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Stipendi dei manager Asl scesi del 7%. Ma non per tutti


Una ricerca di Federsanità Anci mostra gli effetti della “legge Brunetta” sui compensi della triade dirigente delle Aziende sanitarie: più differenze tra le diverse Regioni, ma in media circa il 7% in meno. Tuttavia, se il 47% delle aziende campione ha tagliato le buste paga del 20%, come previsto dalla legge, c’è un 6% che ha invece deciso un incremento complessivo del trattamento economico dei suoi manager. E a volte il Direttore sanitario guadagna meno di un “primario”.

21 LUG - Che effetti ha prodotto sugli stipendi dei vertici delle aziende sanitarie la cosiddetta legge Brunetta (L.133/2008) che prevedeva una taglio del 20% alle loro retribuzioni?
È questa la domanda che sta alla base dello studio commissionato da Federsanità Anci e curato da Vania Carignani, che è anche la prima ricognizione organica sul trattamento economico riservato a Direttori generali, Direttori sanitari e Direttori amministrativi delle aziende sanitarie pubbliche in Italia. Il campione preso in esame è ampio: 147 aziende (tra Asl, aziende ospedaliere, aziende ospedaliero-universitarie e Irccs), dislocate in 16 diverse Regioni
Va detto subito che il taglio del 20% non c’è stato. In alcuni casi anzi le Regioni hanno, al contrario, deciso di alzare le retribuzioni o, semplicemente, di ignorare la norma. In media però una riduzione c’è stata: se prima della legge 133/2008 la retribuzione media di un Direttore generale era di 151.159 euro/anno, ora è scesa a 140.344 euro/anno; per Direttori sanitari e Direttori amministrativi si è passati invece da 122.277 euro/anno di media a 113.823 euro/anno. In sostanza circa il 7% in meno. Ma anche con un range molto più ampio, che dunque rende meno significativa la media: prima della “legge Brunetta” per i DG lo scarto tra la retribuzione più alta e quella più bassa, sempre annuale, era di 37.730 euro, salito ora a 68.402 euro, mentre per DS e DA il range che era di 30.407 euro è salito ora a 56.375 euro.
Ma, ancora una volta, la maggiore evidenza sta nella differenza nelle scelte delle Regioni. La maggior parte di quelle coinvolte nella rilevazione (47%) hanno applicato la prevista riduzione del 20%, ma molte non hanno applicato alcun taglio (29%) o una decurtazione inferiore (18%); infine in alcuni casi (6%) si è scelto di incrementare il trattamento economico.
Tutte le Regioni che hanno applicato tout court la norma prevista dalla legge 133/2008 sono sottoposte a Piani di Rientro, ma non è vero il contrario: vi sono infatti Regioni che, pur avendo sottoscritto il Piano di rientro, hanno optato per decurtazioni parziali o addirittura per incrementi.
Particolarmente carente l’applicazione della “valutazione di risultato”, ovvero della possibilità, prevista nella stessa legge, di incrementare il trattamento economico di Dg, DS e DA a fronte del raggiungimento di obiettivi. Basse le quote incentivate (tra il 10 e il 20%) e tardivi gli interventi regionali in materia, tanto che solo il 25% del campione ha già concluso l’iter di valutazione. Inoltre gli obiettivi assegnati sono prevalentemente di natura economica e in nessun caso invece legati agli outcome. Dove le valutazioni sono state compiute, però, l’80% dei DG ha raggiunto gli obiettivi assegnati.
 

21 luglio 2011
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