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Microbioma e malattie respiratorie: influenza patogenesi e risposta alle terapie. Dall’asma, al tumore del polmone

di Maria Rita Montebelli

Non passa giorno senza che il microbioma non compaia come protagonista di qualche articolo della letteratura scientifica. E se la superstar indiscussa è il microbioma intestinale, sono tante le evidenze che si vanno accumulando e gli studi in fase di progettazione relativi al microbioma di altri organi e apparti. Un esempio viene da Lancet Respiratory Medicine che questa settimana pubblica ben due studi dedicati al microbioma dell’apparato respiratorio, corredati di un editorale.

26 SET - Nell’arco degli ultimi vent’anni il microbioma è stato via via chiamato in causa nella patogenesi e nella progressione di una serie di patologie polmonari, sia di quelle su base microbica (asma, BPCO, fibrosi cistica), che quelle considerate ‘sterili’ (fibrosi polmonare idiopatica, sindrome da distress respiratorio acuto, cancro del polmone). E’ noto da tempo che l’esposizione precoce ai germi può avere conseguenze a lungo termine, sulla suscettibilità all’asma. Ma il microbiota polmonare sembra implicato anche nella progressione dell’IPF, mentre le interazioni microbiota-sistema immunitario sono di estrema importanza nello sviluppo dei tumori del polmone.
 
Insomma, il microbiota non è solo una possibile fonte di biomarcatori di prognosi e diagnostici, ma potrebbe anche prestarsi a fornire una serie di target terapeutici. Certo è che per scoprirli è necessario fare grandi investimenti in questo filone di ricerca. E c’è chi è disposto a scommettere che il gioca valga la candela. Lo scorso mese di agosto, lo US Department of Energy Office of Science ha assegnato 10 milioni di dollari al National Microbiome Data Collaborative (https://microbiomedata.org/) allo scopo di supportare i ricercatori, fornendo loro libero accesso a dati multidisciplinari sul microbioma e una serie di strumenti bioinformatici per effettuare delle analisi avanzate.
 
Le prime ricerche sul microbioma – ricorda l’editoriale - sono state di tipo descrittivo e si sono concentrate sulla caratterizzazione del microbioma intestinale e polmonare in diversi stati di malattia e in condizioni di salute. Poi sono arrivati gli studi meccanicistici e quelli randomizzati controllati nell’uomo per valutare come le relazioni microbioma-ospite si modifichino in condizioni patologiche o durante una terapia e a quali esiti clinici facciano approdare. Ormai siamo arrivati agli studi multicentrici, multidisciplinari e al data sharing;sono stati messi a punto nuovi metodi di caratterizzazione del microbioma (la ‘culturomica’ e il sequenziamento del DNA nanopore); si sta cominciando a guardare con interesse alle prossime frontiere, al ruolo cioè del viroma e del micobioma, perché anche virus e funghi potrebbero avere un ruolo non secondario in questa complessa conversazione.
 
Il lavoro di Charissa Naidoo pubblicato sullo stesso numero di Lancet RespiratoryDiseases traccia lo stato dell’arte delle conoscenze sul tema microbioma e tubercolosi. Le evidenze disponibili suggeriscono che il microbioma delle vie respiratorie e del tratto intestinale potrebbe giocare un ruolo nella patogenesi della TBC e influenzare la risposta al trattamento. Ma va anche considerato che la stessa terapia anti-TBC ha effetti a lungo termine sul microbioma e può condizionare la ripresa del paziente, in corso di trattamento e dopo.
 
Lo studio di Kurtis Budden e colleghi si è focalizzato invece sugli effetti funzionali del microbioma nelle patologie respiratorie croniche, ovvero sui meccanismi attraverso i quali i batteri interagiscono col sistema immunitario dell’ospite, rivede il loro ruolo nella patogenesi e nella riacutizzazione della BPCO, oltre le possibili interazioni con le terapie.
 
E si tratta di argomenti della massima importanza perché ormai sono sempre più numerose le evidenze che suggeriscono come l’esito di un trattamento dipenda, o sia quanto meno fortemente influenzato, dalla composizione del microbioma. La diversa risposta alla terapia di due pazienti potrebbe insomma dipendere dalle differenze di composizione del loro microbioma, e correggendo la sua composizione si potrebbe potenziare la risposta alla terapia. anche di quella oncologica. Si tratta tuttavia di osservazioni ancora preliminari e di ipotesi che andranno tradotte, sulla scorta dei risultati di studi clinici randomizzati, in circostanziate raccomandazioni cliniche. Solo allora anche il microbioma potrà essere ufficialmente considerato uno degli strumenti della medicina di precisione. Per il momento è saggio resistere alla tentazione di fare fughe in avanti. Che potrebbero rivelarsi inutili. Se non addirittura dannose.
 
Maria Rita Montebelli

26 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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