Ci sono un italiano, un inglese, un francese e un tedesco… È l’incipit di quelle barzellette un po’ stupide in cui i quattro si sfidano per questo o quello, con l’Italiano che alla fine, figuriamoci, vince sempre.
Se fossero in gara a chi si cura prima con il farmaco appena approvato da EMA, arriverebbe invece ultimo. Già, i tempi AIFA di rimborso per i nuovi farmaci – NME - sono tra i più lunghi in OCSE, nel 2022 in media circa 19 mesi (da EMA-EPAR a Gazzetta Ufficiale, ne sto pubblicando i dati).
È oggi la principale debolezza di AIFA, insieme allo sforamento della spesa, nel 2022 stimata in rosso del 17% sul tetto previsto (proiezione su ultimo dato ufficiale AIFA). Serve un tagliando.
Non solo per queste contingenze, ma anche per finalità più strategiche e prospettiche, come lo tsunami di terapie in arrivo, migliori ma costosissime e sempre più difficili da valutare (trials brevi, single arm, endpoint surrogati, estrapolazioni statistiche, modelli economici, comparazioni indirette, RWE, ecc.).
E per partecipare da protagonisti alla centralizzazione EU dell’HTA dal 2025, nel Gruppo di Coordinamento e nei Sottogruppi Operativi. Come mai i tempi di rimborso sono così lunghi? La spiegazione è strutturale, ma semplice, da rasoio di Occam: CTS e CPR si riuniscono ciascuna solo per 7 giorni al mese (media ‘21-‘22).
I loro componenti, i decisori, ottimi esperti nominati da Ministeri e Regioni, sono esterni, cioè fanno ognuno un altro lavoro (clinico, economista, accademico, farmacologo, ecc.) da cui ritagliano il tempo per l’Agenzia. Sono, insomma, (absit iniuria verbis) dei “dopolavoristi”. A decidere i farmaci per 60 milioni di Italiani sono dei “dopolavoristi”, pur se competenti ed esperti.
La riforma appena approvata, presidenzialista (mood governativo) nella governance e accentratrice nelle operatività, fonde CTS e CPR nella “simil CUF” CSE (ne commentavo qui su QS), spostando su un unico tavolo valutazioni cliniche ed economiche (come in Spagna, Min Sal e UK, NICE) senza più parcellizzazione tayloristica delle competenze (Germania, G-BA, Francia, HAS).
Solo che dimezza il numero dei suddetti decisori, dai 20 di CTS + CPR ai 10 della CSE. Quanto finora fatto da 20 toccherà a 10. Il doppio del lavoro ciascuno. Quindi, “ceteris paribus”, a parità d’impegno (i suddetti 7 giorni medi al mese) per fare lo stesso di prima ci vorrà il doppio. Produttività dimezzata.
I tempi per rimborsare un nuovo farmaco da biblici rischiano di diventare geologici. È un “bug” della neo-riforma, una svista del legislatore (quandoque bonus dormitat Homerus) che rischia di precipitarla nella più beffarda delle eterogenesi dei fini: voluta per migliorare finisce col peggiorarla. Il tizio che taglia il ramo secco sul quale è seduto.
Si dirà, se il problema è che si riuniscono poco, facciamoli riunire di più. Difficile. Già sacrificano tempo dal proprio prestigioso lavoro, accetterebbe l’eminente clinico, l’illustre accademico, lo scienziato-star, il bravo ricercatore di sottrargli altro tempo? E ricavando un paio di giorni in più, non scorceremmo granché quei 19 lunghi mesi per il rimborso.
Serve invece un “quantum leap” strutturale, un salto evolutivo che vada ben oltre la riunione in più. Una CSE a tempo pieno, operativa tutti i giorni, con membri full-time, assunti per Cv, ben remunerati, con precisi indicatori di performance, incentivi e premi di produzione. Adeguatamente supportata da sottostanti uffici istruttori e preparatori.
Certo, così i suoi componenti non sarebbero più rappresentanti nominati da Ministeri e Regioni, un aspetto di governance, tuttavia, più inerente al CdA, in cui implementarlo, che l’operativa CSE.
In compenso avremmo una CSE a tutto regime adeguata ai suddetti bisogni contingenti di oggi e strategici di domani, capace di moltiplicare valutazioni e decisioni mettendo loro il turbo. Significherebbe curare subito, quindi meglio, quei pazienti come e prima degli altri Paesi. E non in una barzelletta.