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TIA e piccoli ictus: campanello d’allarme per eventi cardio-vascolari e mortalità nei 5 anni successivi

di Maria Rita Montebelli

Uno studio pubblicato oggi sul New England presenta i dati di follow up a 5 anni di una vasta coorte di pazienti con pregresso TIA o ictus minore. A 5 anni il rischio di ictus è del 9,5% e quello di mortalità per cause cardiovascolari, ictus o sindrome coronaria acuta del 12,9%. Gli esperti invitano dunque a considerare i TIA un importante campanello d’allarme e a implementare tutte le misure di prevenzione vascolare secondaria in questi pazienti.

07 GIU - Qual è il rischio di ictus dopo un attacco ischemico transitorio o una piccola lesione ischemica cerebrale? È la domanda alla quale ha cercato di dare risposta il gruppo di studio TIAregistry.com che pubblica oggi sul New England Journal of Medicine i suoi risultati.
Il registro ha arruolato 4.789 pazienti in 21 Paesi; tutti erano stati ricoverati per TIA o ictus minore, tra il 2009 e il 2011; lo studio pubblicato oggi, contiene gli esiti del follow-up a 5 anni, relativi all’80% dei pazienti arruolati inizialmente; il lavoro fa seguito ai risultati di un altro studio pubblicato in precedenza, sui risultati ad un anno. Primo autore dello studio è Pierre Amarenco, del dipartimento di Neurologia e Stroke Center dell’Ospedale Bichat di Parigi.
 
Lo studio a 5 anni, ha preso in considerazione solo quei centri (42 sui 61 iniziali) che possedevano i dati di follow up a 5 anni di almeno il 50% dei pazienti arruolati inizialmente (in pratica l’80% della coorte iniziale). Endpoint primario dello studio era un composito di ictus, sindrome coronarica acuta o morte da cause cardiovascolari; un’enfasi particolare veniva data agli eventi che si presentavano dal secondo al quinto anno di follow up.
 
Nel follow up a 5 anni è stato incluso un totale di 3.847 pazienti; l’endpoint composito primario è stato registrato in 469 pazienti (il 12,9% del totale), con metà degli eventi 850,1%) comparsi tra il secondo e il quinto anno. A 5 anni, 345 pazienti avevano avuto un ictus (il 9,5% del totale) e il 43,2% di loro lo aveva avuto tra il secondo e il quinto anno di follow up. I tassi di mortalità per qualsiasi causa, di mortalità per cause cardiovascolari, emorragia intracranica e sanguinamenti maggiori sono stati rispettivamente: 10,6%, 2,7%, 1,1% e 1,5% a 5 anni.
 
Le analisi statistiche effettuate su questi dati hanno evidenziato come fattori di rischio per uno stroke successivo la presenza di aterosclerosi carotidea omolaterale, cardioembolia e un punteggio ABCD2 (uno score che tiene in considerazione età del paziente, pressione arteriosa, durata dei sintomi, presenza o meno di diabete e dati clinici) per rischio di ictus uguale o superiore a 4.
 
Gli autori concludono dunque che dopo un TIA o un piccolo ictus, il rischio di un successivo ictus a 1 anno è del 6,4% e il rischio di ictus tra il secondo e il quinto anno di follow up è di un altro 6,4%.
 
Il rischio cumulativo di ictus a 5 anni, in questa coorte di pazienti con TIA o ictus ‘minore’ è dunque del 9,5%, mentre il composito di stroke, sindrome coronarica acuta o mortalità da cause cardiovascolari sempre a 5 anni è risultato del 12,9%. Numeri alti, ma pur sempre di molto inferiori al dato delle coorti storiche, pubblicato in letteratura (rispettivamente 22% e 17%); una riduzione questa dovuta all’adozione su larga scala di misure aggressive per la riduzione del rischio di eventi cardio e cerebro-vascolari.
 
Ciò detto, il rischio a 1 anno e a 5 anni di un secondo evento (ictus o sindrome coronarica acuta) di mortalità resta comunque elevato; va inoltre considerato che questi pazienti, essendo seguiti in centri iper-specializzati, non sono rappresentativi della popolazione generale, dove il dato potrebbe essere ben peggiore di quello riportato dallo studio.
 
Il take home message è dunque di non abbassare la guardia dopo un TIA o un piccolo ictus perché questi pazienti vanno considerati ad elevato rischio cardio e cerebro-vascolare e perché metà degli eventi si verificano tra i 2 e i 5 anni dal primo. L’implementazione su vasta scala delle misure di prevenzione secondaria potrebbe inoltre contribuire a ridurre ulteriormente il rischio di successivi eventi in questi pazienti.
 
Maria Rita Montebelli

07 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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