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Sabato 27 APRILE 2024
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La sanità e l’azienda. Un dibattito sempre attuale

di Roberto Polillo

Il primo punto da definire con chiarezza è  che nelle nostre ASL l’elemento mancante è proprio la “cultura aziendalistica”. Ma su tutto pesa il ruolo che i medici giustamente rivendicano per il “governo clinico” di Asl e Ospedali, anche se occorre superare i conflitti tra manager e professionisti e quelli, tutti medici, tra apicali e non

26 GIU - I due pregevoli interventi del Prof. Gianfrate e del Dott. Troise riportano il dibattito da dove era inizialmente partito, quando si iniziò a discutere di aziendalizzazione del SSN. E allora (come oggi)  i temi erano:  la natura giuridica dell’azienda; i possibili modelli di governance dell’azienda  sanitaria su cui si scontravano i sostenitori del modello monocratico e coloro che propendevano per una gestione allargata tipo consiglio di amministrazione ed infine, ma non per ultimo,  il rapporto o meglio dire lo scontro  tra professionisti sanitari  e managers in quella che il BMJ definì una vera e propria danza macabra progressivamente intensificatosi a seguito del varo della 502/517.
 
Il Prof. Gianfrate nel suo contributo ricco di suggestioni dopo aver giustamente ricordato alcuni principi della scienza dell’organizzazione (il conformismo istituzionale che contraddistingue le organizzazioni di un determinato campo organizzativo) e i vecchi vizi della nostra società (il familismo amorale a si potrebbe aggiungere il predominio in ogni ambito di quella che Eugenio Scalfari  e Guido Carli chiamavano la “razza padrona” e il capitalismo molecolare e straccione che ha colonizzato anche le aziende sanitarie, che  in alcune regioni rappresentano il principale se non unico motore dell’economia)  e propone come soluzione  quella di:
 
“di riparlare di “checks and balance”, pesi e contrappesi, di gestione e controllo reciproco, come ad esempio un consiglio di amministrazione, esecutivo con membri (votanti) anche rappresentativi delle professioni, dei pazienti/cittadini e delle municipalità del territorio, sullo stampo ad esempio di quanto si sta facendo in Gran Bretagna con la recente riforma Cameron col suo “NHS White Book”.
 
Il Dott Troise, condividendo totalmente l’analisi del Prof Gianfrate,  ritiene invece che:
 
La complessità del mondo sanitario non può essere governata con i soli strumenti della cultura aziendale, anche ove questi venissero utilizzati al meglio. Rimane evidente la necessità di un sostanziale cambio di paradigma culturale, politico e sociale che, a garanzia di un servizio sanitario universalistico, equo, efficace e solidale, definisca una nuova cornice culturale, giuridica, amministrativa, civile e sociale ed un nuovo modello di governance a management diffuso e responsabilità sociale dimostrata. Questa rimane oggi la questione centrale e soprattutto cruciale per vincere, o perdere, le due sfide più grandi per il nostro sistema sanitario, quella del consenso dei cittadini, in pericolosa discesa, e quella della sua sostenibilità economica nella salvaguardia dell’universalismo e dell’equità.
 
In entrambe le posizioni ritengo ci siano elementi condivisibili a patto però che la nostra analisi non nasconda nulla di quello che è ormai a tutto evidente.
 
E il primo punto da definire con chiarezza è  che nelle nostre ASL l’elemento mancante è proprio la “cultura aziendalistica” perché,  proprio per i fenomeni di isomorfismo mimetico citati dal Prof. Gianfrate quello che in larga parte delle ASL  ha prevalso finora è stato un modello gestionale orientato al rafforzamento delle  elites politiche che avevano in mano il governo della regione. In altri termini la totale subordinazione del menager alle indicazioni del politico di turno, (in mancanza di una burocrazia di alto livello e in un certo senso autosufficiente come in Francia)  ha fatto in modo che  solo formalmente e solo come dice Troise sulle politiche del personale si adottassero strumenti aziendalistici (prevalentemente orientati al controllo punitivo dei costi) mentre in realtà la gestione reale dell’azienda perseguiva le vecchie strade della dipendenza dalla politica e in molti casi della corruzione.
 
In fondo le aziende sanitarie non sono dissimili dalle altre aziende pubbliche in cui si chiudono i bilanci in rosso ma i manager non solo non vengono rimossi ma anzi si preparano per un altro incarico portando a casa non il demerito ma  buone uscite vertiginose. Perché mai dunque le ASL dovrebbero essere dissimili se quello è il modello isomorfico del  pubblic mangement nostrano?
 
Come dicevo prima sono temi assolutamente legati al modello di società italiano che  purtroppo non è minimamente cambiato nel corso di decenni e che negli ultimi tempi, come dimostrano gli intollerabili scandali delle ultime settimane , si è ulteriormente rafforzato.
E a tal proposito è sufficiente ricordare l’intervista della Sen. Nerina  Dirindin su QS sui costi stratosferici della corruzione in sanità e sulla necessità di introdurre strumenti innovativi per contrastarla  che devono vedere, necessariamente  il coinvolgimento di nuovi soggetti. 
 
Ben venga dunque il checks and bilance proposto dal Prof. Gianfrate a patto che la nostra attenzione sia rivolta agli esiti (con il coinvolgimento attivo  di soggetti terzi) e non ai soli volumi prestazionali (come avviene  oggi) e che sia dato  un ruolo ben preciso anche alle organizzazioni dei cittadini nella valutazione del servizio e  degli operatori. Una valutazione che non può essere  solo una formalità da sbrigare in fretta e da cui non deriva conseguenza alcuna.  Rimane però il fatto che senza un profondo rinnovamento della classe politica e imprenditoriale anche questo modello di governance partecipato produrrebbe effetti solo marginali
 
Ritornando all’intervento del Dott Troise in esso vi è la  riproposizione del vecchio dibattito sul governo clinico e sulla  responsabilità della gestione da affidare ai medici e agli altri operatori sanitari  come unica soluzione possibile alla mutazione genetica  che ha snaturato l’azienda sanitaria. Il Dott. Troise  vuole infatti recuperare dagli archivi:
 
l’idea del governo clinico, o comunque lo si voglia chiamare, che mantiene le sue buone ragioni anche se ha perso forza, agibilità e concretezza, in una inerzia legislativa che ha indebolito potenzialità e deluso speranze. A questa idea, che riconosce la centralità del ruolo delle professioni all’interno delle Aziende Sanitarie, è possibile affidare, infatti, quanto la cultura aziendalista ha dimostrato di non poter compiutamente provvedere, e cioè la garanzia delle finalità etiche, civili e tecnico-professionali del servizio, nel rispetto delle compatibilità economico finanziarie, reclutando tutti i professionisti, medici e non, all’ obiettivo di invertire le curve di caduta della qualità e del consenso sociale e della contestuale crescita dei costi, individuando procedure di selezione e verifica delle carriere meno discrezionali ed autoritarie ed alleggerendo la deriva burocratica verso la quale è oggi sospinta la pratica dell’ appropriatezza clinica.
 
Bene,   credo che il ritorno all’idea del governo clinico (buona medicina, buona organizzazione) possa contribuire anch’esso alla soluzione al problema a condizione però che si dia giusta risposta a  due problematiche ad essa connessa. La prima di natura interprofessionale e la seconda (del tutto all’ordine del giorno)  di natura più prettamente intraprofessionale  Per il primo aspetto  mi limito a ricordare come  Øvretveit,  tra i più grandi studiosi della qualità,  sostenesse come sia indispensabile risolvere proprio quella condizione di conflitto tra manager e professionisti sanitari,  considerata anche da altri studiosi una delle componenti di maggiore ostacolo alla modernizzazione dei servizi sanitari dei paesi industrializzati.
 
Tale concetto è stato successivamente ribadito da Degeling per il quale la mancata risoluzione di tale problema comporta  tre tipi di conseguenze negative: “primo impedirà di incorporare le prospettive dei clinici nelle locali strategie di modernizzazione; secondo impedirà la rinascita di quella “autonomia responsabile” principio fondamentale nella organizzazione dei servizi sanitari, ed infine significherà che tutte le parti continueranno ad essere guidate dalla diffidenza e dalla conseguente crisi di reciproca fiducia che pervade il campo
 
Per la seconda voglio ricordare come la classe medica non rappresenti un tutto omogeneo ma come da sempre ci sia un conflitto tra le vecchie e le nuove generazioni, tra apicali e non. Tale conflitto  è stato riproposto nell’ultimo contratto in cui si è tornati indietro nella battaglia di effettiva equiparazione tra ex assistenti e ex aiuti,  reintroducendo  una insensata segmentazione delle carriere basata sull’anacronistico criterio di appartenenza storica a qualifiche ormai superate (ex IX e ex X livello) E tale conflitto si ripropone oggi tra coloro che vogliono giustamente un ricambio generazionale e quanti vogliono trattenere in servizio oltre ogni limite ragionevole quanti hanno già ampiamente superato l’età pensionabile.
 
Questioni come si vede non irrilevanti e che illustrano in modo molto netto come il conflitto sia una realtà a più dimensioni che attraversa le categorie,  che stratifica i ruoli penalizzando alcuni a vantaggio di altri e che quindi rende molto più complicata la partita che si sta giocando
 
Roberto Polillo

26 giugno 2014
© Riproduzione riservata


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