La sanità, è sotto gli occhi di tutti, è rimasta ciò che era prima del Covid. Nessuna riforma strutturale, investimenti PNRR non messi a terra nella quasi totalità, fatta qualche rara eccezione di riciclaggio di vecchi presidi di prossimità, prevalentemente Case della salute, risorse non sufficienti a coprire i bilanci di esercizio perché tarate ancora sulla spesa storica, che ha offeso e impedito ogni sostenibilità agli investimenti effettuati con i vecchi metodi dell’art. 20 della legge 67/1988. Questi ultimi anche da rivedere sul piano normativo, con a monte un intervento di sana perequazione infrastrutturale.
Insomma, dal 2019 sono cambiati i musicanti ma gli spartiti sono rimasti uguali, salve le autopromozioni dei preposti vendute in conferenze stampa seriali. Al riguardo, l’attuale ministro sembra – al di là qualche accondiscendenza di troppo versata in favore di presidenti di Regione della quale avremo cura di parlare più in là – essere più pragmatico, forse per il suo essere medico e nonostante le sue radici accademiche, che di solito non sono buoni ingredienti per l’esercizio ministeriale.
Proprio per questo ci si aspettava qualcosina in più in termini di revisione sistemica e qualcosina in meno rispetto ai vecchi vizi della politica. Ma si sa, allorquando si entra nell’agone caratteristico, altro che Covid.
E dire che la situazione della sanità italiana è pronta per esplodere in tutta la sua irruenza. Due Regioni (Calabria e Molise) commissariate e una terza, il Lazio, indebitata oltre il collo, per un valore doppio a quello registrato da Marrazzo che era di 11,8 Mld, e con disavanzi di esercizio di centinaia di milioni di euro. Con un Presidente di Regione, Francesco Rocca, bravo e di esperienza a districarsi in tema di salute, al quale sarà impedita ogni distrazione, tanto da avere chiamato al capezzale della sanità laziale l’ex direttore del dipartimento della Programmazione del Ministero della salute, Andrea Urbani.
Ma tutto questo, oltre a ritenere malconci i bilanci della sanità di tutta Italia, che significato assume? Meglio, una situazione simile cosa suggerisce?
Una cosa è certa, lasciarla così avrebbe il destino segnato. Liste di attesa alle quali occorrerebbe cambiare persino il nome in liste della tergiversazione e della angoscia, accertamenti diagnostici che rischiano di diventare post mortem, irrintracciabilità della sanità pubblica, pratiche antitumorali in siti disagevoli, rinuncia alle cure della moltitudine che non si può permettere il costo dell’alternativa privata, erogatori accreditati che stanno superando abbondantemente il limite del fabbisogno, preparandosi così a surrogare interamente l’erogazione della sanità pubblica.
Senza contare il dovere riconciliare quanto sta accadendo con la Costituzione, negata ad ogni livello di governo, spinti oramai verso politiche sostitutive tali da fare apparire l’esistenza di una riforma sotto traccia che vuole mettere ai margini l’assistenza pubblica, di antica tradizione nazionale, e fare subentrare al suo posto quella privata, cui accedere con polizze assicurative e brillanti carte di credito, mettendo ai margini quella per gli indigenti, del tipo medicaide statunitense che assicura cure all’11% della popolazione attraverso un intervento congiunto federale e statale.
Si profila insomma un mondo domestico in crisi profonda, produttivo di un decadentismo dei valori della persona e di offesa alla dignità umana. L’essere costretti, così come accade negli Usa, ad accedere alle prestazioni essenziali attraverso attestazioni fideiussorie è vergognoso.
Nel 2009 scrissi per conto di una editrice allora di moda un libro a puntate dal titolo “La guerra giusta di Obama”. Mi resi conto, seguendo la sua riforma sanitaria passo dopo passo, delle sofferenze vissute dagli americani negli anni che furono nelle fasce di reddito basse. Ne soffrii molto e lo scrissi, auspicando in una grande riforma che però non ci fu nelle dimensioni pretese dal popolare Barack.
Alla sofferenza di ieri mi è subentrato il terrore per quello che sta accadendo nel mio Paese. Con un colpo di spugna si sta cancellando quella universalità, uniformità e socialità che avevano fatto della legge nr. 833 del 1978 il secondo tricolore del Paese.
Ettore Jorio