero del New England Journal of Medicine di questa settimana sono pubblicati due studi randomizzati, controllati con placebo e in doppio cieco su questo nuovo antidoto. L’ANNEXA-A ha valutato l’andexanet come antidoto per l’apixaban, mentre l’ANNEXA-R lo ha studiato sul rivaroxaban.
Volontari sani di età compresa tra i 50 e i 75 anni sono stati sottoposti a trattamento anticoagulante con uno dei due inibitori del fattore Xa (apixaban e ravaroxaban), quindi è stato somministrato loro l’antidoto. L’assunzione di andexanet ha prodotto, sia nei soggetti trattati con apixaban che in quelli trattati con rivaroxaban, una rapida e significativa riduzione dell’attività anti-fattore Xa, nell’arco di 2-5 minuti dalla somministrazione per via endovenosa. Nel caso del rivaroxaban, la dose di andexanet necessaria per annullare l’effetto anticoagulante è risultata doppia rispetto a quella utile per l’apixaban.
 
Il prossimo passo consisterà nel testare l’andexanet in un contesto real world. Di questo si occuperà lo studio di fase 3b-4 “Prospective, Open-Label Study of Andexanet Alfa in Patients Receiving a Factor Xa Inhibitor Who Have Acute Major Bleeding”. In questo studio, l’antidoto verrà utilizzato a diversi dosaggi che tengano conto non solo della tipologia dell’anticoagulante usato, ma anche del tempo dall’ultima assunzione. “Mancano ancora tante informazioni relative all’uso ideale di questo farmaco. Ciononostante – commenta in un editoriale di accompagnamento Jean Connors , Divisione di Ematologia, Brigham and Women’s Hospital e Harvard Medical School (USA) – andexanet rappresenta un enorme passo in avanti nella possibilità di controllare la terapia anticoagulante”.
 
Maria Rita Montebelli

13 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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