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Corte dei Conti: il piano di edilizia sanitaria è fallito. Erogato solo il 41% delle risorse stanziate


Lo sottolinea una relazione della Corte dei Conti che prende in esame il piano straordinario di edilizia sanitaria dal 1988 ad oggi. In tutto stanziati 16,84 miliardi di euro, ma solo il 59% è stato attivato mentre le somme effettivamente erogate superano di poco il 40% del totale. La colpa? La farraginosità procedurale ma anche l’incapacità realizzativa locale.

08 SET - Ecco una sintesi della Relazione della Corte dei Conti (vedi testo integrale e tabelle allegate a fondo pagina)

L’indagine riguarda la gestione delle risorse statali destinate dal programma nazionale straordinario, avviato sulla base dell’art. 20 della legge n. 67/88, all’edilizia e all’ammodernamento tecnologico della sanità pubblica.
L’istruttoria e la valutazione delle attività oggetto del referto hanno riguardato l’intero apparato organizzativo e gestionale che dall’amministrazione statale si dirama alle regioni e agli enti del servizio sanitario. Le osservazioni formulate riguardano fenomeni gestionali complessi, in ordine alle cui disfunzioni si è cercato di individuare gli  snodi causali più significativi, al fine di consentire misure autocorrettive adeguate.
Il programma di cui all’art. 20 della legge n. 67/88 è diviso in due fasi, di cui la seconda, oggetto dell’indagine, è caratterizzata da uno stanziamento complessivo pari a 16,84 miliardi di euro, risultante non solo dalla disposizione in parola, ma anche da leggi che sul suo tessuto si sono innestate nel tempo, rifinanziandola.
Le risorse sono state caratterizzate da una consistente inutilizzazione che può essere così sintetizzata: 6,81 miliardi di euro, riservati alle regioni, non sono confluiti in accordi di programma, 20 milioni di euro non sono stati assegnati agli altri enti beneficiari e 30 milioni di euro - quale quota parte della riserva accantonata dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) con delibera n. 97/08 - non sono stati attribuiti.
Delle somme stanziate dal Legislatore solo 9,98 miliardi di euro sono stati attivati: 9,30 miliardi sono confluiti in accordi di programma sottoscritti dalle regioni e 680 milioni sono stati assegnati agli altri enti beneficiari; nello specifico 7,04 miliardi di euro sono stati materialmente erogati alle regioni e agli altri enti. Ben 2,94 miliardi, ancorché giuridicamente assegnati, non sono ancora confluiti in transazioni finanziarie (vedi Tabella).

Il quadro regionale
Alcuni enti territoriali, si legge nella relazione della Corte dei Conti - sono riusciti a raggiungere percentuali molto elevate nel rapporto tra valore complessivo degli accordi di programma e risorse assegnate: la Provincia autonoma di Bolzano ha sottoscritto quasi il 100% delle risorse assegnate in ambito CIPE; la Valle d'Aosta ha raggiunto l'83%; il Veneto l'80%; la Lombardia il 78%; la Provincia autonoma di Trento il 74%; la Toscana il 72%; l'Emilia Romagna ed il Piemonte il 71%.
Altre regioni, tuttavia, presentano situazioni altamente critiche: il Molise ha sottoscritto accordi per appena il 18%35, l’Abruzzo per il 32%, l'Umbria per il 36% e la Calabria per il 39%.
In sintesi, rispetto al programma legislativo complessivo è stato attivato il 59,26% delle risorse stanziate per cui solo il 41,82% è pervenuto alla erogazione dei contributi in favore degli enti interessati.
Diverse cause concorrono a questa immobilizzazione di risorse in un ambito strategico quale il servizio sanitario nazionale. Una di esse è correlata al meccanismo degli accordi di programma con le regioni interessate, i quali sono propedeutici alla realizzazione delle iniziative e alla maturazione del finanziamento. La lentezza e le tormentate modifiche che hanno connotato questa tipologia di programmazione negoziata hanno fatto slittare nel tempo l’utilizzazione di buona parte delle risorse stanziate.
Altri elementi, tuttavia, hanno inciso sul mancato raggiungimento degli obiettivi che le disposizioni succedutesi perseguivano; essi possono essere riassunti nella scarsa capacità realizzativa di alcuni contesti regionali, i quali spesso coincidono con le situazioni della finanza sanitaria sofferenti e caratterizzate dall’adozione dei piani di rientro.
Peraltro, i meccanismi legislativi accentuano le disfunzioni provenienti dai contesti regionali a maggior rischio. Le disposizioni di legge prevedono, infatti, un coinvolgimento diretto del Ministero dell’economia e delle finanze, non solo nella fase istruttoria e nella stipula dei pertinenti accordi di programma, ma anche nelle fasi successive interessanti la realizzazione dei diversi interventi e le erogazioni finanziarie. Vengono pertanto “doppiate” le procedure di verifica di congruità degli oneri conseguenti a carico del bilancio statale, in relazione al rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
In tal modo, le regioni più lente nel cogliere l’opportunità del finanziamento dello Stato rimangono ulteriormente indietro rispetto a quelle dotate di maggiori risorse e capacità realizzative.
L’indagine ha messo in risalto il rapporto tra le risorse assegnate per legge e quelle effettivamente transitate in accordi di programma. Con riguardo a questi ultimi sono state evidenziate anche l’attitudine a tradurre in puntuali progetti i finanziamenti e, in relazione all’ultimo triennio, la capacità di attivare le erogazioni statali.
Dall’analisi della documentazione istruttoria è altresì emersa una rilevante differenziazione della misura con cui lo Stato è intervenuto a finanziare le infrastrutture: per alcune regioni il finanziamento statale ha raggiunto il massimo consentito dalla legislazione (il 95%), per altre si è attestato in misura vicina al 70%. Ciò senza una precisa ostensione dei motivi che hanno condotto alla sperequazione.
L’indagine ha rilevato altri elementi critici della gestione amministrativa e contabile di parte statale e alcuni tipi di patologie ricorrenti nell’attuazione del programma.
Alcune disfunzioni possono essere ricondotte, sotto il profilo eziologico, alla stessa legislazione e alle sue prassi attuative. Considerato che la legge n. 67/88 costituisce, al momento, l’unico intervento finanziario diretto dello Stato finalizzato alle infrastrutture sanitarie, la sua concreta attuazione non sembra in grado di assicurare la perequazione infrastrutturale, trainando le realtà territoriali più deboli ove la qualità dei servizi e delle risorse destinate alla sanità non raggiungono il livello minimo statuito dall’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione. Neppure sotto il profilo dell’equità contributiva sembrano congrui gli interventi in favore delle collettività locali meno dotate di servizi, già gravate dalla maggiore pressione fiscale riservata alle regioni sottoposte ai piani di rientro.
 

08 settembre 2011
© Riproduzione riservata


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