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No vax e rifiuto delle cure. Gli anestesisti: “Non sta a noi giudicare chi non vuole essere curato”


“Per quanto le circostanze possano essere difficili e faticose al rifiuto ripetuto e ostinato del paziente non deve far seguito il suo “abbandono”. Deve piuttosto essergli sempre garantito un adeguato livello di cure e, qualora necessario, la loro rimodulazione in chiave palliativa”. Così la Siaarti in un documento appena pubblicato su “Pandemia e rifiuto dei trattamenti di supporto vitale”. IL DOCUMENTO.

04 GEN - “Il rifiuto di trattamenti di supporto vitale da parte di persone appartenenti al cosiddetto mondo “negazionista” o “no-vax” rappresenta oggettivamente un aspetto gravoso e doloroso per i medici e per gli infermieri delle nostre Terapie Intensive, che sono impegnati con dedizione ogni giorno in uno strenuo lavoro per curare i pazienti e cercare di offrire loro chance di guarigione e di vita piena. Ciò nonostante non deve mai venir meno un atteggiamento rispettoso e “non giudicante””, così gli anestesisti e rianimatori italiani della Siaarti in un loro documento pubblicato a inizio anno su “Pandemia e rifiuto dei trattamenti di supporto vitale”, dove si richiamano alcuni elementi di carattere generale riguardanti il consenso alle cure e il relativo percorso decisionale.
 
“Per quanto le circostanze possano essere difficili e faticose – si legge nel documento - al rifiuto ripetuto e ostinato del paziente non deve far seguito il suo “abbandono”. Deve piuttosto essergli sempre garantito un adeguato livello di cure e, qualora necessario, la loro rimodulazione in chiave palliativa”.
 
“La tensione per offrire chance di vita e di salute, sempre orientata a valutare con attenzione la proporzionalità delle cure – si legge ancora nel documento - richiede a tutti noi lo sforzo di spiegare e motivare:
1) per tempo,
2) con la massima attenzione e rispetto,
3) in modo chiaro, veritiero e documentato e, se le circostanze lo consentono,
4) con ragionevole insistenza e in modo ripetuto,
l’indicazione e l’utilità dell’impiego di trattamenti di supporto vitale (ivi compresa, se clinicamente appropriata, la ventilazione invasiva)”.
 
“È opportuno sottolineare – prosegue la Siaarti - come questi siano, sia sul piano etico sia su quello deontologico, comportamenti irrinunciabili per il medico, e che essi riguardano tutti i curanti coinvolti nelle cure al paziente (e, dunque, non solo l’intensivista)”.
 
“Il processo decisionale relativo alla valutazione di un possibile aggravamento del quadro clinico e dell’eventuale necessità di terapie di supporto vitale – si legge ancora nel documento - deve avvenire in modo tempestivo, sin dalle fasi inziali dalla degenza nei Reparti di area medica. Esso è compito e responsabilità comune di tutti i medici coinvolti nel percorso di cura (internisti, pneumologi, infettivologi, ecc). Inoltre, un ruolo e una responsabilità analoghi spettano, nella fase di cura extra-ospedaliera, anche ai medici di medicina generale”.
 
“Tutte le tappe del processo decisionale sono parte integrante del percorso clinico del paziente. Come tali, tutte le fasi, le motivazioni e le decisioni relative al consenso a trattamenti diagnostico-terapeutici (compresi quelli di supporto vitale) o al loro rifiuto devono essere documentati di volta in volta nella cartella clinica”, conclude la Siaarti.

04 gennaio 2022
© Riproduzione riservata

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