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Farmacie si confermano indispensabili anche per la campagna di vaccinazione Covid

di Ettore Jorio

Lo scrivevo circa dieci anni fa e lo sostengo convintamente oggi: la indispensabilità sistemica delle farmacie nell’esercizio dell’assistenza territoriale, quella che in questa pandemia ha dimostrato tutta la sua debolezza, per non dire assenza. Dunque, oggi in campo le farmacie, utili a guadagnare quei successi vaccinali sino ad oggi non traguardati da un progetto non propriamente ottimale, sia sul piano degli approvvigionamenti che sotto il profilo della logistica.

06 APR - Correva l’anno 2012 allorquando ritenevo di sottolineare, su questa Rivista (10 febbraio), l’importante e imprescindibile ruolo del sistema farmacia. Lo facevo in occasione dell’ingiustificato attacco «pseudo emancipatorio» recato con il decreto-legge “Cresci-Italia” dell’appena 24 gennaio precedente.
 
Non mi trovava affatto d’accordo la svalutazione che in esso si perpetrava, quasi nella logica di favorire l’acquisizione del relativo mercato da parte dei gruppi della grande distribuzione, di buttare alle ortiche il ruolo che la farmacia aveva conquistato in quasi 50 anni di onorata storia. Principalmente nella fascia della c.d. ruralità.
 
La farmacia, è bene ricordarlo, ha natura concessoria di un servizio pubblico indispensabile e insostituibile: l’obbligo di assicurare, ovunque e comunque, la dispensazione del farmaco. Ciò perché, l’istituzione pubblica (ieri lo Stato oggi la Regione) le trasferisce in esclusiva il diritto di esercizio spettantele di offrire alla collettività l’assistenza farmaceutica, da effettuare per mezzo delle circa ventimila sedi farmaceutiche operanti sul territorio nazionale (19.331), rese disponibili per numero di popolazione (una ogni 3.300 abitanti, con popolazione media reale per farmacia di 3.129). In queste, si badi bene, da ritenersi comprese quel 50% più una delle medesime che i Comuni hanno rinunciato ad aprire a loro nome e per loro conto.
 
Dunque, una farmacia ovunque, delle quali la maggior parte in esercizio in piccole realtà, spesso difficilmente raggiungibili e senza alternative assistenziali, fatta eccezione per i medici di famiglia corrispondenti al numero degli abitanti delle rispettive sedi farmaceutiche. In quanto tale, essa è divenuta un presidio fisso ideale in rete, universalmente riconosciuto idoneo ad assicurare un importante conforto assistenziale, prioritariamente nei siti montani ad alta intensità demografica anziana, in perfetta corrispondenza con la sua modalità di esercizio, costituente il presupposto su quale è stato fondato da sempre il rilascio della prevista concessione pubblica.
 
L’unica concepita dall’ordinamento della salute, e in quanto tale di durata a tempo indeterminato. Una differenza sostanziale che dimostra in tutta la sua evidenza l’importanza che la farmacia, e la filiera di cui fa parte, riveste nell’assistenza pubblica. Ben diversa dal resto del sistema della salute fondato sul criterio del trinomio autorizzazione/accreditamento istituzionale/accordo contrattuale, dei quali gli ultimi due di durata rispettivamente triennale e annuale, da prevedere e rilasciare sulla base dell’accertato fabbisogno relativo, in quanto tale mutevole.
 
Lo scrivevo circa dieci anni fa e lo sostengo convintamente oggi: la indispensabilità sistemica delle farmacie nell’esercizio dell’assistenza territoriale, quella che in questa pandemia ha dimostrato tutta la sua debolezza, per non dire assenza.
 
Un convincimento che c’è tutto nelle scelte più recenti del Governo, messo alle corde dai buchi fatti nell’acqua sino ad oggi nel sistema vaccinale, non garante della necessaria capillarità e continuità. Una indispensabilità - da una parte - nettamente concorrente con quella dei medici di famiglia, probabilmente da ridisegnare nel «mansionario contrattuale» che ne disciplina l’esistenza, e - dall’altra - complementare alla assistenza praticata dai medesimi. Ciò è accaduto per la caratteristica propria delle farmacie ad essere divenute presidio fisso consolidato sul territorio, frequentemente surrogatorio, delle tipologie di assistenza messe a disposizione dal sistema nel quotidiano che, di frequentano, presentano non poche défaillance.
 
Dunque, oggi in campo le farmacie, utili a guadagnare quei successi vaccinali sino ad oggi non traguardati da un progetto non propriamente ottimale, sia sul piano degli approvvigionamenti che sotto il profilo della logistica.
 
La loro presenza stabile, la disponibilità e la fiducia apprezzate dalla popolazione assistita, la propensione dei professionisti in essa impegnati ad accollarsi le preoccupazioni dell’utenza, soprattutto anziana, per dare modo ad essa di superare le difficoltà di vita e contribuire al loro sostegno psicologico saranno, ne sono convinto, gli strumenti del successo per conseguire l’immunità di gregge.
 
Un ruolo, dunque, che va ben oltre la sintesi della “farmacia dei servizi”, attesa l’esigenza che ci sarà negli anni di rendere ricorrente e generalizzata la pratica vaccinale a sessanta milioni di cittadini, in gran parte ubicati in centro montani-collinari, ben lontani dai centri urbani. Una mission che pretenderebbe la farmacia, prescindendo dal suo essere una attività convenzionata, strumento segnatamente integrato nell’assistenza distrettuale.
 
Quindi, benvenuto l’Accordo quadro nazionale siglato il 29 marzo da Governo, Regioni e Province autonome e Federfarma e Assofarm, per la somministrazione dei vaccini anti Sars-CoV-2 in farmacia da parte dei farmacisti.
 
La palla è passata ora al binomio farmacisti e Istituto Superiore di Sanità garante del buon esito dell’apposito corso di formazione funzionale a  fare dei farmacisti dei provetti e attenti inoculatori, oltre che continuare a proporsi  a corretti offerenti dei test sierologici e tamponi rapidi.
 
Il pezzo che manca sarà ovviamente la disponibilità delle dosi vaccinali. Al sistema relativo il compito di fornirli con velocità e meticolosità, tanto da garantirne gli arrivi in quelle farmacie che da sempre si fanno carico nella difficile periferia italiana dell’assistenza. Di quella minima che dà spesso modo ai cittadini, altrimenti abbandonati da quella territoriale tutta da ricostruire, di sentirsi completamente abbandonati a sé stessi.
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

06 aprile 2021
© Riproduzione riservata


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