Il Ssn ormai pronto al necrologio?
di Roberto Polillo
Serve una risposta decisa da parte di tutte le forze che credono ancora nei sistemi di protezione pubblici e non si riconoscono in un modello mercantista di sanità. Ma la partita non è persa e può ancora essere giocata e la condizione preliminare è la piena consapevolezza della gravità della situazione attuale
11 GEN - Per certificare lo stato di morte imminente del Ssn a poco serve il referto necroscopico redatto dalle regioni per protesta contro la legge di stabilità.
Dello stato di sofferenza estrema del nostro principale sistema di welfare sono in somma parte responsabili le regioni medesime, che ora, con lacrime di coccodrillo, si scagliano contro il governo. La loro protesta, simbolica perché priva di qualsiasi effetto, non aggiunge nulla, anzi suscita il fastidio che si avverte quando una posizione giusta viene sostenuta da chi è manifestamente corresponsabile della colpa che, con mal celata astuzia, cerca di scaricare sull’altro.
Molto più utile riflettere sulle due lettere inviate al Direttore e firmate da
Luca Sinibaldi (infermiere di medicina generale di Pisa) e da
Elisa Buffone (Direttore della UOC di neonatologia del San Camillo di Roma)
Le due testimonianze provengono da due mondi diversi; da una regione come la Toscana costantemente in equilibrio finanziario e con ottime performances in termini di risultati di salute e da un'altra, il Lazio, costantemente in affanno su entrambi i fronti nonostante le rassicurazioni del presidente Zingaretti
Eppure in entrambe le lettere, seppure diverse per stile e contenuti, emerge un sentimento comune; un misto di rabbia e sofferenza da parte di operatori che, pur rivestendo ruoli diversi, non accettano di restare muti davanti al drammatico peggioramento delle condizioni di lavoro e alla spaventosa compressione della qualità del servizio che accomuna regioni virtuose e regioni commissariate e sotto piano di rientro.
E del resto il peggioramento della qualità del nostro SSN e della condizioni generali di salute della popolazionesono talmente evidenti che ci si domanda come possano fare il Ministro Lorenzin e il Presidente del Consiglio a non mostrare la ben che minima preoccupazione al riguardo
Il nostro SSN è al 21° posto nella classifica dell’indice europeo health consumer (EHCI) sulla performances dei sistemi sanitari di 37 paesi sottoposti a monitoraggio, mentre la spesa sanitaria tocca un nuovo record negativo essendo pari al 6,6% del PIL (il livello più basso del decennio) mentre per il 2017 le regioni, invece di ridurre gli sprechi a partire dalla soppressione delle 8.000 partecipate ancora in vita, hanno già preannunciato tagli ulteriori dei servizi.
Preoccupano certamente poi, anche se ancora non definitivi, i dati sull’andamento della mortalità dei primi 8 mesi del 2015. Se fosse confermato l’incremento è chiaro che ci troveremmo dinanzi a un trend che alcuni già hanno paragonato a quello straordinario verificatosi in coincidenza con le ultime due guerre mondiali.
Ugualmente non ci può tranquillizzare il dato sull’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni che vede l’Italia (che resta in ogni caso tra i paesi più longevi del mondo) collocata al 19° posto nella classifica Ocse.
Tralascio poi di ricordare la percentuale di persone provenienti da famiglie a basso reddito che hanno rinunciato a curarsi per motivi economici (il 67% ne ha avuto almeno un membro) e il peso della corruzione su cui si è scagliato anche il Presidente Mattarella nel suo primo discorso alla nazione.
Assistiamo al fallimento di un progetto che era iniziato con la grande riforma del 1978e che il cinismo della politica sta portando al macero per spianare la strada alle grandi
corporates del complesso sanitario privato, portando finalmente a rendimento stabile gli oltre 30 miliardi che già i cittadini pagano di tasca loro per la sanità provata.
Per quanto riguarda le condizioni di lavoro degli operatori non aggiungo altro a quanto illustrato nelle due lettere e nelle altri numerosi interventi che quasi ogni giorno denunciano lo stato di grave disagio di quanti operano negli ospedali e nelle altre strutture sanitarie del nostro paese.
Sbaglia chi crede che quanto sta avvenendo sia frutto della insipienza; esso è al contrario un atto di strategia politica; di una politica che non crede più alla centralità dello stato e che punta a introdurre quella sussidiarietà che è stato il cavallo di battaglia delle grandi lobbies private e confessionali.
In tale visione non c’è dunque più cittadinanza per una politica sanitaria che metta al primo posto la lotta ai veri fattori di nocivitàda cui dipende in maniera preponderante il livello di salute dei singoli e della popolazione. I pochi soldi spesi vengono impiegati solo ed esclusivamente per la cura ex post dei danni prodotti da un ambiente di vita e di lavoro malsano e da abitudini di vita sbagliate che non vengono adeguatamente scoraggiate o contrastate. Ed infatti è solo ed esclusivamente nel momento della cura che è possibile ridistribuire le risorse impiegate e remunerare così il rischio d’impresa e il plusvalore del complesso sanitario e farmaceutico privato
Non si spende nulla per la prevenzione primariae ancora meno per l’istruzione che sappiamo rappresentare uno dei principali fattori protettivi vero la premorienza e la disabilità. Di questo si dovrebbe occupare il governo e il Ministro della salutematali temi sono totalmente assenti nell’agenda del governo e, quel che è triste, anche in quella dei partiti di opposizione.
Qual è dunque la situazione dei diversi attori istituzionali e quali sono le effettive possibilità di rilanciare una politica che consideri prioritaria la salute dei cittadini? Dei partiti abbiamo già detto; sempre di più con la fine delle ideologie queste organizzazioni si sono trasformate in lobby in cui le diverse correnti si contendono la premiership senza riguardo alcuno per i propri iscritti. Siamo infatti passati dalla fase della video-crazia in cui era nel
talk show che si discuteva al linea del partito a quella della
iphone-crazia in cui la discussione viene considerata una perdita di tempo e viene egregiamente sostituita dai tweet, meglio se correlati con selfie del premier o del presidente di turno.
I sindacati non godono di migliore fortuna; a partire dalle difficoltà generate dal
brunettismo cuii successivi ministri della PA hanno aggiunto del loro: la lontananza dalla base, la mancanza di un valido progetto professionale che coniughi difesa del Ssn e crescita professionale ed infine la creazione di oligarchie che da 30 anni gestiscono con ostinazione il potere residuo senza consentire e favorire il necessario ricambio generazionale.
Non diversa la condizione degli ordini professionali o dei collegi. Negli anni delle vacche grasse le migliori energie sono state spese per oliare la politica e consentire ai loro leader di aggiungere ai numerosi meriti conquistati sul campo anche quello di senatori della repubblica. Una opportunità in più per le professioni si diceva; un valore aggiunto per il Ssn veniva ripetuto come un mantra per tacitare i contrari e gli invidiosi. Le condizioni attuali del nostro sistema sanitario ci dicono invece che nulla di questo si è avverato e che la presenza di ex presidenti delle due principali organizzazioni professionali non ha impedito il naufragio del nostro welfare state.
Che fare dunque?I sindacati medici hanno indetto nuove giornate di sciopero. Una misura necessaria ma non sufficiente. Nelle attuali condizioni e a legislazione vigente lo sciopero, specie in sanità è un arma spuntata e soprattutto a doppio taglio per i disagi che crea nella parte più debole e sofferente della popolazione. Il “politico” ha una sua autonomia che nessun movimento, seppure di dimensioni generazionali, è riuscita a scalfire e questa dimensione non potrà essere certo violata dallo sciopero della sanità.
Rimane come unica via possibile quella di aprire una vertenza a livello nazionale in cui gli operatori sanitari e le loro rappresentanze facciano fronte con i cittadini, ancora totalmente privi di rappresentazione, per denunciare a tutti gli attori istituzionali, dal premier ai Presidenti delle regioni, al Presidente della Repubblica i danni prodotti dalla mancanza di una politica sanitaria sulla salute dei cittadini e dell’ambiente. La Fnomceo può riscattare gli anni persi nei salotti della politica e farsi artefice di questo movimento di medici, operatori sanitari e cittadini elaborando una piattaforma condivisa di pochi punti chiari e coerenti e chiedendo con ostinazione e senza arretrare alla politica e a quel che resta dei partiti risposte certe e trasparenti. E informare di questo i cittadini perché se ne ricordino quando saranno chiamati a votare per i diversi schieramenti.
Il nostro welfare state è a rischio; di questo dobbiamo essere pienamente consapevoli e il peso di tale responsabilità è anche della attuale classe politica al governo che ha preferito rinunciare a 3 miliardi di introiti (l’Ex IMU) piuttosto che finanziare in misura decorosa il nostro SSN.
Serve dunque una risposta decisa da parte di tutte le forze che credono ancora nei sistemi di protezione pubblici e non si riconoscono in un modello mercantista di sanità. La partita non è persa e può ancora essere giocata ma la condizione preliminare è la piena consapevolezza della gravità della situazione attuale.
Roberto Polillo
11 gennaio 2016
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Studi e Analisi