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Tumore polmonare non a piccole cellule. Gli Usa sperimenteranno il vaccino cubano già usato da 4mila persone nel mondo. E in Cina il primo paziente al mondo trattato col gene-editing

di Maria Rita Montebelli

Due importanti novità potenzialmente rivoluzionarie per la terapia del cancro al polmone. Una proviene da Cuba, dove è già utilizzata dal 2011. Si tratta di un vaccino terapeutico che agisce in associazione al nivolumab. Ora sarà sperimentata negli Usa dopo il via libera della FDA. E poi dalla Cina la notizia, riportata da Nature, del primo paziente con tumore del polmone trattato al mondo con la tecnica di gene-editing detta CRISPR

17 NOV - E’ uno dei big killer tra i tumori, ma la ricerca ha fatto segnare grandi passi avanti nel suo trattamento nell’ultimo decennio. Dalle terapie mirate sulle mutazioni  EGFR e sui riarrangiamenti ALK, alla  novità epocale rappresentata dall’immunoterapia , una conquista del terzo millennio che ha consentito di abbattere il ‘muro del suono’ e di spostare in avanti, spesso a tempo indeterminato, l’orizzonte della sopravvivenza dei pazienti.
 
Ma la scienza non si ferma ed è sempre alla ricerca di nuove soluzioni. Come quelle di cui si sta parlando in questi ultimi giorni: un vaccino terapeutico per il carcinoma polmonare non a piccole cellule, made in Cuba e dalla Cina la notizia del primo paziente trattato al mondo con la tecnica CRISPR, una ‘riedizione’ dei geni sbagliati ottenuta con una tecnica taglia-e-cuci del DNA.
 
Il vaccino terapeutico cubano. Del CIMAvax-EGF®, un vaccino terapeutico made in Cuba dà notizia una fonte laica, il New York Times, poiché proprio in questi giorni è iniziata la sua sperimentazione presso il Roswell Park Cancer Institute di Buffalo (NY),  dopo aver ottenuto il via libera dall’FDA, secondo quanto annunciato lo scorso mese dal governatore dello Stato di New York Andrew M. Cuomo. Impossibile prevedere come andrà a finire questa sperimentazione, che di certo resterà tuttavia nella storia. È infatti la prima volta dai tempi della rivoluzione cubana che istituzioni americane e cubane lavorano fianco a fianco in una joint venture.
 
CIMAvax-EGF® è stato messo a punto nel 2011 dai ricercatori del Center for Molecular Immunology (CIM) de L’Avana. E’ un vaccino terapeutico che agisce bloccando l’epidermal growth factor (EGF), un fattore di crescita necessario alle cellule tumorali per proliferare. Non uccide dunque in maniera diretta il tumore ma lo ‘affama’, impedendo all’EGF di legarsi ai recettori (EGFR) espressi sulle cellule tumorali. E’ questo l’interruttore che deve scattare per permettere alle cellule di crescere e proliferare; se l’EGF non si lega al suo recettore, la cellula tumorale non si moltiplica e muore.
 
Il vaccino è legato ad una proteina carrier che stimola ulteriormente il sistema immunitario a produrre  anticorpi neutralizzanti contro l’EGF. Questo determina una deplezione dell’EGF circolante che priva le cellule tumorali del loro fattore di crescita.
Una delle grandi promesse di questo vaccino è di essere low-cost (la produzione di 4 dosi di Cimavax- EGF®  a Cuba costa 100 dollari, anche se i pazienti americani pagano fino a 850-1.500 dollari a dose) dunque ad elevata sostenibilità, e di dare scarsi effetti collaterali. Grandi sono dunque le aspettative riposte in questo studio.
 
Le ricerche effettuate finora a Cuba non hanno purtroppo dato risultati eclatanti. Lo studio più recente, pubblicato qualche mese fa su Clinical Cancer Reserach e condotto su pazienti trattati col vaccino dopo la chemioterapia, ha evidenziato un aumento di sopravvivenza di 3-5 mesi rispetto ai non trattati. Come prevedibile, i pazienti che presentano le più alte concentrazioni plasmatiche iniziali di EGF sono quelli che rispondono meglio in termini di sopravvivenza al vaccino terapeutico.
 
Il vaccino cubano è stato già utilizzato su 4.000 pazienti con tumore del polmone in trial clinici condotti in tutto il mondo. I risultati ottenuti finora dimostrano un miglioramento sia della sopravvivenza libera da malattia, che della sopravvivenza complessiva. Il vaccino è attualmente approvato per il trattamento dei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule in Bosnia-Erzegovina, Cuba, Colombia, Paraguay e  Perù.
 
Lo studio americano arruolerà complessivamente 60-90 pazienti affetti da tumore polmonare non a piccole cellule in stadio IIIB o IV, in precedenza sottoposti a trattamento con chemioterapia o con farmaci a target. I pazienti devono essere idonei a ricevere il trattamento con nivolumab, come standard di trattamento, avere un’aspettativa di vita di almeno 6 mesi e un performance status ECOG ≤ 2.
Al momento il Roswell Park è l’unica struttura americana autorizzata dalla FDA a condurre una sperimentazione clinica con questo vaccino negli USA.
 
Ma come spesso accade in questi casi – rivela il New York Times – molti pazienti non sono disposti ad attendere la fine delle sperimentazione. Anche perché, quando hai pochi mesi di vita davanti, la disperazione prende facilmente il sopravvento sulla ragione. E così, approfittando della ripresa delle relazioni diplomatiche tra le due nazioni (chissà ora cosa succederà con l’avvento del presidente Trump), diversi cittadini americani nel corso degli ultimi mesi si sono recati a Cuba, non per godere della vita notturna o delle spiagge di sabbia impalpabile, ma per fare una visitina a ‘La Pradera’, la celebre clinica internazionale 5 stelle de L’Avana  (tra i suoi pazienti anche Húgo Chavéz e Diego Maradona) dove ricevono le prime dosi del vaccino. Quattro iniezioni, due nei deltoidi, due nei glutei. Poi si torna a casa, con una borsa refrigerata piena di speranza e dei flaconcini di vaccino, che deve essere somministrato per diversi mesi.
 
Alla dogana – spiegano i pazienti intervistati dal New York Times  -  basta rispondere che non si stanno trasportando medicinali e finora non si ha notizia di nessuno fermato alla frontiera per ‘traffico di vaccino non autorizzato’.
 
Ma questo modo di procedere non è certo ortodosso, né da incoraggiare. Anche perché il vaccino sembra funzionare meglio in tandem con l’immunoterapia. Meglio lasciar fare agli esperti dunque, come Kelvin Lee, il direttore dell’immunologia al Roswell Park, che collabora con i colleghi cubani del Center of Molecular Immunology dal 2011 e che spera di sperimentare presto il vaccino cubano anche nei tumori testa-collo e di usarlo un giorno forse addirittura per prevenire il tumore.
 
Terapia CRISPR (gene-editing): trattato in Cina il primo paziente al mondo. In quello che è stato subito ribattezzato il primo ‘duello biomedico’ tra la Cina e gli Stati Uniti, ha avuto la meglio il paese del dragone. E’ cinese infatti il primo paziente con tumore del polmone trattato al mondo con l’iniezione di cellule contenenti geni ‘editati’ con la rivoluzionaria tecnica detta CRISPR-Cas9. Ad essere entrati nella storia della medicina sono stati così Lu You e colleghi dell’Università di Sichuan a Chengdu.
 
I ricercatori americani per il momento mangiano dunque la polvere dei colleghi cinesi, ma non stanno con le mani in mano. Negli Usa, il primo trial basato su CRISPR mirato su tre geni dei pazienti partecipanti, affetti da diversi tipi di tumore, prenderà il via all’inizio del prossimo anno. Dal canto suo, l’Università di Pechino ha annunciato l’avvio, nel marzo 2017, di tre trial clinici basati sulla CRISPR, in pazienti affetti da cancro della prostata, della vescica e a cellule renali.
 
Il trattamento del primo paziente cinese, è consistito nel prelevare le sue cellule immunitarie dal sangue, andando quindi a disabilitare un gene utilizzando la CRISPR-Cas9. La tecnica prevede l’uso di un enzima ‘taglia-DNA’ che attraverso una guida molecolare effettua un taglio di precisione ‘chirurgica’, rimuovendo esclusivamente il gene PD-1, quello che, in presenza di un tumore, mette i ‘freni’ al sistema immunitario, consentendo così al cancro di proliferare senza ostacoli.
 
Le cellule ‘epurate’ del gene PD-1 sono state quindi messe in coltura per espanderne il numero. Infine sono state nuovamente iniettate nel paziente affetto da carcinoma polmonare non a piccole cellule in fase metastatica. La speranza ovviamente è che queste cellule ‘senza freni’ immunitari siano in grado di riconoscere e di attaccare il cancro.
 
Il paziente riceverà presto una seconda dose di quelle cellule ‘editate’ e dopo di lui altri, fino ad arrivare ad un totale di dieci. La dose definitiva al momento non è nota perché questo primo trial è mirato ad esplorare soprattutto la safety del trattamento.
Il razionale dietro questa terapia è molto forte, ma ci si interroga se potrà mai avere un futuro e se potrà mai competere per costi e safety con gli anticorpi anti PD-1 già sul mercato, come nivolumab e pembrolizumab.  Staremo a vedere.
 
Maria Rita Montebelli

17 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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