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“Eguaglianza”, “Equità” e “Diseguaglianze di salute”

di G.Banchieri, L.Franceschetti, A.Vannucci

Siamo un Paese “non per giovani”, con molti anziani, come molte diseguaglianze e diversità sociali, culturali e territoriali. In questo contesto si parla di “autonomia differenziata” e si continua, in continuità con gli altri Governi precedenti, a finanziare il “Job Acts” nella sua componente del “welfare aziendale” al cui interno c’è per l’80% dei finanziamenti previsti la “sanità integrativa” assolutamente “privata” e intermediata da assicurazioni e mutue

23 GIU -

SSN e “universalismo” ed “eguaglianza
Sin dalla sua istituzione, il Servizio Sanitario Nazionale è stato caratterizzato dai principi di “universalità” ed “eguaglianza”, come da riforma del 1978 che si apriva con l'affermazione che "il Servizio Sanitario Nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio".

Venne sancita l'obbligatorietà dell'assicurazione contro le malattie superando così, il sistema mutualistico a favore di un sistema di sicurezza sociale caratterizzato dalla “universalità dell'assistenza” per tutta la popolazione tramite il SSN e finanziato con la fiscalità generale.

La definizione di “universalità” è stata progressivamente precisata con riferimento alla situazione reddituale dei beneficiari prevedendo la compartecipazione (o esenzione) al costo delle prestazioni, e sulla natura della prestazione sanitaria richiesta, che deve risultare “appropriata”.

Quanto sopra ha contribuito alla affermazione di una idea di universalità "forte" basata sul modello del "tutto a tutti a prescindere dai bisogni" , basato sulla ipotesi di una sostanziale “uniformità organizzativa” sull’intero territorio nazionale, a un'idea di universalità "mitigata" rappresentata dal modello delle "prestazioni necessarie ed appropriate a chi ne ha bisogno", a sua volta basato sulla possibilità di differenziazione organizzativa nei singoli territori – vedi anche la Riforma del Titolo V della Costituzione - ferma restando la garanzia del progressivo superamento delle disuguaglianze e degli squilibri sociali e territoriali, finalità assicurata anche in sede di programmazione sanitaria – vedi i “Piani di Rientro” imposti alle Regioni non performanti.

Le prestazioni erogabili da parte del SSN/SSR sono state selezionate in base al principio di “appropriatezza”, inteso sia come “appropriatezza clinica” delle prestazioni più efficaci a fronte del bisogno accertato e di “appropriatezza come regime di erogazione della prestazione più efficace” ma al tempo stesso a minor consumo di risorse.

Quindi il principio di “eguaglianza” e il principio di “universalità” del SSN sono anche i presupposti per assicurare la coesione sociale del Paese e per contrastare le conseguenze sulla salute dovute alle disuguaglianze sociali, derivate dalle diverse condizioni socio-economiche dei singoli territori.

L’idea iniziale di “eguaglianza” in base alla quale "gli individui con lo stesso stato di salute (o di bisogno) devono venire trattati egualmente", è evoluta nella idea che "gli individui con peggiore stato di salute o con maggiore bisogno devono venire trattati più favorevolmente" (“equità verticale”).

Questa evoluzione del principio di “eguaglianza” ha consentito di individuare tre diversi ambiti in cui l'”equità” deve trovare realizzazione:

La tutela della “salute” nella Costituzione Repubblicana.

Nella Costituzione Italiana gli articoli concorrenti a creare il “contesto italiano” per sviluppare policy attive di “salute/One Health” sono i seguenti:

“Salute” e progresso economico sociale
Le opportunità sociali di poter godere di un buon livello di salute sembravano poter essere garantite dal progresso che la società vive in questi anni. Tuttavia questo fenomeno non si riscontra in modo omogeneo e uniforme per tutti i cittadini. Infatti, nonostante l’evoluzione delle condizioni di vita e il progresso del sistema di tutela sanitaria e sociale fino all’inizio degli anni ’90 abbiano migliorato le aspettative di vita e lo stato di salute in molti Paesi, non si è verificata una tendenziale distribuzione omogenea nel rapporto benessere/malattia, come per altro nella distribuzione dei redditi.

La globalizzazione ha impattato sulla struttura economico sociale delle democrazie occidentali determinando una tendenziale crisi dei ceti medi, una perdita di importanza dei così detti “corpi intermedi” contribuendo alla affermazione di una società “liquida” e alla sfiducia verso le istituzioni e la politica.

In pratica, la popolazione vive più a lungo ma l’agiatezza economica, l’istruzione scolastica, la posizione lavorativa ed altri fattori incidono, diversamente per ognuno, sulla qualità della salute e sulle garanzie di un complessivo benessere della persona.

Margaret Whitehead precisava già nel 1990 che: Il termine “equità” possiede una dimensione morale ed etica. Esso si riferisce alle differenze sociali ritenute evitabili, non necessarie ma anche ingiuste. Quindi, per poter ritenere un fenomeno non equo, bisognerebbe identificare la sua causa e valutarla ingiusta nel contesto sociale dove agisce”.

“Determinanti di salute” e “diseguaglianze di salute”
I determinanti di salute sono quei fattori che influenzano e determinano la salute e il benessere degli individui. In letteratura scientifica vengono distinti in [1]:

A) Determinanti prossimali che includono:

B) Determinanti distali: che comprendono quei fattori individuali e ambientali che sono responsabili delle disuguaglianze sociali e che influenzano l’azione degli altri determinanti di salute:

Figura 1- Determinanti di salute

Il contributo relativo dato da questi determinanti alla longevità (raggiungimento dell’età di 75 anni) è stato stimato da diverse istituzioni internazionali, in particolare dal Canadian Institute for Advanced Research, Health Canada, Population and Public Health Branch AB/NWT 2002.

Il peso del settore sanitario al conseguimento di questo obiettivo (generalmente enfatizzato) è stato valutato nel range 10-25%, quello del patrimonio genetico 15-20%, il contributo dell’ecosistema 10-20%, mentre l’influenza dei fattori socioeconomici e dei comportamenti salutari, di gran lunga la più importante, è stata stimata intorno al 50%.

Figura 2 Determinati di salute

Dati 2002 su popolazione del Canada Dati 2010 su popolazione del Canada

I dati W.H.O. (Figura 3, Figura 4) di alcuni indicatori chiave sullo stato di salute delle popolazioni:

mostrano differenze talmente rilevanti tra i Paesi più poveri e quelli più ricchi che appare superfluo commentarli se non auspicando che la lotta alle diseguaglianze sociali e la tutela della nostra biosfera rappresentino le due sfide ineludibili per i prossimi decenni.

Quindi la salute è un bene sociale la cui tutela non dovrebbe dipendere solo dal servizio sanitario, ma dall’impegno di tutti i settori che possono avere un impatto sulla distribuzione dei determinanti del benessere fisico e mentale dei cittadini e della comunità, come richiesto dalla dichiarazione di Roma “Salute in Tutte le Politiche”. I livelli di salute rilevabili in una società (e la loro distribuzione tra gruppi sociali) non dipendono unicamente dalla capacità dei servizi sanitari di provvedere alla cura o alla prevenzione delle malattie, ma anche dalle scelte delle istituzioni a capo delle politiche che producono e distribuiscono opportunità e risorse in un territorio (e quindi ad esempio di quelle economiche, fiscali, ambientali, culturali, urbanistiche, del lavoro, dell’istruzione e così via), e di tutti gli stakeholder che operano in questi settori.

Per ridurre le conseguenze delle disuguaglianze sociali sulla salute occorre, quindi, intervenire con azioni e politiche, sanitarie e non, capaci di interrompere i vari meccanismi che le innescano.

In particolare, i meccanismi principali di origine delle disuguaglianze di salute che devono essere intercettati con le azioni sono i seguenti:

1. Il contesto economico e sociale e le politiche di sviluppo e welfare sono i principali corresponsabili della posizione sociale a cui ogni persona approda nella sua vita: dalla posizione sociale dipende il grado di controllo che la persona ha sulla propria vita che è garantita da quei determinanti sociali, le risorse materiali, di status e di aiuto, che servono a condurre una vita dignitosa e corrispondente alle aspettative;

2. La posizione sociale influenza la probabilità di essere esposto ai principali fattori di salute fisica e mentale, tra i quali:

3. Inoltre, la posizione sociale influenza la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei fattori di rischio; in molti casi le persone di bassa posizione sociale esposti allo stesso fattore di rischio manifestano effetti sfavorevoli sulla salute più severi di quanto non succeda alle persone di alta posizione sociale;

4. Infine, i gruppi più svantaggiati hanno meno risorse per far fronte o prevenire le conseguenze sociali delle malattie (si pensi al rischio di impoverimento per le spese sanitarie o di difficoltà di carriera lavorativa in presenza di una malattia propria o di un famigliare).

I quattro meccanismi di origine delle disuguaglianze di salute sono altrettanti punti di ingresso per politiche e azioni di contrasto e moderazione. Il Servizio Sanitario Nazionale è, oltre alla scuola, l’unico grande presidio sociale distribuito nel Paese, che avrebbe dovuto trasferire i benefici della assistenza sanitaria in tutto il Paese e in tutti gli strati sociali senza distinzioni di diritto nell’accesso. Dunque il SSN rappresenterebbe un presidio universalistico importante da valorizzare per le sue capacità di realizzare uguaglianza di opportunità e spesso anche di risultato.

I “determinanti sociali di salute” nelle policy della Unione Europea
Il tema dei determinanti sociali di salute è diventato prioritario nell’agenda europea degli ultimi dieci anni. La Commissione Europea con la Comunicazione 2009 sulla “Solidarietà nella salute” aveva invitato i Paesi Membri, le Regioni e le forze [2] economico-sociali a fare la loro parte per ridurre le persistenti disuguaglianze di salute.

La Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, in risposta al mandato della Commissione Europea, ha commissionato ad un gruppo di lavoro interregionale il compito di elaborare una revisione italiana sullo stato dell’arte delle disuguaglianze in Italia, delle cause e delle azioni di contrasto, che possa suggerire indirizzi per la programmazione delle politiche attenta all’equità nella salute.

Il gruppo di lavoro denominato “Equità nella salute e nella sanità (ESS)” ha elaborato un Libro Bianco sulle disuguaglianze di salute in Italia, insieme con una proposta di raccomandazioni che rispondono alle principali implicazioni per le politiche sanitarie e non sanitarie dello stato delle disuguaglianze in Italia documentato dal rapporto. Più recentemente è stato presentato il documento “l’Italia per l’equità nella salute [3] che ha la finalità di fornire un quadro sistematico sulle disuguaglianze socioeconomiche in Italia e sui loro effetti sulla salute dei cittadini, a partire dalle evidenze scientifiche, con una particolare attenzione alla recente crisi economica e alle barriere, anche immateriali, per l’accesso alle cure.

Il documento fornisce una vasta ricognizione delle principali politiche pubbliche avviate nei recenti anni per contrastare tali disuguaglianze e avanza alcune proposte di intervento condivise tra i responsabili dei diversi settori della vita pubblica che influenzano, da varie prospettive, la salute dei cittadini.

In Italia: le tipologie di disuguaglianze esistenti

Disuguali nell’aspettativa di vita
Le disuguaglianze nel tasso di mortalità generale, che in Italia risulta pari a 75 ogni 10.000 abitanti per le donne e 128 per gli uomini.

Come per l’aspettativa di vita, questi valori sono più elevati al Sud e nelle Isole, sia tra le donne (81,5), sia tra gli uomini (136,2), a parità di età. Sempre a parità di età gli uomini meno istruiti hanno il 50% di probabilità in più di morte prematura rispetto ai più istruiti, il 60% nel Nord-Ovest e il 30% per le donne, che sale al 40% nel Meridione.

Disuguali nelle malattie che conducono a morte
In testa alla graduatoria ci sono malattie come l’AIDS associata con l’abuso di droghe e sesso non protetto; la cirrosi epatica e i tumori del fegato associati con i già menzionati comportamenti a rischio o all’abuso di alcool. Seguono i tumori delle vie aree e digestive superiori (VADS) tra gli uomini, associati con tabacco e alcool; i tumori dello stomaco associati alle infezioni e legate a scarsa igiene alimentare; gli incidenti da mezzi di trasporto tra gli uomini legati alla sicurezza stradale; le malattie del sistema respiratorio tra gli uomini associate ai rischi da lavoro e al fumo; il diabete mellito, soprattutto tra le donne, associato all’obesità e alla qualità delle cure; la salute mentale (suicidi) legata al disagio sociale; i tumori del polmone tra gli uomini correlati al fumo. Ma a questo punto della lista tutte le altre malattie continuano a segnare eccessi di mortalità tra i meno istruiti, ancora intorno al 20- 50%.

Disuguali nella salute percepita
Le persone a minor reddito riferiscono di essere in uno stato di salute non buono più spesso delle persone ad alto reddito, sistematicamente in tutti i periodi e in tutte le fasce di età analizzati. Il miglioramento di salute non è stato quindi in grado di eliminare il divario tra maggiore e minore reddito, che rimane superiore ai 10 punti percentuali nelle classi di età più anziane.

Disuguali nella scuola
L’Italia rimane agli ultimi posti in Europa per l’elevato numero di ragazzi e ragazze che nella minore età accumulano ritardi e poi rimangono fuori da percorsi di istruzione superiore o formazione professionale. Essi sono il 10% circa a 16 anni e il 20% a 18 anni. L’accesso e soprattutto la conclusione del ciclo di istruzione superiore rimangono ancora ambiti di forte differenziazione per origine sociale. Lo stesso vale per l’università, in cui il livello di abbandono, intorno al 40%, è elevatissimo.

Abbiamo il primato in Europa di giovani Neet, "neither in employment nor in education or training" e indica quei giovani tra i 15 ed i 34 anni che non lavorano, non studiano e non sono in formazione professionale. Nel 2020 sono più di 3 milioni, con una prevalenza femminile di 1,7 milioni. L’incidenza dei Neet raddoppia nel Sud rispetto al Nord, ed è maggiore tra le donne.

Disuguali nel lavoro
Per la salute sono fondamentali l’occupazione e la qualità del lavoro. La crisi iniziata nel 2008 ha avuto un impatto molto forte sull’occupazione. Mentre il Nord ha recuperato i livelli di occupazione del 2007, il Sud rimane sotto di 6 punti percentuali. Sul benessere e la salute percepita sul lavoro l’Italia è nelle migliori posizioni in Europa riguardo alla qualità fisica degli ambienti di lavoro (seconda su 35), mentre è nelle ultime (quintultima) per la qualità sociale degli ambienti e delle relazioni di lavoro.

Disuguali nel reddito
Il reddito familiare disponibile di fonte Banca d’Italia dal 2007 al 2012 ha subito una diminuzione del 13,8%, una perdita che ha coinvolto tutti gli strati sociali, anche la classe media, ma che è stato proporzionalmente più pronunciato per le basse classi sociali. È evidente che l’Italia abbia attraversato due importanti crisi con dinamiche sperequative differenti: la prima del 1992 con un forte aumento delle disuguaglianze sociali per il crollo dei redditi medi e l’aumento di quelli alti; e quella del 2007 e soprattutto del 2011 con impoverimento complessivo di tutti gli strati della popolazione, in un contesto di economia stagnante e a rischio di declino, ed un significativo peggioramento delle disuguaglianze per i meno protetti, soprattutto i giovani.

Infine se incrociamo il tutto con i dati sui differenziali di PIL regionali previsti per quest’anno il quadro di frammentazione si consolida e non fa sperare bene sulle capacità di rinascita e resilienza del SSN e dei SSR:

Figura 4 – Il PIL delle Regioni italiane nel 2023. Fonte: MEF

In merito alle disuguaglianze di reddito è opportuno riferirsi all’indice di Gini [4], l’indicatore internazionalmente riconosciuto come il più preciso per misurare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito.

Figura 5 - Indice di Gini in Europa 1995-2018

Disuguali nelle condizioni abitative
Nell’ultimo rapporto “Benessere Equo e Sostenibile[5] circa l’11,5% della popolazione residente in Italia risulta gravemente deprivata (tra gli ultimi posti in Europa), anche per difficoltà a riscaldare l’abitazione o a pagare le bollette e mantenere l’abitazione. Il 9,6% della popolazione è in condizioni abitative difficili, per sovraffollamento (27,8%, quasi il doppio della media europea) e per la presenza di problemi strutturali (quasi un quarto della popolazione lamenta presenza di infiltrazioni, umidità e simili su muri, soffitti o infissi).

Disuguali nei comportamenti a rischio per la salute
Fumo, abuso di alcol, sedentarietà, alimentazione scorretta e, infine, obesità e sovrappeso sono, in Italia, stili di vita insalubri influenzati dallo svantaggio sociale ma in misura variabile e spesso soltanto in alcune aree territoriali o in uno dei due sessi. A parità di età, la differenza nel fumo tra coloro con la licenza elementare e coloro che hanno conseguito maturità o laurea è quasi del doppio nel Nord ed è di oltre dieci punti percentuali nel resto del Paese. In entrambi i sessi sussistono preoccupanti livelli complessivi di sovrappeso e di obesità, specialmente in Meridione, seppur con prevalenze minori rispetto all’Europa, con importanti e più intense disuguaglianze a svantaggio dei meno istruiti, specie se donne.

Disuguali nella prevenzione
Le persone più svantaggiate per istruzione, difficoltà economiche o cittadinanza straniera si sottopongono meno spesso di quelle più avvantaggiate ai test di diagnosi precoce dei tumori della mammella, del collo dell’utero e dell’intestino, che sono offerti dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con programmi organizzati di screening a gruppi specifici di popolazione. Ad esempio i tassi di immunizzazione contro la rosolia in donne in età fertile sono pari al 60% fra le italiane, e del 36% fra le immigrate.

Disuguali nell’accesso alle cure
Gli italiani di bassa istruzione a parità di altre condizioni ricorrono più spesso alle visite generiche e all’ospedale mentre usano di meno gli esami e le visite specialistiche e che tali differenze sono rimaste stabili negli ultimi 15 anni. Questa rinuncia all’assistenza specialistica potrebbe essere correlata alle barriere economiche all’accesso. Le rinunce ad una prestazione sanitaria in Italia tra il 2004 e il 2015 sono cresciute in chi ha un reddito inferiore alla mediana mentre sono diminuite in chi ha un reddito superiore; in tal modo la forbice tra le due categorie rispetto alla percentuale delle rinunce è cresciuta sempre più, sino a raddoppiarsi.

Categorie di azioni per la riduzione delle disuguaglianze:

In letteratura scientifica le possibili azioni per ridurre le “diseguaglianze” sono:

  1. Azioni di sistema, rivolte a tutta la popolazione in modo proporzionale al bisogno;
  2. Azioni strumentali, finalizzate a far funzionare le altre azioni con dati, regole e processi;
  3. Azioni selettive, rivolte ai gruppi più vulnerabili.
A) Le azioni di sistema
B) Le azioni strumentali
C) Le azioni selettive rivolte ai gruppi più vulnerabili

I gruppi più vulnerabili – quindi - sono quelli in condizioni di estrema povertà e marginalità (come i senza dimora), e quindi maggiormente esposti ai fattori di rischio per la salute correlati allo svantaggio sociale, oppure quelli che hanno una particolare suscettibilità agli effetti sfavorevoli sulla salute e alle ricadute dell’esperienza di malattia sulla carriera sociale (come i disabili). Spesso le due condizioni sono entrambe presenti nello stesso gruppo.

Conclusioni
Pertanto siamo un Paese NON per giovani, con molti anziani, come molte diseguaglianze e diversità sociali, culturali e territoriali. In questo contesto si parla di “autonomia differenziata” e si continua, in continuità con gli altri Governi precedenti, a finanziare il “Job Acts” nella sua componente del “welfare aziendale” al cui interno c’è per l’80% dei finanziamenti previsti la “sanità integrativa” assolutamente “privata” e intermediata da assicurazioni e mutue … E poi si parla di crisi del SSN ... In realtà è il modello di sviluppo del Paese che va ripensato e modificato.

Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma

Laura Franceschetti
Professoressa presso DiSSE, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma

Andrea Vannucci
Professore a contratto di programmazione, organizzazione e gestione delle aziende sanitarie DISM UNISI

Note:

[1] Dahlgren G & Whitehead M (1991) Policies and strategies to promote social equity in health. Institute for Future Studies, Stockholm.

[2] G. Costa, M. Bassi, G.F. Gensini, M. Marra, A.L. Nicelli, N. Zengarini. L’Equità della Salute in Italia: Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità. Fondazione Smith Kline – Editore Franco Angeli, 2014

[3] Ministero della Salute - L’ITALIA per L’EQUITÀ nella SALUTE. Novembre 2017

[4] AA.VV., “Corrado Gini: innovator and leader of Italian statistics”, Special Issue of Statistica Applicata - Italian Journal of Applied Statistics, Vol. 28 (2-3), 2016

[5] Istat Rapporto BES 2019 – Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma 2019 Istituto Nazionale di Statistica



23 giugno 2023
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