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L’autodeterminazione del paziente, il biotestamento e Ippocrate. Ecco perché sono incompatibili

di Daniele Rodriguez

L’autodeterminazione del paziente rappresenta infatti il superamento del rapporto con il malato che deriva dal Corpus Hippocraticum. Se vogliamo rendere l’autodeterminazione del paziente compatibile con il paradigma ippocratico, dobbiamo espungere il postulato – evidentemente contrastante con l’autodeterminazione del paziente – della “cura secondo necessità” caro al professor Cavicchi

06 DIC - Il 13 novembre 2017 QS ha pubblicato un articolo di Luca Benci intitolato “Se anche Ippocrate rema contro il testamento biologico”. Alcuni contenuti di questo articolo sono stati fermamente criticati in una serie di interventi polemici in cui è scomparso completamente l’oggetto del discorso di Benci, cioè il testamento biologico e la non ancora avvenuta “approvazione di una legge non più rinviabile”.
 
La frase che ritengo centrale nello sviluppo del discorso è la “concezione dei rapporti di cura” che Benci qualifica “improntata sulla tradizione ippocratica o, più precisamente, della tradizione che viene definita ‘ippocratico-paternalistica’.” È questa qualifica, conferita alla concezione dei rapporti di cura, che ha sollecitato le critiche ed ha innescato la querelle. Ma il punto fondamentale resta la “concezione dei rapporti di cura”.
 
Su questo tema, in QS, scrivevo ormai un anno fa insieme con Anna Aprile: “Il PDL [progetto di legge] si sviluppa intorno alla ‘cura’ come valore preminente della prestazione professionale, punto di riferimento nelle scelte della persona e cardine, quindi, della relazione fra paziente e medico.”
 
È di alcuni mesi or sono, pubblicato sempre in QS, un acuto intervento di Paolo Zatti, che, a proposito della proposta di legge 1142, rileva che “si tratta del tentativo di dare una disciplina coerente a tutta la relazione di cura” e poi più analiticamente precisa che esso “non disegna una legge ‘sul testamento biologico’ ma un quadro coerente di tutta la relazione di cura, tendenzialmente conforme al ‘diritto dei principi’.”
 
La cura è “tale solo se appropriata e cioè: proporzionata secondo un rapporto scientificamente valido tra entità del trattamento e benefici attesi, e ‘a misura’ del benessere della specifica persona e quindi delle sue propensioni, convinzioni, scelte di vita”. Si sofferma poi sulla ‘beneficialità’ standard che ‘non giustifica un intervento medico non desiderato o rifiutato’.”
 
Nel suo intervento critico nei confronti di Benci, Ivan Cavicchi, in QS, cita due volte “la cura secondo necessità”, fra i “principali postulati del paradigma ippocratico ancora oggi … alla base della nostra medicina”. Ricorro alla interpretazione per comprendere il significato dell’espressione “cura secondo necessità”, non avendo rintracciato alcun Autore italiano che si esprima sul punto.
 
Il sostantivo “necessità” è ambiguo, perché:
(a) se è interpretato quale espressione dei bisogni manifestati dal paziente, allora occorre riconoscere che Ippocrate è il fondatore della relazione di cura come disegnata da Zatti;
(b) se è interpretato come valutazione autonoma del medico, allora siamo di fronte alla relazione di cura paternalistica che Benci fermamente contrasta.
 
Poiché nel pensiero di Cavicchi questo postulato è “alla base della nostra medicina”, è da chiarire quale sia, delle due, l’interpretazione corretta.
 
È facile capire da che parte stia Ippocrate. Cercando nel vastissimo Corpus Hippocraticum, soprattutto fra i libri che sono noti con la generica denominazione di “etici”, è possibile ricavare indicazioni sul comportamento del medico.
 
Per una sintesi rinvio a Luciano Sterpellone (La medicina greca, Ed. Essebiemme, Noceto 2002, pp. 188 ss.), il quale menziona:
- il consiglio ippocratico “di fare ogni cosa con calma e autorità e, soprattutto, di far sì che il malato non capisca quale sarà la propria sorte”;
- le seguenti qualità del medico secondo Ippocrate: “… disinteresse, zelo, pudore, aspetto dignitoso, serietà, giudizio tranquillo, serenità, decisione, purezza di vita, abitudine di sentenze, cognizione di ciò che nella vita è utile e necessario, riprovazione delle cose malvage, animo libero da sospetti, devozione alla divinità”;
- i seguenti aspetti relazionali con il malato, sempre secondo Ippocrate: “… stare attento al modo di sedersi, al modo di comportarsi; deve essere vestito bene, essere sereno nel volto, nell’agire, attendere con cura all’ammalato, rispondere con tranquillità alle obiezioni e non perdere la pazienza e la calma di fronte alle difficoltà che gli si presentano. … Tutte le prescrizioni del medico devono essere fatte in forma amichevolmente tranquilla.”
 
Al di là delle precedenti citazioni (tratte dal “Del comportamento del medico” e dal “Delle prescrizioni”), non è possibile estrarre dal Corpus Hippocraticum passi che confortino l’idea che Ippocrate fosse un sostenitore della relazione con il malato basata sulla valorizzazione dei bisogni espressi dal malato stesso. Ergo, il postulato della “cura secondo necessità” non può essere riconosciuto – se è vero, come è vero, che l’autodeterminazione è ineludibile principio ispiratore dell’attività del medico – alla base della nostra medicina, come invece ritiene Ivan Cavicchi.
 
È dunque non sostenibile la tesi – contraria a quella di Benci – che la attuale “concezione dei rapporti di cura” sia “improntata sulla tradizione ippocratica”.
 
È ovvio che chi fosse convinto del contrario, chi cioè ritenesse che la cura è una necessità e non una scelta del paziente, finisce con l’allinearsi con i punti di vista di coloro che ostacolano l’approvazione di una proposta di legge, che è di vasta portata perché disegna un “quadro coerente di tutta la relazione di cura, tendenzialmente conforme al ‘diritto dei principi’.”
 
Alcune ulteriori riflessioni merita l’interpretazione che, sempre in QS, il Dr. Giancarlo Pizza, Presidente OMCeO di Bologna, fa del pensiero di Ivan Cavicchi; egli afferma, rivolgendosi a Benci: “… il prof. Cavicchi … le dice che l’unica tesi che lei usa contro l’ippocratismo (il consenso informato) è comunque del tutto compatibile con il paradigma ippocratico, e che pur avendo delle contraddizioni esso non è una variabile in grado di decretare la fine di un paradigma …”.
 
L’autodeterminazione del paziente rappresenta invece il superamento del rapporto con il malato che deriva dal Corpus Hippocraticum. Se vogliamo rendere l’autodeterminazione del paziente compatibile con il paradigma ippocratico, dobbiamo espungere il postulato – evidentemente contrastante con l’autodeterminazione del paziente – della “cura secondo necessità”.
 
Non può esistere compatibilità se non si respingono chiaramente le affermazioni antitetiche rispetto alla compatibilità stessa; per esempio, nelle Epidemie, Ippocrate detta questo precetto: “Il paziente deve cooperare con il medico nel combattere la malattia”; nel Comportamento dignitoso è raccomandato al medico di contenere le informazioni al malato perché “Molti si sentiranno spinti a compiere il peggio, qualora il medico non taccia lo stato attuale e gli esiti prevedibili”.
 
Il Dr. Giancarlo Pizza ricorda inoltre che l’Ordine da lui presieduto “si è rifiutato di adottare l’ultima versione del codice deontologico propostaci dalla federazione nazionale degli ordini perché giudicato da noi non adeguato a cogliere le sfide del nostro tempo”.
 
Ciò significa che è stato respinto anche l’articolo 20 del codice, rubricato «Relazione di cura», il cui contenuto è di peculiare interesse per la discussione, riportando una serie di indicazioni assolutamente innovative rispetto alle precedenti versioni del codice di deontologia e che sono in sintonia con il sistema di garanzie delineato nella proposta di legge, da tempo ferma in Commissione Sanità del Senato, come atto n. 2801, di imminente preannunciato esame in aula.
 
Credo che la presa di posizione dell’Ordine di Bologna non sia specificamente rivolta contro l’articolo 20. Questo articolo merita attenzione perché documenta il cambiamento intervenuto nella concezione della relazione di cura da parte dei medici e non vedo alcun motivo perché anche il Senato, nella valutazione della proposta di legge, che – come detto – è in sintonia con detto articolo, non ne valorizzi il contenuto caratterizzante, cioè il riconoscimento di una concezione della relazione di cura che accoglie pienamente il principio della tutela della salute e della dignità della persona, e per questo motivo si astenga da tentazioni di miglioramento del testo attuale che comporterebbero un ritorno del testo alla Camera dei Deputati, la quale a fine legislatura non sarebbe più in grado di procedere ad un nuovo esame.
 
Daniele Rodriguez
Professore ordinario di Medicina legale
Università degli Studi di Padova

06 dicembre 2017
© Riproduzione riservata


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