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Preservare la salute delle ossa aiuta a contrastare la distrofia


Uno studio dell’Università dall’Aquila individua un meccanismo chiave nel processo degenerativo della malattia: anche le ossa subiscono un progressivo indebolimento che alimenta la disabilità

28 APR - Non solo muscoli: la distrofia muscolare di Duchenne è anche una malattia ossea. Lo rivela uno studio finanziato da Telethon e condotto da ricercatori dell’Università dell’Aquila.Pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research, il lavoro è parte di un ampio progetto multicentrico coordinato da Fabrizio De Benedetti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma il cui obiettivo è capire se particolari messaggeri chimici, fra cui l’interleuchina-6 (IL-6), possano avere un ruolo nella distrofia muscolare di Duchenne.
“L’IL-6 è coinvolta in tantissimi processi biologici molto diversi tra loro, come l’infiammazione e la trasformazione tumorale”, ha spiegato la coordinatrice della ricerca Anna Maria Teti. “In questo studio abbiamo dimostrato sia nel modello animale, sia nelle cellule di bambini distrofici, che questa stessa molecola è coinvolta nella perdita di tessuto osseo già nelle prime fasi della malattia, quando la capacità di camminare non è ancora compromessa”.
Le condizioni delle ossa sono strettamente correlate a quelle dei muscoli: quando il muscolo è debole, anche l’osso si danneggia di conseguenza, perché non riceve un adeguato stimolo meccanico. È quanto accade non solo nelle malattie neuromuscolari come la distrofia, ma anche durante l’invecchiamento, in condizioni di sedentarietà prolungata o di paralisi, ma anche agli astronauti sottoposti per lungo tempo alla mancanza di forza di gravità. Allo stesso tempo, un osso debole non fornisce al muscolo un adeguato sostegno e contribuisce così alla debolezza progressiva che si osserva in questi pazienti.
“Il meccanismo con cui l’IL-6 media questo fenomeno è una sorta di sbilanciamento nel normale ricambio dell’osso”, ha aggiunto la ricercatrice. “In condizioni normali le nostre ossa sono sottoposte a due processi opposti: la deposizione di nuovo tessuto, mediata da cellule chiamate osteoblasti, e il riassorbimento di tessuto vecchio, ad opera invece degli osteoclasti. Nelle persone sane c’è un equilibrio perfetto, mentre quello che abbiamo osservato nei bambini distrofici è che c’è un forte aumento dell’attività degli osteoclasti accompagnato da una riduzione di quella degli osteoblasti, associati proprio all’aumento di IL-6 nel sangue. In termini clinici questo si traduce in una riduzione dell’accrescimento delle ossa e in un aumento della loro fragilità”.
Questo risultato spiega innanzitutto un fenomeno che in precedenza si pensava dovuto soltanto all’effetto dei glucocorticoidi, farmaci antinfiammatori che attualmente sono utilizzati per rallentare la progressione della malattia ma che alla lunga hanno pesanti effetti collaterali, anche sui muscoli. Soprattutto suggerisce un’alternativa per prolungare la capacità di camminare in questi bambini.
“I dati di questo studio costituiscono il primo risultato concreto di un progetto volto a caratterizzare il ruolo dell’infiammazione nella distrofia di Duchenne”, ha aggiunto De Benedetti. “Scopo finale delle ricerche in corso è proprio fornire un’alternativa al trattamento con i glucocorticoidi, tale da rappresentare una terapia di supporto più efficace nel mantenere una migliore funzionalità del sistema muscolo-scheletrico. Questo è particolarmente importante nel caso della distrofia di Duchenne, visto che sono attualmente in sperimentazione diversi approcci terapeutici che richiedono però di iniziare il trattamento quando la capacità di camminare non è ancora del tutto compromessa dalla malattia”. 

28 aprile 2011
© Riproduzione riservata

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