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Rosolia. Esperti mondiali riuniti a Roma. Amcli: "Donne si vaccinino"


La forma congenita colpisce circa 20.000 bambini nati ogni anno e può provocare malformazioni e ritardo mentale. L’Associazione dei Microbiologi Clinici Italiani pone l’attenzione su un problema ancora irrisolto, e che potrebbe venire superato sollecitando la vaccinazione delle donne.

10 FEB - Che la rosolia sia una malattia infettiva particolarmente pericolosa nelle donne incinte è noto a molti. Il motivo è che se una donna contrae la rosolia nelle prime 12 settimane di gravidanza ha un 90% di probabilità di trasmettere il virus al feto e un 50% di probabilità che questo manifesti la rosolia congenita (CRS), una patologia che può causare difetti della vista e dell’udito, malformazioni cardiache e il ritardo mentale nel neonato.
In Italia, secondo studi epidemiologici aggiornati, fra il 2005 e il 2008 si sono verificati 110 casi di rosolia in gravidanza e 5 feti hanno contratto la CRS. Questo quanto emerge dal Congresso Internazionale “Progress Toward Rubella Elimination and CRS Prevention in Europe”, in corso a Roma e organizzato dall’Oms e dai Centers for Disease Control and Prevention statunitensi. Al convegno ha partecipato anche l’Associazione dei Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI).

“La rosolia congenita non è una malattia superata e, per evitare la grave patologia è necessario sollecitare la vaccinazione delle donne”, ha commentato Tiziana Lazzarotto, esponente dell’AMCLI e docente al Policlinico S. Orsola Malpighi (Bologna), a margine dell’iniziativa.
Il problema ovviamente non è solo italiano: i dati dicono che, nell'emisfero occidentale e durante periodi non epidemici, circa 20.000 bambini ogni anno nascono affetti da CRS. Il Ministero della Salute italiano ha per questo approvato il Piano Nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita (PNEMoRc) 2010-2015, con l’obiettivo di eliminare i casi di rosolia endemica e ridurre l’incidenza dei casi di rosolia congenita.
 
Secondo gli esperti è sicuramente il vaccino è lo strumento più efficace per evitare di contrarre l’infezione da rosolia. “Se una donna scopre di non avere anticorpi contro la rosolia e sa di non aver effettuato la vaccinazione in età infantile, dovrebbe richiederla prima di programmare una gravidanza”, ha spiegato la ricercatrice. “Se invece è già in gravidanza e non ha effettuato o non ricorda di aver effettuato la vaccinazione, deve sottoporsi ai test di screening entro le prime settimane di gestazione, presso i laboratori di Microbiologia. Se tutti gli esami di laboratorio e strumentali condotti durante la diagnosi prenatale sono negativi, la diagnosi/prognosi fetale è molto favorevole. La donna può quindi proseguire con maggiore serenità la gravidanza”.
Basterebbe poco, dunque, secondo l’AMCLI, per risolvere il problema. “I dati sulla malattia richiedono maggiore attenzione della comunità scientifica e delle forze politiche”, hanno fatto sapere.

 

10 febbraio 2012
© Riproduzione riservata

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