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Quale sanità, quale medicina/4. “I medici devono diventare attori della politica sanitaria”


“Far sentire la nostra voce a tutti i livelli, Ausl, Regioni, Aifa, ministero”, perché “l’autorevolezza non si conquista con i contratti ma facendo sentire le proprie idee e le proprie proposte”. La pensano così Paola M. Mandelli e Saffi Giustini, medici di medicina generale di Montale, Pistoia.

09 FEB - Riceviamo e pubblichiamo il contributo che Paola M. Mandelli e Saffi Giustini, medici di medicina generale di Montale, Pistoia, ci hanno inviato a commento del nostro speciale dedicato alla lettera di Firenze. Leggi i contributi precedenti di Benato (Fnomceo), Delvecchio (Asl BG) e Brandi (Asl FI).


Visione unica di un mondo che è da un lato la scienza e tessuto razionale del medico, tenuti insieme dalla coscienza perché la medicina non è scienza esatta ma scienza umanistica, e dall’altro visione emotiva e “socializzante” dello stesso.

Maurizio Benato parla di “pratica medica che è concreta filosofia” ed ha ragione.
Ma la pratica medica è soggetta a giudizi (personali, sociali, mediatici, anche legali e giuridici). Con un filosofo che applica la sua filosofia, si può non essere d’accordo, ma nessuno lo trascinerà in tribunale.

Non sappiamo se sia sufficiente per i medici uscire dal disagio “recuperando l’aver cura del suo malato” o ragionando, dopo sei ore di ambulatorio o un turno di dodici ore al Pronto Soccorso, “dello Statuto epistemologico della medicina, dei modelli di causazione delle malattie, oppure “sburocratizzando la propria funzione professionale diventandone definitivamente artefice recuperando l’autonomia responsabile”.

Non sappiamo, ma non ci pare che sia questa la dimensione del problema.
Possiamo noi “sburocratizzare” la professione? E come con le Aziende USL, i Dipartimenti, “le riunioni di budget”, recuperare autonomia professionale?
Difficile oggi che si possa recuperare l’aver cura del “mio” malato con la pressione che nel sistema e dal sistema, viene portata su diversi piani verso i medici.

Prima c’era una fiducia illimitata, oggi questa viene riservata, guarda caso, a quelli di noi che praticano terapie assolutamente non sperimentate, farmaci off label, test diagnostici “insoliti”. Poi però, quasi subito, si fa di ogni erba un fascio: cosa è successo? perché una diffidenza continua? Internet, giornali, media: sono le prime cose che vengono in mente. I giornali sono pieni di malasanità, di denunce, di dossier.

Quando mai uno dei milioni di atti medici a buon fine, del sorriso che consola, della morte nel cuore a dare “certe” notizie. Mai la “buona sanità: venissero mai a stare con noi in ambulatorio o a far visite per una settimana.

Invece i medici di medicina generale sono quelli delle prescrizioni “selvagge”, quelli che non fanno le visite, quelli che non possono segnare farmaci innovativi, quelli che non possono certificare neanche che il paziente ha la pressione alta o il sangue dolce, quelli che richiedono “sempre troppi” esami spesso inutili (col senno del poi).
Disagio, non è burn out.

Anni fa un collega ospedaliero, seccato da un appunto su come mai venga messa la giusta nota al farmaco o l’esenzione del paziente, disse che lui faceva il dottore non lo scrivano.
Allora chi fa il dottore? Cosa significa fare il dottore?

Ci siamo appellati alla EBM, alle linee guida. E studiamo ancora, cercando di destreggiarci tra i mille lavori scientifici a volte non chiari, a volte non veritieri. E andiamo a corsi di interpretazione dei lavori studi clinici, tenuti da altri medici di medicina generale perché si parla la stessa lingua con meno conflitti di interessi.

A volte mi domando chi ce lo fa fare. Tra poco, ad un passo dalla pensione, stiamo per cambiare tutto, costituiremo una grossa medicina di gruppo, continueremo tutti il Chronic Care Model appena intrapreso, andremo a lavorare dentro il presidio Usl credendo di portare dei vantaggi ai nostri assistiti, di dare una sanità migliore.
E questo perché crediamo in una medicina migliore, sempre. Forse non salveremo la vita ad un paziente come fanno al 118 o in sala operatoria, ma sicuramente continueremo ad allungare la vita ad una popolazione che ci stima anche se c’è chi non lo capisce, perché un iperteso a cui eviti l’ictus, c’è caso che a 80 anni cambi dottore perché non prendi in considerazione i suoi mille dolori, non lo curi.

A fronte di guarigione abbiamo regalato cronicità: è una frase bifronte perché dimostra tutto il nostro lavoro e d’altra parte dimostra come non possiamo avere un gran seguito perché non guariamo. Questo è il nodo e lo sappiamo. Tornando a come fare il medico, dovremmo fare anche un’altra cosa: far sentire la nostra voce a tutti i livelli, Ausl, Regioni, Aifa, ministero, non demandare sempre ai soliti, ché l’autorevolezza non si conquista con i contratti ma facendo sentire le proprie idee e le proprie proposte.


Paola M. Mandelli e Saffi Giustini
Medici di medicina generale, Montale, Pistoia


 

09 febbraio 2012
© Riproduzione riservata


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