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Tumore del Rene. Arriva il via libera dall'Europa per il Nivolumab


Nivolumab è il primo inibitore di checkpoint immunitario PD-1 approvato in pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati. Con questa approvazione, nivolumab è l’unico inibitore di checkpoint immunitario PD-1 approvato in Europa a dimostrare un beneficio di sopravvivenza globale rispetto allo standard di cura in tre diversi tipi di tumore.

08 APR - La Commissione Europea ha approvato nivolumab in monoterapia per una nuova indicazione in pazienti adulti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati. Nivolumab è il primo e unico inibitore di checkpoint immunitario PD-1 approvato in Europa ad aver dimostrato un beneficio di sopravvivenza globale (OS) rispetto allo standard di cura in questa popolazione di pazienti. Questa approvazione permette la commercializzazione di nivolumab anche per il carcinoma a cellule renali avanzato in pazienti precedentemente trattati in tutti i 28 Stati membri dell’Unione Europea. 
 
“L’approvazione odierna rispecchia il nostro impegno affichè nivolumab, con il suo potenziale di sopravvivenza a lungo termine, sia disponibile a una vasta popolazione di pazienti, inclusi quelli con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati - ha commentato Emmanuel Blin, senior vice president, Head of Commercialization, Policy and Operations, Bristol-Myers Squibb -. Nivolumab è l’unico inibitore di checkpoint immunitario PD-1 approvato in Europa a dimostrare un significativo aumento della sopravvivenza in questa popolazione di pazienti. In Bristol-Myers Squibb siamo impegnati per rendere disponibili nuove opzioni terapeutiche per aiutare un numero sempre maggiore di pazienti; in meno di un anno abbiamo esteso l’approvazione di nivolumab in Europa a tre diversi tipi di tumore avanzato”.

Questa approvazione si basa sui risultati dello studio di fase III CheckMate -025 pubblicati sul New England Journal of Medicine. Nello studio CheckMate -025 nivolumab è stato valutato in pazienti con carcinoma renale a cellule chiare avanzato, dopo un precedente trattamento anti-angiogenico, rispetto a everolimus. I pazienti hanno raggiunto una sopravvivenza globale mediana di 25 mesi con nivolumab e di 19,6 mesi con everolimus (HR: 0,73; IC 98,5%: 0,57 - 0,93; p = 0,0018), con un miglioramento di più di 5 mesi rispetto all’attuale standard di cura. CheckMate -025 ha anche valutato la qualità di vita (QoL) ed evidenziato che i pazienti trattati con nivolumab avevano una migliore sopravvivenza e qualità di vita rispetto a everolimus durante tutta la durata del trattamento.

“Per la prima volta in Europa i pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati avranno accesso a un farmaco immuno-oncologico che ha dimostrato un significativo beneficio di sopravvivenza globale associato a un profilo di sicurezza favorevole rispetto a everolimus - ha commentato Bernard Escudier, Chair del Genitourinary Oncology Committee, Institut Gustave Roussy di Villejuif (Francia) -. Oltre ai risultati di efficacia clinica, i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato un miglioramento della qualità di vita e sintomi significativamente minori nel corso del trattamento rispetto ai pazienti trattati con everolimus. Questi dati supportano l'uso di nivolumab nella pratica clinica e rappresentano un importante passo in avanti verso la definizione di un nuovo standard di cura in Europa.”
 
Nivolumab, primo inibitore PD-1 a dimostrare un significativo beneficio di sopravvivenza globale in pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati
CheckMate -025 è uno studio randomizzato, di fase III, in aperto, che ha valutato nivolumab vs everolimus in pazienti con carcinoma renale, a cellule chiare, in stadio avanzato precedentemente trattati con terapia anti-angiogenica, che aveva come endpoint primario la sopravvivenza globale (OS). Il tasso di risposta obiettiva (ORR) era l'endpoint secondario. In questo studio, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere nivolumab (3 mg/kg ogni due settimane, per via endovenosa) o everolimus (10 mg al giorno, per via orale). L'analisi ad interim prepianificata è stata condotta dopo l'osservazione di 398 eventi (70% del numero di eventi necessari per l'analisi finale).

I risultati dello studio CheckMate -025 hanno indicato che i pazienti trattati con nivolumab hanno avuto un miglioramento della sopravvivenza globale di più di 5 mesi, con una OS mediana di 25 mesi con nivolumab e 19,6 mesi con everolimus (HR: 0,73; IC 98,5%: 0,57 - 0,93; p = 0,0018). Il beneficio di OS era indipendente dall'espressione di PD-L1. Nivolumab ha inoltre mostrato una ORR maggiore rispetto a everolimus (rispettivamente 25,1% [IC 95%: 21 - 29,6] vs 5,4% [IC 95%: 3,4 - 8,0]). In totale, 49 responder a nivolumab (47,6%) hanno evidenziato risposte ancora in corso fino a 27,6 mesi.

Oltre al beneficio di OS osservato, i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato anche un miglioramento nel tempo dei sintomi correlati alla malattia e della qualità di vita (QoL) non malattia-specifica, rispetto ai pazienti trattati con everolimus. I pazienti sono stati valutati utilizzando le scale validate e affidabili del Functional Assessment of Cancer Therapy-Kidney Symptom Index-Disease Related Symptoms (FKSI-DRS) e dell'EuroQoL EQ-5D. I risultati hanno evidenziato che entro 20 settimane di trattamento i pazienti trattati con nivolumab hanno manifestato un significativo miglioramento dei sintomi correlati alla malattia, mentre i pazienti trattati con everolimus mostravano un significativo deterioramento entro la quarta settimana.

Nello studio CheckMate -025, il profilo di sicurezza di nivolumab era in linea con quanto osservato in precedenti studi. Eventi avversi gravi si sono manifestati nel 47% dei pazienti trattati con nivolumab. Le reazioni avverse gravi più frequenti, osservate in almeno il 2% dei pazienti in trattamento con il farmaco, erano danno renale acuto, versamento pleurico, polmonite, diarrea e ipercalcemia. In questo studio, le reazioni avverse più comuni (≥ 20%) nei pazienti trattati con nivolumab, rispetto a everolimus, erano astenia (56% vs 57%), tosse (34% vs 38%), nausea (28% vs 29%), rash cutaneo (28% vs 36%), dispnea (27% vs 31%), diarrea (25% vs 32%), costipazione (23% vs 18%), riduzione dell'appetito (23% vs 30%), dolore al dorso (21% vs 16%) e artralgia (20% vs 14%).
 
Il carcinoma a cellule renali
Il carcinoma a cellule renali (RCC) è il più comune tipo di tumore del rene negli adulti, responsabile ogni anno di più 100.000 decessi nel mondo. Il carcinoma renale a cellule chiare è il tipo di tumore renale a prevalenza più alta e costituisce l'80 - 90% dei casi totali. Il carcinoma a cellule renali è circa due volte più comune negli uomini che nelle donne, con i tassi più alti di malattia nel Nord America e in Europa. Globalmente, il tasso di sopravvivenza a cinque anni, nei pazienti che ricevono diagnosi di tumore del rene metastatico o avanzato, è del 12,1%.
 
Nivolumab
Le cellule tumorali possono sfruttare vie “regolatorie”, come quelle di checkpoint, per nascondersi dal sistema immunitario e proteggere il tumore dall’attacco immune. Nivolumab è un inibitore di checkpoint immunitario che si lega al recettore di checkpoint PD-1 espresso dalle cellule T attivate, bloccandone il legame con i ligandi PD-L1 e PD-L2 e prevenendo di conseguenza il segnale inibitorio della via PD-1 sul sistema immunitario, interferendo anche con la risposta immunitaria anti-tumorale.
Il vasto programma di sviluppo globale di nivolumab si basa sulle conoscenze di Bristol-Myers Squibb della biologia che sta alla base dell’Immuno-Oncologia. Siamo al primo posto nel ricercare il potenziale dell’Immuno-Oncologia per aumentare la sopravvivenza in pazienti con tumori difficili da trattare. Su questo ‘expertise’ scientifico si fonda il programma di sviluppo di nivolumab, che include un’ampia gamma di studi clinici di fase III che valutano la sopravvivenza globale come endpoint primario in molti tipi di tumori. Gli studi clinici su nivolumab hanno anche contribuito alla comprensione in ambito clinico e scientifico del ruolo dei biomarcatori e di come i pazienti possono beneficiare del trattamento con nivolumab indipendentemente dall’espressione di PD-L1. Ad oggi, nel programma di sviluppo clinico di nivolumab sono stati arruolati più di 18.000 pazienti.
Nivolumab è stato il primo inibitore di checkpoint immunitario PD-1 al mondo ad ottenere l’approvazione, nel luglio 2014, ed è attualmente approvato in 48 Paesi inclusi gli Stati Uniti, il Giappone e l’Unione Europea.  

08 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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