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Quantità e qualità in sanità. Come uscire da un dibattito sterile

di Roberto Polillo

Per migliorare la  scarsa performance del nostro  sistema sanitario è indispensabile uscire dalle secche di un dibattito solo ideologico e antinomico e puntare ad una visione in cui i termini  qualità/quantità (di strutture, risorse, personale) siamo considerati  entrambi necessari per giungere a sintesi  operativa.

08 GEN - Il dibattito in corso su standard del personale, parametri di allocazione delle risorse e valutazioni delle performances delle strutture/operatori oscilla tra due posizioni tra loro assunte come antitetiche. Da un lato i “quantitativisti” sono dell’idea che la risoluzione della complessità data possa trovare adeguata soluzione attraverso una parametrazione numerica (minuti di assistenza,  costi standard, numero di prestazioni etc); dall’altro i “qualitativisti”  sostengono  (talvolta in modo più confuso) che tale riduzione sia possibile solo attraverso procedure discorsive elusive della quantificazione di dettaglio (la declamazione delle competenze, la qualità totale dell’assistenza, il finanziamento dei LEA e non delle singole voci di bilancio etc) .
 
Giudico entrambi tali  approcci parziali e inadeguati  a descrivere la realtà data,  ma soprattutto li ritengo di scarsa utilità se il nostro obiettivo è quello di proporre soluzioni ai problemi che assillano il nostro/i servizio/i sanitario /i nazionale e regionali.
Ricordo che la questione qualità/ quantità è uno dei rompicapi su cui si sono da sempre cimentati  i filosofi; e che tale problematica ha trovato un giusto punto di equilibrio nella logica Hegeliana.
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La qualità è, secondo Hegel, la determinazione concettuale più immediata, in quanto noi, quando pensiamo una cosa, la pensiamo sempre prima come “un quale”. Segue poi come  momento successivo alla qualità (e quindi il suo superamento)  la quantità, vista come negazione della qualità poiché “il quanto prescinde il quale”, (essa è inoltre  successiva alla qualità in virtù del fatto che quest’ultima sottintende la quantità); l’ultimo momento della logica dell’essere è la misura, vista come la quantità della qualità (“quanto qualitativo”) ossia come la regola di ogni attività di misura (che consiste appunto in una sintesi di qualità e quantità).
 
Ritengo che l’adozione di tale criterio di “misura” intesa come quantità della qualità sia lo strumento più adeguato per superare la parzialità delle due posizioni richiamate in premessa. Ricordo anche che il criterio  che informa tutto il processo di miglioramento della qualità  dell’ HMO Kaiser permanente è proprio quello della misura considerato momento imprescindibile ai fini del miglioramento dei processi assistenziali  “If you don’t measure it, You can’t manage it”
 
Cosa vuol dire dunque l’adozione di tale regola? Propongo alcuni esempi per meglio chiarire il mio pensiero. Nella valutazione delle  performances di una unità operativa la “misura” adeguata non è certo il criterio bruto quantitativo. In un precedente articolo su QS avevo parlato di “feticismo delle prestazioni” per descrivere quel tipo di  approccio valutativo basato esclusivamente sui volumi delle attività svolte (il numero di visite, il numero di colonscopie, il numero di test allergometrici etc).
 
L’alternativa che io propongo deve invece basarsi sulla “quantità delle relazioni” in cui il secondo termine sta ad indicare la componente qualitativa della misura stessa. Questo significa che nel valutare l’attività di una U.O. di gastroenterologia porrò al primo posto il rapporto di counselling  svolto dai medici della UO nei  confronti dei medici di medicina generale della UCP di riferimento (o di altra specialità) riduttivamente assunti come ordinatori della spesa.
 
La creazione della relazione può avvenire adottando il modello di e-referrall o di  consultazione telefonica (attraverso una standardizzazione delle procedure) in cui la richiesta di accertamento diagnostico strumentale (EGDS , colonscopia o altro) viene discussa preventivamente con il medico che la eseguirà. Il tutto non per limitare il potere decisionale del MMG (sia chiaro!) ma per definire dei percorsi assistenziali calibrati sullo specifico problemi clinico.
 
Ovviamente si potrebbe attivare questa procedura a  partire da quelle prestazioni strumentali che in quel determinato contesto siano risultate a maggior rischio di inappropriatezza. Il criterio di valutazione dell’UO di gastroenterologia conseguentemente non sarà più il dato numerico ma il numero di “contatti professionalizzati” con i MMG e il rapporto tra  prestazioni eseguite e prestazioni evitate perché inappropriate. Lo stesso ragionamento varrà ovviante nel caso di esami cardiologici o di diagnostica allergologica di livello avanzato (diagnostica in vitro allergeni molecolari, BAT etc)
 
Ancora nella valutazione della gestione di pazienti affetti da diabete mellito (per citare la malattia a maggiore prevalenza) il criterio di valutazione dei professionisti non sarà solo il numero di pazienti trattati ma la misura in rapporto ai volumi  di alcuni outcomes di processo e di esito: tra questi la percentuale di pazienti che hanno un valore di  HB glicosilata o di colesterolo LDL nella norma o che hanno eseguito un esame annuale del fondo dell’occhio o la visita podologica etc. Lo stesso dicasi per i pazienti affetti da BCO o altre patologie croniche come ipertensione in cui facilmente possono essere identificati parametri quali- quantitativi di valutazione. La “misura” è dunque sempre un sinolo di qualità/quantità, di estio/processo.
 
Più complesso il processo di valutazione/finanziamento delle strutture ospedaliere. In questo caso è ovvio che alcuni dati di sfondo sono fondamentali e devono essere tenuti nel massimo conto (la densità di strutture presenti, la composizione demografica della popolazione di riferimento, le condizioni oro-geografiche del territorio etc).  Questi elementi  però non sono sufficienti a giustificare la mediocre performance di alcuni ospedali  o la loro forzata tenuta in vita  (come mi confessò alcuni anni orsono un vecchio assessore alla sanità della Calabria ) quando si verifica che la giornata di degenza media costa come quella di un ospedale emiliano o lombardo ma mentre nel primo si eseguono appendicectomie  nei secondi si effettuano trapianti di organo.
 
E allora la introduzione di parametri qualitativi (fortemente basati sul case-mix) e numerici per quanto riguarda i fattori di produzione fissi (il numero di  UO per abitanti o per posti letto con organici necessariamente parametrati in modo non rigido, il costo delle apparecchiature e delle forniture, il costo dei servizi intermedi) sono elementi insostituibili ai fini di  un corretto benchmark.  In termini più generali anche  la realizzazione di economie di scala che è un must per le strutture di terzo livello o ad altissimo impatto tecnologico è irrealizzabile se non si definiscono adeguati parametri di riferimento assunti sulla base delle best practises.
 
Quando noi diciamo che il numero di centri trapianti della regione Lazio è assolutamente ingiustificato lo diciamo perché l’evidenza empirica ci dice che la regione Piemonte con un  unico centro esegue un numero di interventi superiore con dei costi estremamente più contenuti. Lo stesso discorso vale per le 36 UTIC della stessa regione Lazio di cui meno di 5 sono attive h24. E’ allora giustificabile tenere aperte un numero così elevato di strutture chiaramente sottoutilizzate?
 
E dunque in questi casi   la parametrizzazione numerica (di strutture e conseguentemente di personale dedicato)  non è una brutalizzazione della complessità data ma è lo strumento operativo  indispensabile per una corretta pianificazione e programmazione sanitaria.
Ovviamente la definizione di tali  parametri, specie quella del personale dedicato, deve essere assunta come un processo dinamico da implementare e verificare nel corso del tempo proprio per impedire che i risparmi vengano impropriamente realizzati comprimendo i livelli di assistenza. Ricordiamo infatti che il contesto sanitario è  fortemente labour intense  e che una compressione degli organi si  traduce immediatamente e in termini esponenziali (causa anche la componente di stress che le attività sanitarie comportano) in una caduta della qualità assistenziale.
 
In conclusione per migliorare la  scarsa performance del nostro  sistema sanitario (con le dovute eccezioni di alcune regioni fortemente performanti in termini di corretto utilizzo delle risorse e di risultati di saluti ottenuti) è indispensabile uscire dalle secche di un dibattito solo ideologico e antinomico e puntare ad una visione in cui i termini  qualità/quantità (di strutture, risorse , personale) sono sussunti come componenti fondamentali della contraddizione,  entrambi necessari per giungere a sintesi  operativa.
 
Roberto Polillo

08 gennaio 2014
© Riproduzione riservata


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