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Riordino post-Covid: troviamo spazio per la riabilitazione

di Enrico Guffanti e Claudio M. Maffei

Viene da pensare che un adeguato numero di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva dovrebbe prevedere necessariamente un’adeguata programmazione di interventi riabilitativi in modalità diversa (intensiva-estensiva) e per tutti i setting a disposizione (ospedalieri-territoriali). A tutto questo gli vogliamo trovare spazio nel riordino post-Covid?

07 GIU - Per ragionare sul ruolo della riabilitazione nell’era post-COVID partiamo da due documenti ufficiali che rischiano di essere tra loro in contraddizione. Il primo è il Decreto Rilancio e la relativa circolare ministeriale che ridisegnano l’ offerta ospedaliera  in termini di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva  e il secondo è il documento del Dipartimento per le NCDs (Non Communicable Diseases) dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) edito il 29 maggio dal titolo “Rapid assessment of service delivery for NCDs during the COVID-19 pandemic”.
 
Nel Decreto Rilancio e relativa circolare non si fa nessun esplicito riferimento alla necessità di riorganizzazione della rete riabilitativa nonostante le innegabili esigenze che si sono venute a creare in seguito alla pandemia. Nel secondo si riportano i dati di un’indagine dell’ OMS condotta presso 194 Ministeri della Salute (80% di risposte) da cui emerge che il settore della Riabilitazione è stato il Servizio più penalizzato in seguito alle decisioni organizzative riguardanti l’emergenza COVID.
 
L’ analisi da parte degli esperti dell’ OMS ha condotto a queste conclusioni:
- “ ….la riabilitazione continua ad essere erroneamente percepita come un servizio alla salute non essenziale”;
- “…l’ interruzione dei servizi di riabilitazione ha riguardato la fase acuta, quella post-acuta e quella ambulatoriale”;
- le conseguenze (di ciò) si riflettono sugli outcomes immediati e  influiranno su quelli futuri in termini di maggiori giornate di degenza e maggiori complicazioni per quei portatori di NCDs che non hanno potuto usufruire degli abituali servizi riabilitativi”.
 
Che la pandemia abbia influito su tutte le altre malattie è evidente e  viene  confermato dalla recentissima (4 giugno) segnalazione di Federanziani che fa sapere come ben 11 milioni di prestazioni ambulatoriali siano state rinviate a causa del lockdown da COVID-19 : fra queste certamente anche un buon numero di interventi riabilitativi.
 
E’ pertanto ancora più importante riflettere su quale è stato e quale dovrà essere il ruolo della riabilitazione in questo tempo contrassegnato dalla pandemia da COVID-19 nonostante essa non venga esplicitamente prevista nei provvedimenti emanati dalle Autorità competenti.
 
Le Società Scientifiche hanno redatto ed edito documenti ad hoc al riguardo con una serie di raccomandazioni tecniche dettagliate. Sintetizzando possiamo però affermare quanto segue:
- un numero elevato di pazienti colpiti dalla malattia hanno dovuto essere trattati in ospedale con ossigeno ad elevati flussi e/o ventilazione non invasiva in reparti dedicati;
 
- una percentuale elevata di questi pazienti sono stati trattati in rianimazione anche per periodi prolungati con la ventilazione invasiva (ARDS o sindrome da distress respiratorio);
 
- gli uni e gli altri in diverso grado hanno sviluppato una serie di reliquati, principalmente respiratori, motori e neuropsicologici meritevoli di trattamento in fase acuta e immediatamente post-acuta;
 
- esperienze precedenti derivate soprattutto dall’ epidemia influenzale H1N1, ma anche dalla SARS e dalla MERS,  hanno insegnato che aver subito un ARDS  comporta problematiche rilevanti in termini di affaticamento persistente, miopatia, deficit nutrizionali, depressione, ansia, stress post traumatico che possono persistere nel tempo (dati a 5 anni) e quindi da monitorare e da trattare adeguatamente;
 
- vi è il rischio reale che un 30% di questi pazienti che sono stati interessati da forme polmonari severe possano sviluppare danni persistenti ai polmoni.
 
Il ricorso alla riabilitazione nelle diverse fasi della pandemia e successivamente a questa è pertanto da ritenersi determinante per facilitare il recupero dei pazienti verso una vita normale, non contrassegnata da disabilità che in alcuni casi potrebbero essere particolarmente limitanti. Le giuste esigenze dei pazienti COVID non possono però far trascurare quelle dei pazienti che prima della pandemia o in corso della stessa avevano e hanno sviluppato patologie non-COVID ugualmente bisognose di trattamento riabilitativo (ad esempio: ictus, infarto miocardico, insufficienza respiratoria cronica, ecc.).
 
Come afferma a tal proposito l’OMS per le malattie non trasmissibili, la riabilitazione deve quindi riappropriarsi dei tempi e degli spazi che sono necessari alla loro gestione pena conseguenze difficilmente quantificabili in termini di mortalità, di disabilità crescente e di utilizzo di risorse sanitarie nei prossimi mesi e anni. Un esempio di quanto affermato è ben rappresentato dalle prestazioni di riabilitazione respiratoria: in Italia nel triennio 2016-2018 i ricoveri per tale specialità sono stati mediamente 16.000 circa con altrettanti accessi in regime diurno tra Day Hospital e attività ambulatoriale complessa (dati del Ministero della Salute) al netto delle prestazioni ambulatoriali “semplici”.
 
E’ evidente che soprattutto in alcune Regioni maggiormente colpite dalla pandemia le risorse pneumologiche disponibili sono state messe per la loro competenza a disposizione della fase acuta trascurando inevitabilmente quelle prestazioni riabilitative che abitualmente e prevalentemente riguardavano pazienti affetti da patologia cronica respiratoria, che nella riabilitazione specialistica hanno sempre trovato un valido supporto alle loro disabilità e alla loro qualità di vita.
 
Se quindi in questi anni la richiesta è stata quella appena ricordata ne deriva che un numero rilevante di pazienti non ha potuto usufruire del corretto trattamento terapeutico riabilitativo per tenere sotto controllo l’evoluzione della propria patologia. Le stesse riflessioni valgono anche per gli altri settori della riabilitazione (cardiovascolare, neurovascolare, neurologica, ortopedica) con conseguenze facilmente immaginabili.
 
Ma la nostra riflessione non potrebbe essere completa se prescindessimo dal ruolo della riabilitazione in sé che va ben al di là delle contingenze, seppur drammatiche, come quella ancora non completamente risolta.
 
L’organizzazione di una efficiente rete di riabilitazione territoriale, fra cui va annoverata quella domiciliare, diviene fattore di primaria importanza anche per la corretta gestione della cronicità  che come sappiamo consuma circa i 2/3 delle risorse sanitarie, non solo in Italia. Una corretta applicazione di programmi riabilitativi comporterebbe infatti:
- un rapporto più stretto e strutturato fra cure primarie primarie e livello specialistico (equipe multidisciplinari);
 
- la promozione di  un’attività di prevenzione secondaria molto importante, favorendo l’ assunzione di stili di vita adeguati fatti di corretta alimentazione e di attività fisica personalizzata per ogni singolo paziente trattato (empowerment);
 
- la garanzia di una maggiore aderenza alle terapie farmacologiche grazie ad un’opera di coinvolgimento indispensabile di pazienti e familiari;   
 
- la sorveglianza puntuale dei pazienti che partecipano ad un progetto riabilitativo con possibilità di interventi di supporto psico-sociali;
 
- la possibilità di intervento precoce su eventuali riacutizzazioni di malattia e/o su complicanze con un adeguato triage in funzione della individuazione del miglior setting di trattamento possibile.
 
Certamente tutto ciò necessità di risorse adeguate in termini di personale e di attrezzature da mettere a disposizione dei pazienti.
 
Per quanto riguarda i professionisti da coinvolgere, una figura essenziale è rappresentata dai terapisti della riabilitazione, ciascuno con le proprie competenze, ma tutti in grado di gestire pazienti sia individualmente che organizzati per gruppi omogenei e di coinvolgerli nella gestione delle proprie disabilità permettendo loro di vivere con accettabile qualità la propria vita di relazione.
 
Va a tale proposito ricordato che già in questa pandemia i terapisti della riabilitazione hanno svolto un ruolo  determinante: basterà riflettere su quanto siano stati importanti nelle fasi di adattamento alla ventilazione e in quelle di svezzamento dalla ventilazione, nelle fasi di recupero motorio, in quelle di recupero fonatorio e deglutitivo quando i pazienti sono stati estubati o tracheostomizzati, oltre a contribuire a garantire un supporto formativo e psicologico ai pazienti e ai loro care-givers.
 
Per quanto concerne le attrezzature necessarie si deve provvedere perché tutte le fasce di popolazione interessate alla terapia riabilitativa possano disporne soprattutto quando si vogliono realizzare “a distanza” percorsi di tipo domiciliare che, come in questo periodo, presenterebbero notevoli vantaggi anche in termini di distanziamento sociale.
 
Purtroppo però, a fronte di molti progetti tesi a realizzare questi interventi territoriali a distanza, si devono registrare ostacoli non facilmente superabili. La tecnologia deve essere non solo di facile utilizzo (user-friendly),  ma anche poco costosa, deve permettere un monitoraggio qualitativo del programma riabilitativo, deve garantire livelli di sicurezza accettabili proprio perché a distanza, ha bisogno di chiarezza normativa a livello medico-legale e gli interventi che la utilizzano devono essere normati e valorizzati economicamente dalle Regioni. 
 
Come si vede la riabilitazione non è un esercizio caritatevole in assenza di alternative terapeutiche. Essa è parte fondamentale dei percorsi di cura applicabile quasi sempre sin dalla fase acuta delle patologie quando vengono compromesse funzioni essenziali per lo svolgimento delle abituali attività quotidiane della vita siano esse di base (ad esempio: camminare, mangiare, vestirsi, dedicarsi all’ igiene personale, ecc.) che strumentali (ad esempio: comunicare attraverso telefoni e/o devices, maneggiare soldi, utilizzare elettrodomestici, ecc.).
 
Viene da pensare che un adeguato numero di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva dovrebbe prevedere  necessariamente un’adeguata programmazione di interventi riabilitativi in modalità diversa (intensiva-estensiva) e per tutti i setting a disposizione (ospedalieri-territoriali).
 
A tutto questo gli vogliamo trovare spazio nel riordino post-COVID?
 
Enrico Guffanti
Già Direttore Unità Operativa di Pneumologia Riabilitativa della sede IRCCS-INRCA di Casatenovo
 
Claudio M. Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on

07 giugno 2020
© Riproduzione riservata


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