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L’informatore Scientifico del Farmaco: evoluzione della specie

di Lorenzo Maratea, Maurizio Campagna

Per l’Isf potrebbe essere adottato l’approccio che è stato seguito dal Gruppo Intesa Sanpaolo con le Oo.Ss. con la sottoscrizione del Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo. Si tratta, evidentemente del cosiddetto “contratto ibrido”, e, quindi, della sussistenza fra i medesimi soggetti “di due rapporti di lavoro: uno subordinato e uno autonomo”. Si tratta di un tema su cui sarebbe utile che le parti sociali del settore chimico-farmaceutico si confrontassero

06 SET - Il settore farmaceutico è un campo nel quale – a fronte dell’interesse imprenditoriale – si stagliano interessi non egoistici di primario rilievo.
Le case produttrici e distributrici, come ogni altra impresa, hanno l’esigenza di promuovere la conoscenza dei prodotti e la loro capillare diffusione, ma il farmaco è un bene che, per l’evidente correlazione al valore della salute, soggiace a una disciplina speciale (v. Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001).

Non a caso, in tale settore si è nel tempo affermata una figura specifica che è quella dell’Informatore Scientifico del Farmaco (ISF). Tale soggetto è deputato a favorire le conoscenze delle caratteristiche dei farmaci, senza però svolgere attività promozionale in senso proprio. Nell’attività del propagandista, la conclusione del contratto e, quindi, dell’affare si pone come “fatto esterno e meramente eventuale rispetto all’attività di pubblicità” (G. Amoroso- V. Di Cerbo- A. Maresca, 2013).

In questo articolo, si è cercato di riflettere sull’inquadramento contrattuale dell’ISF, estendendo al contempo la riflessione oltre il campo della qualificazione del rapporto fino ad abbracciare alcuni aspetti che, nella normalità dei casi, non sono di diritto del lavoro, ossia quelli inerenti ai modelli ex d.lgs. 231/2001 e più in generale alla compliance, che, però, hanno molto da dire sullo sfumare della rigida distinzione fra autonomia e subordinazione.
 
Una figura “a cavaliere”
L’ISF è una figura presa testualmente in esame dal Legislatore. Segnatamente dall’art. 122 del d.lgs. 24 aprile 2006 n. 219 (Codice del Farmaco) che, con una tautologia, parla di attività di “informazione” nel delineare le attività associate a tale figura.

L’informatore, come profilo, non è tuttavia nato con il Codice del Farmaco; al contrario, esso originariamente integrava una fattispecie non tipica.
Vale poi notare che la prima rilevante forma di intervento legislativo risale agli anni novanta con il D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 541 il cui art. 9 prevedeva che “l’attività degli informatori scientifici è svolta sulla base di un rapporto di lavoro univoco e a tempo pieno”.
Indipendentemente dalle valutazioni sull’interpretazione della norma citata, ciò che rileva è l’approccio della giurisprudenza rispetto alla qualificazione: ebbene, l’assunto costantemente seguito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, è che l’ISF sia una figura “a cavaliere” fra subordinazione e autonomia, con tratti di compatibilità con l’una e l’altra.

Tale orientamento risente evidentemente, per un verso, dell’associazione dell’informazione scientifica con l’agenzia e, dall’altro, dell’oggettiva esistenza di una prassi commerciale votata, viceversa, all’adozione della subordinazione come tipo di riferimento; è, addirittura, banale fare riferimento alle declaratorie del CCNL Industria Chimica che delineano a tutto tondo la qualifica dell’informatore.
Infine, a completamento della disamina, va considerato che non è raro imbattersi in informatori inquadrati come procacciatori di affari. Come noto, è procacciatore un soggetto “la cui attività, caratterizzata dall’occasionalità o quanto meno dalla mancanza di stabilità” (R. Baldi- A. Venezia, 2008).
Agenzia, subordinazione, procacciamento: come mettere ordine?
 
La subordinazione dell’informatore
Nella prassi giurisprudenziale abbondano precedenti sul tema della rivendicazione della subordinazione da parte dell’informatore agente di commercio o procacciatore d’affari. Dal punto di vista fattuale, le attività dell’informatore – indipendentemente dalla formale qualificazione del rapporto – sono di regola caratterizzate da ingerenze del soggetto preponente rispetto al numero ed al tipo di visite da compiere presso medici e farmacisti e dal ricorso a forme più o meno strutturate di reportistica periodica. D’altro canto, la prassi applicativa fa emergere un’indubbia inclinazione verso l’idea che tanto la reportistica quanto la previsione di un numero di visite minimo non sconfessino “in automatico” l’autonomia del rapporto (v. Cass. n. 1730/1983). La resistenza della qualificazione scelta dalle parti può essere vinta a condizione che le prove raccolte dal Giudice del Lavoro siano tali da fare emergere il completo annichilimento dell’“autorganizzazione del lavoro a proprio rischio tipica del lavoro autonomo”; l’indagine giudiziale sulla subordinazione è fondamentalmente affidata alla quantità piuttosto che alla qualità del “tradimento” dell’autonomia del rapporto originariamente pattuita e la soglia quantitativa di privazione dello spazio di libertà concesso al propagandista deve essere pressoché assoluta.
 
Persuasione senza promozione
Il potere direttivo impone la sua centralità anche in relazione alla figura in esame, ma è evidente come non offra sponde sicure. Ancora più malfermo è il terreno quando si esamina l’oggetto dell’obbligazione principale assunta dall’informatore. Secondo Cass. civ. 19 agosto 1992, n. 9676, “l’informatore deve persuadere la potenziale clientela dell’opportunità dell’acquisto, ma senza promuovere, se non in via del tutto marginale, la conclusione di contratti”.
Del resto, “nel campo farmaceutico […] il rapporto fra il propagandista e la casa farmaceutica si concretizza in una promozione indiretta data la dissociazione propria del mercato farmaceutico fra i soggetti che decidono l’acquisto (sanitari) e quelli che materialmente la effettuano” (G. Amoroso-V. Di Cerbo-A. Maresca, 2013).

Attorno a questo passaggio, si sviluppa una complessa questione applicativa, ciò perché è frequente che all’informatore siano affidate funzioni agenziali tipiche (incluse, talora, quelle di incasso titoli) che nettamente si svincolano da quelle propriamente propagandistiche.
Al fine di chiarire questo dilemma, vale partire dalle norme: l’art. 122 del d.lgs. 219/2006, al comma 3°, prevede che “l’attività degli informatori scientifici è svolta sulla base di un rapporto di lavoro instaurato con un’unica impresa farmaceutica”.
Cosa intende il Legislatore quando parla di “rapporto di lavoro”? Che senso ha il riferimento all’unicità del rapporto?
 
Prendere il Legislatore sul serio: lo strano caso dell’art. 122 del Codice del Farmaco
La prima interpretazione possibile della locuzione “rapporto di lavoro” va nella direzione della piena assimilazione del rapporto degli informatori nel campo della subordinazione. In altri termini, in base ad una prima lettura si potrebbe sostenere che rapporto di lavoro non sia altro che un modo sintetico per fare riferimento al lavoro subordinato.
Del resto, se si vuole restare nel campo dell’interpretazione letterale vale notare che quando, in passato, il Legislatore ha voluto autorizzare un ideale doppio binario (autonomia/subordinazione), lo ha fatto espressamente: indicativi i casi degli igienisti dentari per i quali vale la previsione dell’art. 1 d. m. 15 marzo 1999 n. 137 e degli incaricati alla vendita diretta a domicilio. Si tratta di un argomento significativo, ma obiettivamente non decisivo.
Diciamo subito che la tesi massimalista della subordinazione come unico tipo di riferimento è oggettivamente messa in crisi dal fatto che la norma che ha preceduto l’introduzione dell’art. 122, ossia il già citato art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 541, poteva, ancora più agevolmente di quella attualmente in vigore, essere interpretata nella direzione della subordinazione, eppure, applicativamente parlando, ciò non si è mai verificato.

La tesi della subordinazione come tipo unico non sembra minimamente godere del supporto giurisprudenziale (v. paragrafo n. 3). Gli argomenti che le corti (specie di merito) adoperano per negare o ammettere la subordinazione riposano esclusivamente sulla prova del potere direttivo, approccio che risulta largamente modellato sulla volontà di non tradire la tradizionale duttilità della figura.
Una significativa pronuncia della Corte di Appello di Milano si colloca in questo solco conservativo, riconoscendo la compatibilità del procacciamento con la posizione degli informatori (Appello Milano n. 1281/2017).
Si tratta, tuttavia, di una pronuncia che lascia scoperto un profilo molto delicato: difatti, il riferimento operato dalla legge alla necessità che l’ISF sia referente di una sola casa farmaceutica equivale a recidere ogni nesso possibile con la figura del procacciamento che, al contrario, ha la sua specificità nell’occasionalità dell’ingaggio.

Più complesso il tema del rapporto con l’agenzia. A tale riguardo, depone come argomento critico il divieto per l’informatore di svolgere promozione in senso proprio ed è noto che la promozione rappresenta il “core” dell’attività dell’agente.
Si tratta di argomenti che non è agevole sconfessare eppure, in dottrina, si afferma, non senza validi argomenti, che “l’attività dell’informatore scientifico […] non necessariamente è svolta in regime di subordinazione, ben potendo essere dedotta sia in un contratto autonomo che dipendente” (Astengo, 2018) mentre, per la giurisprudenza, valgono le considerazioni che si sono già esposte: la prestazione è sostanzialmente identica in entrambi i casi (rapporti di lavoro autonomo e subordinato), ma le modalità di svolgimento della collaborazione, ed in specie, l’esercizio del potere direttivo, possono fare la differenza.
 
L’impatto del Jobs Act sugli informatori in regime di autonomia
Come anticipato, la possibilità che l’informatore possa essere qualificato come lavoratore autonomo pone ora una secondo ordine di problemi applicativi: quelli connessi al Jobs Act autonomi. La Legge 22 maggio 2017 n. 81 ha previsto, infatti, una serie di tutele anche nel campo del lavoro autonomo. Tali previsioni non si applicano agli imprenditori, ivi inclusi i piccoli (v. art. 2083 c.c.), ed è per questa ragione che larga parte della dottrina afferma che, per esempio, gli agenti siano oltre il perimetro della citata legge.
 

Se questo è vero, è addirittura banale fare notare che l’attrazione dell’informatore scientifico nel cono d’ombra dell’agenzia induce a considerare che la querelle sull’applicazione del comma 2 dell’art. 1 della Legge 22 maggio 2017 n. 81 valga anche per gli informatori.
In altri termini, l’orientamento che ritiene l’agente estraneo al Jobs Act per via della qualità dell’agente di piccolo imprenditore dovrebbe valere anche per l’informatore se si aderisce alla tesi secondo cui il tipo di riferimento sia, comunque, l’agenzia. Discorso diverso per il caso di quegli informatori che possano essere considerati procacciatori. L’occasionalità della prestazione del procacciatore è in conflitto con la stabilità dell’attività di tipo imprenditoriale (v. art. 2083 c.c.) e sembra, quindi, porsi come fattore pienamente in grado di giustificare l’applicazione della Legge 81/2017. 
 
Non sembrano avere valenza decisiva gli argomenti contrari. Infatti, se si assume che il comma 1 n. 1 delinei un “numero chiuso” di figure contrattuali, ossia quelle testualmente contemplate dal Titolo II del Libro V, è giocoforza concludere che il procacciamento sia estraneo.
Onestamente, non sembra corretta la conclusione sopra esposta.
Il contratto di procacciamento è atipico, non essendo disciplinato dal Legislatore, e la tipologia di riferimento, per la giurisprudenza di legittimità, è senza dubbio l’agenzia (Cass. 1078/1999); vale però considerare che l’analogia non è piena e che è proprio sul tema della stabilità che si verifica (non diversamente da quanto visto per l’art. 2083 c.c.) la divergenza dal tipo di riferimento.

D’altra parte, l’esigenza di conferire piena applicazione alle norme previste dalla Legge 81/2017 non può che indurre l’interprete a una loro piena valorizzazione in tutti i campi in cui a fronte della autonomia del rapporto e della già rilevata natura non imprenditoriale della prestazione si abbia asimmetricità fra la posizione del committente e del collaboratore.
Le riflessioni che precedono rendono chiaro che il quadro dei rapporti di collaborazione nell’ambito della propaganda farmaceutico è per sua natura frastagliato. Prima di tirare le somme sull’“evoluzione della specie”, è fondamentale spendere una riflessione su come il mercato del farmaco sia cambiato negli anni e su come – di pari passo con questi cambiamenti si è avuta l’emersione di esigenze nuove e ruoli prima sconosciuti.
 
L’ISF e la nuova governance del farmaco
A partire dall’inizio degli anni Duemila, con una forte accelerazione negli anni della crisi economico-finanziaria, il settore farmaceutico e il suo assetto regolatorio hanno cambiato profondamente la loro fisionomia. L’ISF si trova oggi a operare in un mercato molto diverso e in continua evoluzione. Il nuovo contesto non poteva non riflettersi anche sul concreto svolgimento della prestazione dell’ISF, sia con riferimento ai rapporti verso l’esterno, sia con riferimento ai rapporti verso l’interno della stessa impresa, in particolare con altre funzioni aziendali.

La comparsa sulla scena di strumenti di monitoraggio e controllo della spesa quali il “sistema multilivello dei prontuari” regionali e aziendali, le nuove modalità di distribuzione del farmaco, il c.d. payback, i tetti per tipologia di spesa, hanno determinato una redistribuzione del potere decisionale nel settore farmaceutico tra vecchi e nuovi attori. A tutti questi elementi di novità, si deve poi aggiungere l’opera costante della Corte dei Conti che, nel tempo, ha definito con sempre maggiore chiarezza i contorni di figure di danno erariale in ambito sanitario, anche legate al cattivo uso del potere di prescrivere: il riconoscimento del c.d. danno da “iperprescrizione”, ad esempio, ha conosciuto un notevole incremento. Di tutte le misure citate, alcune hanno introdotto vere e proprie barriere all’accesso del mercato farmaceutico, affinché l’introduzione di nuove specialità medicinali sia motivata dal maggior valore generato dall’impiego di un nuovo prodotto; altre rispondono più direttamente a una logica di controllo preventivo e a posteriori della spesa. Le nuove regole hanno quindi delineato un nuovo sistema di relazioni tra Pubbliche amministrazioni, imprese farmaceutiche e prescrittori, che poggiano su equilibri del tutto differenti.

Le Regioni, infatti, hanno acquisito una nuova centralità in ragione della forte responsabilizzazione sulla spesa sanitaria determinata dalla svolta normativa in senso federalista. Nel settore farmaceutico, si è così assistito da un lato all’emersione di nuovi interlocutori per le imprese, sia a livello regionale, sia a livello di singolo ente del SSR, dall’altro all’attribuzione di nuove responsabilità di tipo strategico ad attori già presenti sulla scena: si pensi soltanto all’importanza crescente e alla correlata visibilità acquisita dai servizi farmaceutici aziendali, oggi impegnati in prima linea nella buona gestione delle risorse destinate all’acquisto di farmaci.
 
In questo quadro generale, i singoli prescrittori, che prima venivano raggiunti capillarmente dagli ISF in ragione della loro capacità di incidere in modo determinante sulla domanda di farmaci con oneri a carico del Ssn, non costituiscono più l’unica leva della spesa farmaceutica e sicuramente non possono più essere il perno principale sul quale costruire una completa strategia di penetrazione del mercato e di posizionamento. Ciò è dovuto anche ad alcuni cambiamenti in senso “contenitivo” apportati dal Legislatore al potere di prescrivere.
 
Quest’ultimo, fortemente rivendicato e difeso come ambito di autonomia professionale dalla classe medica, può contare oggi su spazio di esercizio più limitato e, in ogni caso, sottoposto a monitoraggio e controllo: si pensi soltanto, ad esempio, all’obbligo di motivare sinteticamente la non sostituibilità di uno specifico medicinale nel caso in cui, per una determinata patologia, siano disponibili più medicinali equivalenti; oppure all’obbligo di informare il paziente dell’eventuale presenza in commercio di medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio e dosaggio unitario. Emerge chiaramente un approccio culturale nuovo, orientato alla responsabilizzazione degli operatori e l’introduzione di un obbligo di motivazione ne è un segno inequivocabile. Con specifico riferimento alla medicina territoriale, a tali interventi normativi deve essere sommato l’effetto dell’immissione, negli ultimi anni, di un numero assai rilevante di farmaci appartenenti all’area specialistica-ospedaliera, che ha eroso ulteriormente il potere prescrittivo del Medico di Medicina Generale, riducendo il numero dei prodotti prescrivibili da tale professionista (F. Massimino, 2015). L’informazione scientifica che aveva come destinatario il medico prescrittore non è ormai da sola sufficiente a fondare un’efficace strategia di accesso e permanenza sul mercato.

La nuova governance e il cambiamento delle modalità distributive di molti farmaci, passati “dal territorio all’ospedale”, impongono il superamento delle nuove “barriere istituzionali” all’inserimento dei farmaci nei mercati di riferimento, mettendo in campo professionalità e competenze diverse.
È necessario cioè costruire azioni e progettualità basate sulla value proposition dei nuovi prodotti, temporalmente collocate in una fase antecedente alla vera e propria commercializzazione.

La risposta delle imprese alla nuova e articolata governance del farmaco si è basata dunque sull’emersione di figure nuove, che si affiancano all’ISF, incaricate della creazione e dell’implementazione dei mercati individuati come target e che afferiscono all’area funzionale del Market Access (MA).
Proprio in ragione del ruolo centrale assunto dalle Regioni nel governo della spesa farmaceutica, una grande importanza strategica viene riconosciuta al soggetto delegato dall’impresa a interfacciarsi con i referenti regionali, che secondo la denominazione più diffusa è indicato come Regional Affairs Manager (RAM). Il RAM ha il compito di definire le strategie di accesso e di sviluppo del mercato di riferimento relativamente alle aree terapeutiche di interesse dell’azienda, tenuto delle barriere all’ingresso, quali ad esempio i Prontuari Terapeutici Regionali: liste di medicinali vincolanti per le prescrizioni, le somministrazioni e le erogazioni di farmaci nelle Aziende e negli altri enti del Servizio sanitario regionale. Come per l’ISF, al centro dell’attività del RAM vi è la costruzione di relazioni efficaci e strategiche per l’azienda, anche con interlocutori aziendali non clinici, nel pieno rispetto di tutte le regole applicabili: l’informazione scientifica può già contare su regole definite e riservate ad essa e ai professionisti. Il RAM e le altre figure afferenti all’area del MA, invece, non conoscono ancora una vera e propria “tipizzazione istituzionale”: il loro inquadramento e il dettaglio della loro job description sono infatti il frutto delle diverse scelte aziendali.

Sul fronte interno, la nuova governance del farmaco, come è facile intuire, ha reso indispensabile per l’azienda farmaceutica ridefinire internamente i confini tra l’area commerciale, cui rientra, in relazione a certe funzioni, l’ISF e l’area c.d. Public Affairs, in ragione dei nuovi equilibri su cui poggiano le relazioni con le Pubbliche amministrazioni.
 
La compliance “in condivisione” tra autonomia e subordinazione
In questa lunga fase di consolidamento del MA – che può variare da realtà a realtà in ragione delle dimensioni delle imprese, dall’ampiezza della loro struttura internazionale ecc. – la galassia delle regole di compliance ben potrebbe assumere una duplice valenza: da un lato, svolgere un ruolo di supplenza di regole positive che contribuiscano a definire e conformare soggetti, attività e obiettivi del MA; dall’altro, costituire un collante tra l’area commerciale e quella deputata allo sviluppo di relazioni con le Pubbliche amministrazioni.

In questo contesto, la parola compliance è utilizzata nel senso più ampio possibile e comprensivo dei principi validi esclusivamente per il settore farmaceutico (si pensi, ad esempio, alle regole contenute nel Codice Etico di Farmindustria), ma anche dei sistemi regolatori dettati per l’impresa in generale. Il riferimento ovviamente è al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in materia di disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
La cultura della protezione dal rischio legale, incentrata principalmente sul “sistema 231”, può esplicare i suoi effetti positivi trasversalmente a tutte le funzioni aziendali impegnate nella costruzione e gestione di relazioni strategiche per l’impresa, soprattutto quando da un lato l’attività di informazione, dall’altro le attività funzionali all’accesso al mercato, sono rivolte a pubblici dipendenti. Tra le attività più sensibili con riferimento alla commissione dei reati presupposto in ambito farmaceutico vi sono chiaramente tutte quelle che implicano una relazione e un contatto con la Pubblica amministrazione.
Sotto questo profilo, gli specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire - che costituiscono uno dei contenuti obbligatori dei Modelli 231 - si sono rivelati un efficacissimo strumento di governance.

I protocolli declinati nelle procedure, infatti, anche recependo i principi di compliance specifici del settore farmaceutico e adattandoli alla concreta realtà aziendale, producono più di un risultato positivo: riduzione dello specifico “rischio normativo” dell’impresa, connessione funzionale tra diverse aree aziendali, standardizzazione delle attività. Principi quali la tracciabilità dei contatti, la puntuale reportistica, la “verbalizzazione degli incontri”, l’uso corretto dei sistemi di messaggistica istantanea, potrebbero da un lato contribuire a conformare l’attività degli addetti al MA che non è al momento istituzionalmente tipizzata, dall’altro uniformare le prestazioni di tutto il personale con compiti di contatto verso l’esterno, tra cui rientra anche l’ISF, indipendentemente dall’inquadramento.

Al rispetto dei principi del Modello 231 sono tenuti, infatti, anche i collaboratori non lavoratori subordinati che, in caso di violazione attraverso la loro attività da esterni, ma svolta comunque in favore dell’ente, potrebbero essere esposti alla “sanzione contrattuale” della risoluzione del loro rapporto di collaborazione indipendentemente dal nomen iuris che gli si è attribuito, ma anche alle sanzioni previste dal codice disciplinare previsto tra i contenuti obbligatori del Modello stesso e parametro per la valutazione della sua “tenuta”. È opportuno ricordare che il predetto sistema è del tutto diverso da quello inserito nei contratti collettivi. Quest’ultimo esplica la sua efficacia nell’ambito di un rapporto di lavoro di tipo subordinato, laddove il primo ha una valenza spiccatamente pubblicistica in ragione del fatto che è finalizzato a prevenire reati (D. Piva, 2013). Per tale ragione, le violazioni del Modello 231 sarebbero sanzionabili anche se commesse da parte di collaboratori esterni.

Recenti inchieste giudiziarie, ma anche gli ultimi interventi normativi in senso ampliativo dell’elenco dei reati presupposto, mettono al centro la corretta gestione della relazione con lo stakeholder pubblico tout court, evidenziandone il valore intrinseco, non solo con riferimento all’attività più tradizionale dell’ISF, ma anche a quelle più nuove del MA, in questo senso avvicinando le due aree.
Il nuovo corso della governance farmaceutica ha preso le mosse in un passato ancora recente, all’alba della c.d. regionalizzazione della sanità. Per il completamento di una rivoluzione culturale all’interno delle aziende, non è ancora un tempo sufficiente.

Molti ISF ancora attivi si sono formati, infatti, in un contesto regolatorio del tutto diverso. Dall’altro lato della barricata, molti interlocutori pubblici, soprattutto se collocati al vertice delle organizzazioni, appartengono culturalmente a un’epoca passata, in cui le relazioni poggiavano su altri equilibri. I nuovi ruoli del MA, inoltre, sono spesso occupati da professionisti transitati da altre aree e che hanno un passato come ISF. Nella prassi si assiste, infatti, al passaggio di figure professionali dall’una all’altra area, nell’ottica di non disperdere il patrimonio relazionale dei commerciali (vero e proprio asset aziendale), maturato magari in anni di assidua frequentazione di un territorio o di determinati stakeholder pubblici dall’alto valore strategico. Tale scelta potrebbe comportare un deficit di competenze in ambito Public Affairs, rallentando fortemente il raggiungimento dei risultati, ma soprattutto un aumento dei rischi potenziali per l’azienda.

La compliance e la sua applicazione possono dunque contribuire in modo determinante al cambiamento, oltre che rappresentare un efficace strumento di governance, ma ciò solo a condizione che l’impresa imprima al suo interno una svolta culturale profonda, attraverso attività di formazione e aggiornamento continuo.

La compliance, infatti, spesso è percepita come un “balzello burocratico” dalle figure professionali che fondano la loro prestazione sulla costruzione di relazioni e di network. Tale percezione è poi amplificata in chi vanta già un’esperienza professionale nel recente passato. L’azienda è chiamata quindi alla sfida non semplice di formalizzare le attività aziendali più varie e spesso a priori imprevedibili, condensando prescrizioni poste da numerosissime fonti, senza imbrigliare eccessivamente le attività dei professionisti.
 
Qualche considerazione di sintesi
È evidente che l’informatore sia una figura per certi versi “paradossale”. Incaricato da un soggetto (la casa farmaceutica) nel cui interesse opera, si trova, tuttavia, a svolgere una funzione cruciale in una prospettiva rilevante ben oltre l’interesse dell’impresa che è quella di esporre le caratteristiche dei farmaci ai medici ed ai farmacisti assumendo un obbligo di “verità” rispetto alle caratteristiche dei prodotti.
Come ovvio, vocazione promozionale e dovere di verità, risultato commerciale e funzione scientifica sono difficili da conciliare. Come abbiamo visto, l’input segnato dall’art. 122 del Codice del Farmaco sembrerebbe deporre nella direzione di una preferenza accordata alla subordinazione in quanto chiave di volta per la negazione di ogni spazio per l’esercizio occasionale dell’attività (abiura, quindi, del procacciamento) e per l’emarginazione della componente legata alla promozione in senso proprio (carattere proprio dell’agenzia).

Abbiamo visto tuttavia come la giurisprudenza non recepisca il divorzio dell’informazione scientifica dalla componente promozionale: la prassi depone nel senso che la norma contenuta nel Codice del Farmaco tolleri al suo interno informatori con contratto di lavoro autonomo e lavoratori subordinati. Almeno limitatamente all’efficacia del Modello 231, la distinzione tra autonomia e subordinazione con riferimento al rapporto di lavoro dell’ISF perderebbe dunque parte della sua rilevanza e il Modello 231 e più in generale i sistemi di compliance si confermerebbero un validissimo strumento di governance aziendale.
D’altro canto, la giurisprudenza non offre risposte chiare in rapporto alle evoluzioni della figura. In specie, verso gli ISF con funzioni di controllo e supervisione non sembra essersi delineato un “statuto speciale” e non è ben chiaro se l’assegnazione di tali compiti sia fatto in grado ex se di dare luogo a conseguenze in punto di qualificazione del rapporto.

Vi è poi un secondo tema che ha ad oggetto più strettamente il piano delle decisioni aziendali.  Alla luce dell’evoluzione del mercato, si sono profondamente modificate anche le esigenze delle imprese farmaceutiche. È lecito chiedersi se sia divenuto più proficuo poter contare su professionisti assunti in qualità di lavoratori subordinati, ciò allo scopo di attivare una serie di strumenti (eterodirezione, formazione interna) che consentono più efficacemente la costruzione e il mantenimento di un network di relazioni o se resti preferibile il lavoro autonomo con il suo corredo di vantaggi tradizionali, il primo dei quali per l’impresa è, evidentemente quello economico, del contenimento dei costi.

D’altro canto, l’implementazione dei modelli di cui al d.lgs. 231/2001 conferma l’idea che i confini prima netti fra le categorie autonomia e subordinazione siano ora in crisi. Come è stato detto in dottrina, “nei confronti dei lavoratori non subordinati […] la potestà disciplinare troverà legittimazione non in un contesto di supremazia gerarchico-istituzionale, ma […] quale parte di un’obbligazione contrattuale” (S. M. Corso, 2015).
Infine, uno sguardo al futuro.

Si ipotizza che per l’ISF possa essere adottato l’approccio che è stato seguito dal Gruppo Intesa Sanpaolo con le Oo.Ss. con la sottoscrizione del Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo in ordine al problema della conciliazione fra profili dell’attività bancaria per i quali è indispensabile la subordinazione come framework ed aspetti per i quali l’autonomia è, al contrario, vincente e, quindi, l’esigenza di contaminazione delle due macro tipologie con la combinazione dei vantaggi del modello ex art. 2094 c.c. con quelli derivanti dal lavoro autonomo. Si tratta, evidentemente del cosiddetto “contratto ibrido”, e, quindi, della sussistenza fra i medesimi soggetti “di due rapporti di lavoro: uno subordinato e uno autonomo”.

Con riferimento al settore in esame, si tratta, come è evidente di una proposta, come tale di una prospettiva certamente in divenire, ma, al tempo stesso, è indubbio che il contratto ibrido si collochi in un solco già tracciato, su cui autorevoli voci si sono pronunciate (F. Rotondi – L. Solari, 2018).
Si tratta di un tema su cui sarebbe utile che le parti sociali del settore chimico-farmaceutico si confrontassero.
 
Spunti bibliografici
A. Astengo, La rilevanza del nomen iuris nella qualificazione del rapporto di lavoro: il difficile caso dell’informatore scientifico del farmaco in giustiziacivile.com, 10 aprile 2018
D. Simeoli, Commento ad artt. 1742 e ss. in G. Amoroso – V. Di Cerbo – A. Maresca, Diritto del Lavoro, Vol. I, Giuffrè, IV Ed., spec. p. 547
S. M. Corso, Il codice disciplinare di fronte alla responsabilità delle persone giuridiche: riflessi lavoristici in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2, 2015, 297
G. Data, P. Mariani, Market Access nel settore healthcare. Strategia, attori, attività e processi, Franco Angeli, 2015
M. Marchesi – L. Bonaldi, Guida pratica al Jobs Act, 2018, Primiceri
F. Massimino, in G. F. Ferrari, F. Massimino, Diritto del Farmaco. Medicinali, Diritto alla salute, Politiche sanitarie, Cacucci Editore, 2015, spec. p. 240
D. Piva, Il sistema disciplinare nel d.lgs. 231/2001: questo sconosciuto? in Rivista 231, n. 2/2013, 92
F. Rotondi – L. Solari, Jobs App, Guerini Next, pp. 43 e ss.

 
Lorenzo Maratea - avvocato
Maurizio Campagna - avvocato 


06 settembre 2019
© Riproduzione riservata


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