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Piani di rientro e Patti per la salute in crisi. Colpa "loro" o di chi non li ha saputi gestire?

di Roberto Polillo

Si tratta infatti di due strumenti nati per dare corpo al nuovo quadro di rapporti costituzionali tra Governo e Regioni in materia sanitaria. Per questo Errani ha ragione a sollecitare un nuovo Patto per la salute. Ma è anche vero che l’esperienza dei Piani di rientro (Lazio in primis) non ha dato i risultati sperati

24 GEN - Nel dibattito sulla utilità e opportunità che le regioni in condizioni di deficit strutturale siano sottoposte a piani di rientro e conseguentemente sulla reale utilità di tale strumento dico subito che la posizione da me condivisa è quella espressa dal presidente Vasco Errani nella sua recente intervista.
 
“Per quanto riguarda “i Piani di Rientro – afferma Vasco Errani -  al di là di alcuni appesantimenti burocratici, sono stati un buono strumento per tenere sotto controllo la spesa sanitaria. Uno strumento che abbiamo condiviso con il Governo nel Patto per la Salute. Ciò che manca oggi è proprio questo, ovvero uno strumento, il nuovo Patto, su cui confrontarci con riferimento alle risorse e alle prestazioni in un confronto franco fra Regioni e Governo.”
E aggiungo di non comprendere la posizione contraria che trovo contraddittoria come cercherò di dimostrare.
 
Quando nel 2001 fu varata la sciagurata riforma del Titolo V si convenne che la persistenza di un Ministero della Salute forte (si ricorda che il Ministero verrà successivamente accorpato e quindi di nuovo spacchettato) era necessaria per controbilanciare le istanze federaliste (secessioniste ) delle regioni e per garantire su tutto il territorio nazionale la reale esigibilità dei diritti, in primis quelli tutelati dalla Costituzione Italiana come quello alla Salute. Un organismo centrale ( il Ministero) veniva giustamente considerato indispensabile e a tale organismo venivano demandate funzioni di indirizzo, di definizione dei LEA, di monitoraggio e venivano attribuiti compiti sostitutivi in caso di gravi inadempienze delle regioni.
 
In questa prospettiva i Piani di rientro delle regioni in default (perché di questo si tratta) sono la naturale estensione di tale normazione. Si può discutere se lo strumento sia stato concepito correttamente dal punto di vista delle funzioni e dei reali poteri attribuiti al Commissari, sul diverso peso che dovrebbe avere durante la fase di elaborazione e monitoraggio del Piano stesso il Ministero della Salute rispetto a quello della Economia, se lo strumento sia poi in grado di modificare il comportamento del decisore politico di turno (e purtroppo in parte sembrerebbe di no), ma non si può mettere in discussione il principio che lo Stato deve intervenire con forza e cogenza quando una intera classe politica sta portando la regione al fallimento finanziario, sanitario e soprattutto morale. Ancora una volta sono emblematiche le regioni del Centro Sud e in modo particolare Lazio e Campania dove si concentra il 70% circa dell’intero disavanzo sanitario.
Ritorno brevemente sul Lazio perché questa regione è l’emblema della insipienza bipartisan di una intera classe politica. Ricordo infatti che sicuramente alla giunta Storace vanno attribuiti tre demeriti di non poco conto:
1) aver venduto 49 strutture ospedaliere per poi mettere a carico della regioni canone di affitto e manutenzione (senza nessun miglioramento del rating delle varie agenzie di valutazione);
2) aver triplicato il deficit portandolo alla cifra record di 9,9 miliardi tra transatto e non transatto;
3) aver aperto nuove strutture ospedaliere e Universitarie (creando una vera mostruosità con i cinque Policlinici Universitari) quando invece le altre regioni (Emilia, Toscana, Lombardia) ne avevano chiuse e riconvertite diverse decine utilizzando i fondi della edilizia ospedaliera che nel Lazio sono rimasti inutilizzati).
 
Per amore di verità però bisogna dire che la giunta Marrazzo non aveva certo fatto di meglio: tra le opere epiche tramandate ai posteri possiamo annoverare infatti:
1) creazione di un disavanzo di 2 miliardi nel 2006, 1,8 nel 2007, 1,7 nel 2008, 1,4 nel 2009, oltre un miliardo nel 2010 a cui si deve aggiunge un extra deficit di 1,6 milardi per il 2010 (Mario Maugeri, Il Sole 24 ore del 3 Novembre 2011);
2) chiusura del San Giacomo dopo che questo era stato totalmente ristrutturato con i soldi dei contribuenti;
3) mantenimento della vecchia struttura dirigenziale al Bilancio che aveva reso possibile che i Bilanci delle ASL non venissero redatti per anni;
4) mantenimento delle vecchie modalità di pagamento dei numerosi creditori della regione non in base a criteri di trasparenza e di priorità ma in base all’arbitrio dei funzionari preposti ( comportandosi in questo peggio della tanto vituperata Campania che invece aveva regolamentato tali procedure).
 
Veniamo infine alla Giunta Polverini. 
1) A fronte della disattivazione di 24 strutture e alla desertificazione sanitaria delle provincie e della zona est della Capitale, il disavanzo ha continuato a crescere a livelli di 7-800 milioni annui;
2) la situazione degli ospedali e Pronto soccorso è drammaticamente peggiorata, come variamente testimoniato dalla stampa e dalle Commissioni parlamentari;
3) il trasporto pubblico di emergenza- Urgenza è al collasso;
4) il bilancio della regione è “al buio”parafrasando le amare conclusioni della Corte dei Conti (delibera 92/2012) con la elencazione di ben 22 obiezioni alla azione amministrativa della regione.
 
E’ dunque quella della regione Lazio (e delle altre regioni in default) una condizione non risolvibile con le normali procedure, che pure sarebbero auspicabili se a governare ci fosse stata una classe politica in grado di onorare gli impegni di una corretta amministrazione del ben pubblico. In mancanza dello strumento Costituzionale del fallimento politico per i decisori politici responsabili del default delle istituzioni loro affidate lo Stato centrale è e deve restare “il prestatore di ultima istanza” di una politica sostitutiva che sia a servizio della collettività e non di un ceto politico delegittimatosi per il proprio scandaloso comportamento.
 
E’ questa la vera sfida che dovrà affrontare il nuovo Governo nazionale per riprendere, e questa si spera fattivamente, la collaborazione con le regioni in default per una compita attuazione dei Piani di rientro. 
 
Roberto Polillo
 

24 gennaio 2013
© Riproduzione riservata


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