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Rischio cardiovascolare per celecoxib. Studio Usa “assolve” il farmaco. Presenta stessi profili di rischio dei Fans a largo consumo. Confermato minore impatto gastro-intestinale e renale

di Maria Rita Montebelli

Conclusosi dopo oltre 10 anni il mega-trial imposto dalla FDA per valutare la safety cardiovascolare del celecoxib rispetto ai FANS di più ampio impiego da parte dei soggetti con artrosi e artrite reumatoide. Il farmaco ha centrato la non-inferiorità nel confronto con naprossene e ibuprofene per quanto riguarda la safety cardiovascolare ma ha prodotto un numero significativamente inferiore di effetti indesiderati gastro-intestinali e renali, rispetto ai farmaci di confronto

15 NOV - La safety cardiovascolare dei farmaci anti-infiammatori e dei coxib rimane un grosso punto interrogativo, soprattutto per quei pazienti costretti a prenderli per lunghi periodi per il controllo del dolore cronico (tipicamente quelli affetti da osteoartrite o da artrite reumatoide). E si tratta di una zona grigia che interessa milioni di persone nel mondo: soltanto negli USA si contano ogni anno oltre 100 milioni di prescrizioni di FANS, farmaci che agiscono inibendo le due isoforme della ciclo-ossigenasi (COX-1 e COX-2), introdotti negli anni ’60 e divenuti rapidamente tra i più prescritti al mondo.
 
Solo a distanza di molti anni, si è compreso che l’effetto anti-infiammatorio e anti-dolorifico è mediato dall’inibizione di COX-2, mentre l’inibizione della COX-1 è responsabile degli effetti indesiderati a livello gastro-intestinale. Da queste osservazioni è nata una nuova classe di farmaci, gli inibitori selettivi di COX-2, il cui capostipite tuttavia, il rofecoxib è stato ritirato dal commercio nel 2004 a causa di un eccesso di effetti indesiderati a livello cardiovascolare.
 
Al momento l’unico rappresentante di questa classe usato in clinica è il celecoxib, ma la condizione imposta da FDA per mantenerlo in commercio è stata che la sua safety cardiovascolare fosse esplorata da un trial ad hoc.
 
Da queste premesse, all’indomani del ritiro dal commercio di rofecoxib, è nato il trial PRECISION (Prospective Randomized Evaluation of Celecoxib Integrated Safety versus Ibuprofen or Naproxen) che ha confrontato gli effetti cardiovascolari del celecoxib paragonandoli con quelli di due FANS di largo utilizzo, l’ibuprofene e il naprossene.
 
I risultati di questo studio sono stati appena pubblicati online first sul New England Journal of Medicine e presentati in contemporanea al congresso dell’American Heart Association in corso in questi giorni a New Orleans.
 
Lo studio, dal disegno di non-inferiorità, randomizzato, multicentrico, in doppio cieco ha arruolato pazienti ad aumentato rischio cardiovascolare, affetti da artrite reumatoide e da osteoartrite. I pazienti sono stati quindi randomizzati al trattamento con celecoxib (100 mg due volte al dì), ibuprofene (600 mg tre volte al dì) o naprossene (375 mg due volte al dì), tutti controllati versus placebo. Nelle visite di controllo i medici potevano aumentare nei pazienti con artrite reumatoide la posologia del celecoxib fino a 200 mg x 2 (questo non poteva essere invece fatto nei pazienti con osteoartrite), quella di ibuprofene fino a 800 mg x 3  e quella di  naprossene fino a 500 mg x 2, per il controllo della sintomatologia algica.
 
L’endpoint composito primario, nell’analisi ‘intervallo di tempo dall’evento’, era rappresentato dalla prima comparsa di un evento avverso tra quelli contemplati dai criteri dell’Antiplatelet Trialists Collaboration (APTC), quali decesso per cause cardiovascolari, decesso per emorragia, infarto miocardico non fatale, stroke non fatale. L’endpoint composito secondario comprendeva i componenti dell’endpoint primario con l’aggiunta di rivascolarizzazione coronarica o ricovero per angina instabile o attacco ischemico transitorio.
 
E’ stata infine prevista anche la valutazione di outcome terziari, quali eventi renali clinicamente rilevanti, anemia da deficit marziale da sanguinamento gastro-intestinale, ricovero per scompenso cardiaco o per ipertensione, mortalità per tutte le cause.
 
Per questo mega-studio sono stati screenati 31.857 pazienti. I 24.081 che rispondevano ai criteri di inclusione sono stati arruolati presso 926 centri in 13 nazioni tra il 2004 e il 2014 e randomizzati nei tre gruppi di trattamento (8.072 gruppo celecoxib, 7.696 gruppo naprossene, 8.040 gruppo ibuprofene).
 
Il trial è durato oltre 10 anni; non sorprende dunque l’elevatissimo numero dei drop-out: il 68,8% dei pazienti ha interrotto il farmaco assegnato nello studio, il 27,4% ha sospeso il follow-up, il 2,5% dei pazienti è deceduto, l’8,3% ha ritirato il consenso informato (per scritto) e il 7,4% ha espresso verbalmente l’intenzione di non continuare lo studio; infine il 7,2% dei pazienti si è ‘perso’ prima dell’ultima visita di follow-up.
 
Nella popolazione ‘intention-to-treat’ l’endpoint primario si è verificato in 188 pazienti del gruppo celecoxib (2,3%), in 201 del gruppo naprossene (2,5%) e in 218 del gruppo ibuprofene (2,7%). Il celecoxib ha dunque centrato la ‘non-inferiorità’ in maniera statisticamente significativa sia rispetto al naprossene (p<0,001) che rispetto a ibuprofene (p<0,001).
Nella popolazione ‘on-treatment’ l’endpoint primario si è verificato in 134 pazienti del gruppo celecoxib (1,7%), in 144 del gruppo naprossene (1,8%) e in 155 del gruppo ibuprofene (1,9%). Anche in quest’analisi il celecoxib ha dunque centrato la non-inferiorità rispetto all’endpoint primario sia nei confronti di naprossene che di ibuprofene (p<0.001 per entrambi).
 
Le analisi intention-to-treat per quanto riguarda gli outcome gastro-intestinali sono risultate favorevoli al celecoxib per quanto riguarda il tasso di eventi , rispetto ad entrambi i farmaci di confronto; anche sul fronte del tasso degli eventi avversi renali gravi il celecoxib è risultato più sicuro dell’ ibuprofene.
 
Il tasso di ricoveri per ipertensione è risultato significativamente ridotto nei soggetti trattati con celecoxib rispetto a ibuprofene (- 40%) e sostanzialmente sovrapponibile rispetto a naprossene.
 
Lo studio PRECISION insomma fornisce robuste prove del fatto che il rischio cardiovascolare associato alla somministrazione del celecoxib non è maggiore di quello associato alla somministrazione di naprossene o di ibuprofene ed è risultato anzi associato ad un numero inferiore di eventi cardiovascolari che hanno prodotto dei valori di non-inferiorità statisticamente significativi (P<0,001).
 
Il trattamento con celecoxib ha prodotto dei tassi di eventi indesiderati gastro-intestinali nettamente inferiori rispetto ad entrambi i FANS di confronto e una percentuale di gravi eventi avversi renali inferiore rispetto a quelli prodotti da ibuprofene.
 
Maria Rita Montebelli

15 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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